Dopo la metà dell’800, con la comparsa in Europa di oidio e peronospora,
tutte le varietà di vite da vino coltivate in Italia e appartenenti
alla
Vitis vinifera, che non hanno geni di resistenza a tali
malattie, richiedono annualmente un alto numero di trattamenti
fitosanitari. Questa situazione è particolarmente sentita dall’opinione
pubblica e rappresenta una grande sfida per la viticoltura, che oggi è
considerata una delle attività agricole a più alto impatto ambientale.
Una soluzione per ridurre l’impiego dei fitofarmaci, esplorata fino
dal primo ‘900, è stata quella di realizzare nuovi vitigni ottenuti con
incroci complessi tra viti europee e viti americane (V
itis lincecumii, Vitisrupestris, Vitis labrusca, Vitis riparia), che presentano caratteri di resistenza alle malattie fungine.
I
frutti di questo lavoro, effettuato soprattutto in Francia, hanno
portