Notiziario
















Il pesce con il formaggio?

Di recente in Inghilterra un cuoco italiano si rifiuta di soddisfare un cliente che gli chiede di aggiungere del formaggio parmigiano a un piatto a base di pesce. Ne nasce una discussione, una recensione negativa su Trip Advisor e il tutto finisce sui tabloid londinesi. La notizia in Italia accende una controversia sulla liceità dell’uso del formaggio nei piatti di pesce o se sono un tradimento di una più o meno supposta o convalidata tradizione della cucina italiana.

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L'arrivo del 5G mette a rischio le previsioni meteo, salto indietro di 40 anni. Esperti americani ed europei preoccupati. Ci spiega perché un meteorologo del CNR

Purtroppo la tecnologia 5G lavora su una frequenza  (23 Gigahertz) pericolosamente vicina a quelle usata dai microsatelliti per misurare la quantità di vapore acqueo nell'atmosfera, con possibili interferenze.

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Cambiamenti climatici e presenza di micotossine nei foraggi

Il cambiamento climatico è un tema complesso e rappresenta forse la principale sfida che la società mondiale dovrà affrontare nel prossimo futuro. Il progressivo aumento delle temperature (con stime per il 2050 di un incremento di 1,3-1,8 °C della media mondiale e di 2-3 °C di quella del sud dell’Europa), la riduzione delle risorse idriche disponibili (con drastici cali delle precipitazioni medie annue in termini di frequenza e intensità), il deterioramento qualitativo delle acque (ad esempio, progressiva salinizzazione delle falde, tossicità da metalli pesanti) e i crescenti problemi legati all’inquinamento dell’aria stanno causando ingenti danni in termini quali-quantitativi alle coltivazioni per la produzione di cibo, foraggio e mangimi. Alla luce di questa situazione, è necessario conoscere in che modo questo fenomeno incida sulle colture e sulle loro interazioni con agenti biotici. A tal proposito, il tradizionale “triangolo della malattia” (forma schematica per indicare i rapporti tra ospite suscettibile, patogeno virulento e condizioni ambientali favorevoli) può subire sostanziali modifiche, in particolare in relazione alla pressione che la componente “ambiente” può esercitare sul ciclo biologico della coltura (e di conseguenza sulla resa), oltre che sullo sviluppo e sul processo infettivo del patogeno stesso.
Numerosi studi confermano il ruolo determinante dell’ambiente (e più in generale del clima) nel definire la velocità di diffusione di una malattia nello spazio e nel tempo predisponendo, inoltre, nuovi ospiti all’attacco di microrganismi. Recentemente, particolare attenzione è stata rivolta al possibile impatto del cambiamento climatico sulla riproduzione e sulla crescita di alcuni funghi saprofiti e sulla conseguente produzione di micotossine. Queste sostanze sono metaboliti secondari di specie o ceppi differenti appartenenti alla stessa specie microbica; esse possono essere classificate, seppur in presenza di strutture chimiche estremamente eterogenee, in: aflatossine (prodotte soprattutto da Aspergillus spp.), fumosinine, zearalenone e tricoteceni (da Fusarium spp.). In letteratura, è noto che in specifiche aree geografiche e in presenza di particolari condizioni di temperatura e umidità (rispettivamente 15-40 °C e 70-99%), questi miceti proliferano in colture (principalmente di cereali) destinate alla produzione di alimenti e mangimi, sia in pieno campo che nelle successive fasi. In pre-raccolta, giocano ruoli-chiave (i) l’andamento climatico, (ii) il tipo di successioni effettuate, (iii) la scelta varietale, (iv) la suscettibilità della coltura, (v) la presenza di stress biotici (ad esempio l’infestazione da parte di larve di Ostrinia nubilalis su mais favorisce gli attacchi di Fusarium e Aspergillus), e (v) le strategie di difesa messe in atto. Durante la raccolta, la conservazione, la trasformazione e la movimentazione, sono importanti altri fattori, quali epoca e modalità di raccolta, fase di maturazione, metodo di stoccaggio, presenza di cariossidi lesionate, grado di umidità delle granaglie.

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Il clima che cambia

Il cambiamento climatico rappresenta una sfida fondamentale per l'umanità in quanto influenza profondamente il modo in cui viviamo sul pianeta Terra. Tutte le attività umane sono influenzate dalla variabilità climatica, dovuta sia a fattori naturali (cambiamenti dei cicli naturali dei meccanismi atmosferici ed oceanici) sia alle attività antropiche (emissione di gas che producono l’effetto serra in atmosfera).
Per sua natura il cambiamento climatico ha un carattere estremamente eterogeneo sia da un punto di vista geografico che temporale, producendo effetti misurabili attraverso indicatori fisici come l'innalzamento del livello del mare, l'aumento del contenuto di calore degli oceani, la diminuzione della copertura di neve e ghiaccio (sia marino che terrestre) e l'aumento della frequenza di giornate con temperature molto elevate e piogge molto intense (IPCC, 2014a). Tra queste caratteristiche, gli eventi estremi sono ampiamente rilevanti per valutare gli impatti e definire le opzioni di resilienza in una specifica regione geografica al cambiamento climatico.
La fase di un più vigoroso riscaldamento planetario è iniziata inequivocabilmente negli anni '50 ed ha subito un'accelerazione dagli anni '80. Questo aumento termico ha influito sia sulla temperatura media mensile, e sui valori stagionali, che sugli eventi meteo-climatici estremi alterando significativamente anche il ciclo idrologico su gran parte del Pianeta.
Date queste peculiarità, per affrontare e sostenere efficacemente gli impatti negativi bisogna quindi identificare i fattori climatici locali chiave per l'area geografica di interesse, le forzanti remote ed impiegare un approccio multidisciplinare.
Negli ultimi decenni sono state prodotte solide conoscenze scientifiche che forniscono informazioni importanti che possono essere utilizzate per supportare i processi decisionali. La comunità scientifica ha infatti compiuto uno sforzo per migliorare la conoscenza scientifica dei meccanismi fondamentali del sistema climatico della Terra, nonché delle implicazioni e degli impatti dei cambiamenti climatici. Una parte di questo sforzo è stato fatto per identificare le nuove azioni per mitigare le tendenze delle emissioni di gas serra antropogeniche. Altri sforzi si sono invece concentrati sull'individuazione di nuove azioni per l’adattamento ai cambiamenti sia osservati che previsti nel futuro (IPCC, 2013, 2014a, 2014b).
Tuttavia, sono necessari ulteriori strumenti di supporto alle decisioni ed anche una comprensione dei processi cognitivi associati alle percezioni ai cambiamenti climatici per utilizzare queste conoscenze pienamente trasformando così la società in modo resiliente.

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Invenzione delle patate fritte

Chi ha inventato le patate fritte? È come cercare chi ha inventato l’acqua calda, ma così non è perché diversi vantano questa se non importante, almeno gustosa scoperta.
È comunemente noto, o almeno così si ritiene, che la frittura nel grasso, già nota nell’antica Grecia dove sono state anche trovate le padelle, in Europa abbia avuto una diffusione soltanto nel Medioevo, ben prima dell’arrivo della patata, un ortaggio di scarso sapore e che può trarre beneficio dalla secondo il detto che anche una ciabatta è buona, se ben fritta. Va comunque precisato che la presenza di molti padri delle patate fritte fa sorgere il dubbio che nessuno lo sia, mentre è certo che testimoniano il successo di questo cibo, perché nessuno vuole essere padre di un fallimento.

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Ritorno al passato

Rileggendo con animo sereno il libro di Paolo Nanni e Pier Luigi Pisani “Proverbi agrari toscani. Letteratura popolare, vita contadina e scienza agraria tra sette e ottocento", Quaderni della rivista di storia dell’agricoltura. Accademia dei Georgofili, 2003, uno studioso del suolo non può che rimanere colpito da due aspetti. Il primo è quello di rilevare come già nel Settecento era forte la coscienza ambientale non solo attraverso la corretta regimazione idrica ma anche attraverso fonti di abbellimento paesaggistico e di riserva di biodiversità come la presenza delle siepi. Il secondo riguarda l’attenzione che veniva riposta alla fertilizzazione organica del suolo.

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Impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi zootecnici intensivi ed estensivi

La crescente preoccupazione per il comfort termico degli animali zootecnici è giustificabile, non solo per i paesi che occupano le zone tropicali, ma anche per le nazioni in zone temperate dove le alte temperature ambientali stanno diventando un problema.
Lo stress da caldo influenza negativamente la produttività degli animali da allevamento e, quindi, compromette la catena di approvvigionamento alimentare e l'economia del settore zootecnico. Si sono ottenuti progressi nelle strategie di gestione per alleviare in parte l'impatto dello stress termico sulle prestazioni degli animali durante le stagioni calde. Tuttavia, gli effetti negativi dello stress termico saranno più evidenti in futuro se i cambiamenti climatici continueranno e, come previsto, se la popolazione e la necessità di alimenti aumenterà a livello mondiale. Inoltre, i programmi di miglioramento genetico che esaltano le caratteristiche di produzione degli animali di allevamento possono aumentare la suscettibilità dell'animale alle alte temperature ambientali a causa della stretta relazione tra la generazione di calore metabolico e livello di produzione.
Gli animali omeotermi (secondo il loro stato fisiologico) hanno una zona termica in cui il dispendio energetico per mantenere la temperatura corporea normale è minima, costante ed indipendente dalla temperatura ambientale. Quando variabili ambientali, quali la temperatura ambiente, l'umidità, la circolazione dell'aria e la radiazione solare si combinano per raggiungere valori che superano il limite superiore della zona termica, gli animali entrano in una condizione nota come stress termico. Lo stress da caldo si verifica quando la temperatura corporea di una data specie supera il range per la normale attività, questo è dovuto ad un aumento di carico termico totale (produzione interna e ambiente) superiore alla capacità di dissipazione del calore stesso. Ciò induce risposte fisiologiche e comportamentali per ridurre lo stress. Risposte comportamentali e fisiologiche sono inizialmente quelle di aumentare la perdita di calore e ridurre la produzione di calore interna nel tentativo di mantenere la temperatura corporea nell'intervallo di normalità. Le risposte iniziali sono considerate: meccanismi omeostatici e comprendono una maggiore assunzione di acqua, aumento della sudorazione e della respirazione, frequenza cardiaca ridotta e riduzione della assunzione di alimenti. Se l’esposizione è prolungata, la risposta di acclimatamento è ottenuta attraverso processi di omeostasi. Queste riposte portano a modificazioni del metabolismo e delle performance (produttive e riproduttive), alla alterazione della risposta immunitaria fino alla morte degli animali.
L'impatto del cambiamento climatico sulla produzione animale è stato classificato come segue: i) disponibilità di alimenti sotto forma di concentrati, ii) pascolo e produzione e qualità delle colture foraggere, iii) salute, crescita e riproduzione e, iv) malattie e diffusione di queste.

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Buongiorno Europa!

Si sono spenti i riflettori sul palcoscenico delle elezioni chiudendo con il voto una campagna elettorale che poco ha avuto a che fare con l’oggetto delle votazioni ed è stato sacrificato alla bassa cucina della nostra politica interna.
Eppure le elezioni del Parlamento Europeo (PE) rappresentano un fatto estremamente innovativo per i popoli europei chiamati a eleggere direttamente i componenti del PE. Non era così agli inizi della costruzione europea quando il PE era solo un’Assemblea parlamentare europea i cui componenti erano nominati dai parlamenti nazionali. L’assemblea fu poi trasformata in Parlamento vero e proprio con elezione diretta per due motivi: a) il costo crescente della Politica Agricola Comune (Pac) che richiedeva un controllo dei bilanci più legittimato, b) lo scarso interesse alla vita della Comunità dei cittadini europei che pur riconoscevano l’importanza storica del tentativo di integrazione in corso fra popoli storicamente nemici.
La Comunità, sin da allora, veniva vista come una sorta di corpo estraneo che si sovrapponeva ai singoli stati, ma nei paesi fondatori l’obiettivo dell’agognata unità politica superava queste remore.
Oggi, a oltre 60 anni dall’inizio, con 28 stati membri, 27 dopo la Brexit, siamo di fronte ad un Parlamento che incarna un’idea di indiscusso successo che non è interpretata da tutti allo stesso modo. Cresce un diffuso malcontento male indirizzato: c’è chi confonde l’Ue con l’euro e vorrebbe uscirne, chi vuole lasciare solo quest’ultimo senza uscire dall’Ue, chi al contrario vorrebbe mantenere la moneta unica sottraendosi all’Ue, chi vorrebbe recuperare il potere delegato all’Ue e chi vorrebbe aumentare il ruolo di quest’ultima. Il risultato di questi atteggiamenti è in parte confermato dalla crescente frammentazione delle famiglie politiche europee che renderà complessi gli equilibri e difficile la formazione degli Organismi comunitari.
Ma veniamo all’agenda europea a breve, e cioè dopo il 31 ottobre: giorno in cui cesseranno i vecchi Organismi, si insedieranno i nuovi e, forse, sapremo qualcosa della Brexit.
In quel momento dovrà iniziare il lavoro di preparazione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) per il prossimo settennio, sapendo se la Gran Bretagna farà ancora parte dell’Ue e per quanto tempo o ne uscirà, con quali tempi e a quali condizioni. Una prima incognita enorme e un tema, quello del bilancio, decisivo per l’attività dell’Ue. La proposta dell’attuale Commissione è stata presentata già da un anno ed è stata esaminata, ma in un contesto che di fatto attendeva l’esito del voto.

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Il doppio scudo protettivo dei Diaspini

I Coccomorfa, meglio noti come Cocciniglie, sono un gruppo di insetti che, per la loro conformazione e per i rivestimenti protettivi del loro corpo, fino al ‘700 erano spesso considerati escrescenze delle piante alle quali erano attaccati con i lunghi stiletti boccali; e anche dopo essere stati riconosciuti come insetti, dallo spiccato dimorfismo sessuale, con femmine neoteniche e maschi neometabolici, non hanno mai suscitato l’interesse dei collezionisti, e sono rimasti  quasi esclusivo oggetto di studio degli specialisti.
Un peculiare gruppo è quello dei Diaspidoidi, così denominati perché il loro corpo è dorsalmente ricoperto dal follicolo, mentre, al ventre è presente un secondo strato isolante più sottile, intero o incompleto, denominato velo ventrale. Ai due involucri, che formano un doppio scudo, si deve il nome di Di-aspidi.

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L'indimenticabile bomba ai Georgofili

Giovedì 27 maggio 1993: un boato nella notte sconvolse Firenze.
Ore 1.04: un’autobomba messa dalla mafia colpì il cuore della città, portandosi via 5 vite innocenti.

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I Georgofili sono uniti e operosi!

Non è facile credere che l’attuale staticità della nostra società possa essere costante per un lungo periodo. Occorre quindi impegnarsi a predisporre nuove tecnologie e loro modalità di uso.
Tutti sappiamo come, verso la fine del secolo scorso, lo Stato italiano decise di trasferire le proprie competenze agricole alle Regioni. La nostra Accademia fu informata che non avrebbe più ricevuto il sostegno finanziario ministeriale, che da tempo era in atto. Da allora avremmo dovuto chiederlo a ciascuna Regione interessata ai temi in corso di studio ed elaborazione.
Vorrei solo ricordare che, all’inizio del III millennio, l’Accademia decise a provvedere coraggiosamente a costituire proprie Sezioni (ciascuna con un proprio Presidente e un Consiglio), almeno una per ogni 3 Regioni. Si provvide anche alla nomina di nuovi Accademici, per cercare di raggiungere equanimi numeri di Georgofili in tutte le aree della Penisola. L’iniziativa ebbe un rapido successo. Nel nuovo millennio, i Georgofili hanno infatti realizzato e sviluppato rapporti innovativi e un ruolo nazionale delle Sezioni, aggiungendone una 7a Sezione internazionale, a Bruxelles.
Come era logico e prevedibile, tutte le Regioni non hanno mancato di favorire iniziative nel proprio territorio. Spesso illustrando qualche modello scelto dalle Amministrazioni locali, Cooperative, Associazioni, ecc., per loro interessi diversi, economici e politici. Non mancano anche altre eccezioni competitive e molto confuse.
Si può rilevare che spesso studiosi, ricercatori, tecnici e altri innovatori, progettano e oggi mirano a costituire rapporti reciproci e collegialmente intrecciati (“reti”) tra attività collegiali, anche di grandi dimensioni e universalmente distanti. Questi modelli sarebbero di grande interesse anche per le singole Regioni autonome.

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Micro e nanoplastiche negli alimenti

È indubbio che la plastica ha invaso i mari divenendo pericolosa per gli animali marini, un rischio per la loro sopravvivenza e per la pesca. Non bisogna però sottovalutare i pericoli della plastica che non si vede e che sta invadendo non solo la terra e i mari, ma anche gli alimenti con rischi non ancora determinati. Infatti le plastiche scaricate nelle acque o abbandonate sui terreni, sotto l’azione di diversi agenti anche atmosferici, vanno incontro a una disgregazione dalla quale originano delle particelle sempre più piccole fino a divenire invisibili a occhi nudo: microplastiche e nanoplastiche. Microplastiche sono una miscela eterogenea di frammenti, fibre, sferoidi, granuli, granuli, scaglie o perline di plastica di dimensioni comprese dai cinque millimetri a un decimo di millimetro. Nanoplastiche sono corpuscoli di plastica di dimensione, con struttura interna o struttura superficiale su scala nanometrica che va da uno a cento nanometri (milionesimi di millimetro). Anche per le plastiche bisogna evitare che si ripeta quanto avvenuto con l’amianto o asbesto, ritenuto un materiale sicuro quando è in forma compatta o inglobata con altri materiali, ma che diviene un potente cancerogeno quando si riduce in micro o nanoparticelle. Non bisogna inoltre dimenticando che numerose ricerche stanno dimostrando che microplastiche e nanoplastiche arrivano negli alimenti e per questo l’argomento è stato e rimane oggetto un argomento di indagini scientifiche e d’attenzione di organizzazioni internazionali quali l’Agenzia europea EFSA che nel 2016 ha emesso un’importante e dettagliata dichiarazione (EFSA Statement - Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood - 11 May 2016).
Le microplastiche presenti negli alimenti hanno diverse origini, la più importante delle quali sono i frutti di mare, gamberetti e pesci piccoli che le concentrano nei loro organi, mentre non sono presenti nel pesce grosso nel quale si elimina il tratto gastrointestinale. Vi è presenza di microplastiche anche nel miele, birra e sale da cucina. Non si esclude che le microplastiche contenute nelle farine di pesce date in alimentazione a polli e maiali possano finire negli alimenti da loro prodotti. Inoltre microplastiche possono provenire da altre fonti oltre al cibo, ad esempio nuovi prodotti tessili e altri processi come strumenti di cucina. Le microplastiche possono contenere anche additivi e assorbire contaminanti. Le microplastiche di maggiori dimensioni presenti negli alimenti sembra siano eliminate con le feci senza produrre danni significativi, mentre quelle di minori dimensioni possono attraversare la barriera intestinale causando un'esposizione sistemica. In un quadro di conoscenze sulle microplastiche ancora molto incompleto molto grave è che poco si sappia sui loro effetti sul microbiota digestivo, sulla potenziale formazione di nanoplastiche nel tratto gastrointestinale umano e non si abbia una sufficientemente precisa valutazione del rischio per la salute umana.
Molto scarse sono le conoscenze sulle nanoplastiche presenti negli alimenti o che arrivano all’uomo dall’acqua, aria, rilascio di macchinari, attrezzature e prodotti tessili di poliestere, poliammide, acrilico ed elastane (pile o pail) che durante la fase di lavaggio rilasciano grandi quantità di microparticelle di plastica. Per le loro dimensioni le nanoplastiche possono entrare nelle cellule ma le conseguenze per la salute umana sono ancora sconosciute, come ignoti sono gli effetti di processi del cucinare e cuocere sulle microplastiche. C'è anche mancanza di informazioni sul destino delle nanoplastiche nel tratto gastrointestinale e i dati disponibili riguardano soltanto il loro assorbimento e la distribuzione, mentre difettano informazioni sul loro metabolismo e escrezione.

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La salute e la sicurezza sul lavoro in agricoltura e selvicoltura, sintesi del convegno

Promosso da Accademia dei Georgofili, Inail, Regione Toscana e Università degli Studi di Firenze, il 7 maggio si è svolto, nella sede dell’Accademia, un Seminario su “La salute e la sicurezza sul lavoro in agricoltura e selvicoltura”. La finalità dell’incontro è stata quella di presentare le possibilità di finanziamento alle imprese offerte dal Bando ISI 2018 dell’INAIL, con speciale riferimento all’agricoltura e alla selvicoltura.

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Uno studio sul controllo neurale del salto delle locuste per saperne di più sul cervello umano

Lo studio della lateralizzazione ha enormemente contribuito alla comprensione di diverse funzioni del nostro sistema nervoso. Anche se la struttura a simmetria bilaterale del cervello animale rende i suoi due emisferi quasi identici, alcune funzioni neurali rimangono specializzate su un particolare lato del cervello. Tradizionalmente, si pensava che la lateralizzazione fosse monopolizzata dagli umani.

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Micropolveri e tipicità alimentare

Diversi studi e in particolare quelli di Dominik Guggisberg e collaboratori (Guggisberg D., Schuetz Ph., Winkler H. et alii - Mechanism and control of the eye formation in cheese - International Dairy Journal 47, 118 – 127, 2015) dimostrano che la formazione degli occhi nel formaggio è il risultato di una fermentazione batterica che porta alla conversione del lattato in propionato, acetato e anidride carbonica e che quest’ultima prodotta dai propionibatteri che forma le caratteristiche cavità del formaggio. Accertato che la formazione nel formaggio di occhi o buchi è dovuta alla produzione di anidride carbonica, resta da stabilire come si formano queste cavità, quando l'intero corpo del formaggio contiene notevoli quantità di anidride carbonica.

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Il nome dei vitigni ibridi resistenti alle malattie fungine: un rischio da non sottovalutare per la viticoltura italiana

Dopo la metà dell’800, con la comparsa in Europa di oidio e peronospora, tutte le varietà di vite da vino coltivate in Italia e appartenenti alla Vitis vinifera, che non hanno geni di resistenza a tali malattie, richiedono annualmente un alto numero di trattamenti fitosanitari. Questa situazione è particolarmente sentita dall’opinione pubblica e rappresenta una grande sfida per la viticoltura, che oggi è considerata una delle attività agricole a più alto impatto ambientale. Una soluzione per ridurre l’impiego dei fitofarmaci, esplorata fino dal primo ‘900, è stata quella di realizzare nuovi vitigni ottenuti con incroci complessi tra viti europee e viti americane (Vitis lincecumii, Vitisrupestris, Vitis labrusca, Vitis riparia), che presentano caratteri di resistenza alle malattie fungine.
I frutti di questo lavoro, effettuato soprattutto in Francia, hanno portato alla costituzione di centinaia di ibridi interspecifici, non sempre dotati di resistenza totale a oidio e peronospora e spesso non in grado di produrre vini di qualità. Alcuni hanno avuto ampia diffusione nella stessa Francia, ma in seguito la maggior parte di essi è stata eliminata dalla coltivazione. Alcuni ibridi si diffusero anche in Italia evennero vinificati, ma i risultati furono inferiori alle aspettative e a partire dal 1936 una legge nevietò l’impiego enologico.
Nonostante questi insuccessi, i programmi di incrociocon la Vitis vinifera sono proseguiti fino ai giorni nostri in numerosi istituti di ricerca francesi, tedeschi ed ungheresi, inserendo nell’ibridazione nuovi genotipi (Vitis rotundifolia e Vitis amurensis), ma anche le accessioni migliori, prodotte negli anni ’80-‘90 dal Centro tedesco di Geilweilerhof e battezzate con nomi di fantasia (Pollux, Castor, Phoenix, Silva, Sirius,Orion) non sono state diffuse in Italia.
Solo nel 2009 alcuni ibridi bianchi (B.) e neri (N.) di terza generazione (Bronner B. e Regent N.), prodotti rispettivamente dal Centro di Friburgo e da quello di Geilweilherhof e inseriti nel registro tedesco sono stati iscritti in quello italiano su richiesta della Provincia di Bolzano. Ulteriori immissioni nel nostro registro di ibridi prodotti a Friburgo (Cabernet carbon N., Cabernet cortis N., Helios B., Johanniter B., Solaris B. e Prior N.) sono poi avvenute nel 2013 con il sostegno del FEM di San Michele all’Adige e della Provincia di Trento. Nel 2014, con l’appoggio di Trento e di Bolzano sono stati inseriti nel registro italiano altridue ibridi di Friburgo (Muscaris B. e Sauvignier gris).
Infine, nel 2015, sono stati iscritti al nostro registro altri10 vitigni ibridi resistenti a oidio e peronospora, prodotti in Italia dall’Università di Udine edi cui parleremo in seguito. E’opportuno ricordare che a norma della nostra legislazione nessun ibrido può concorrere alla produzione di vini DOC e DOCG.
Tutto ciò premesso, si possono fare dueconsiderazioni: la prima è che se un vitigno è omologato nel registro di una nazione UE, può essere iscritto direttamente anche in quello italiano; la seconda è che per la prima volta nel 2013 due ibridi tedeschi con il nome aggettivato del genitore europeo (Cabernet carbon N. e Cabernet cortis N.), furono iscritti con lo stesso nome in Italia; la loro omologazione avvenne praticamente “d’ufficio”, poiché nel 2012 era stato sciolto il “Comitato nazionale per la classificazione delle varietà di vite”, che nell’ambito del nostro Ministero aveva avuto fino allora il compito di controllare le richieste di iscrizione.
Si creò così nel catalogo italiano un precedente non trascurabile,e cioè la possibilità di omologare nuove varietà da incrocio che avevano come parte del nome quello di un parentale. Quando infatti nel 2014 l’Università di Udine presentò al Ministero la richiesta di iscrizione dei 10 vitigni ibridi a cui si è accennato, a 3 di essi i Costitutori avevano attribuito un nome di fantasia (Fleurtai B., Soreli B. e Julius N.), ma agli altri 7 avevano dato il nome del genitore “nobile”europeo integrato da un attributo qualitativo (Petit Cabernet N., Royal Cabernet N., Petit Merlot N., Royal Merlot N., Early Sauvignon B., Petit Sauvignon B. e Sauvignon doré B.) . I nuovi ibrididerivavano infatti da incroci tra le indicate varietà internazionali di Vitis vinifera e ibridi complessi ungheresi e tedeschi ed erano stati selezionati dall’Università di Udine con la collaborazione dell’Istituto di Genomica Applicata e dei Vivai Cooperativi Rauscedo. A detta degli stessi Costitutori, la scelta dei nomi europei per alcuni di essi era motivata da motivi commerciali, in quanto molte indagini avevano evidenziato “l’importanza del richiamo al nome di un vitigno di valore internazionale ai fini della diffusione della varietà”.

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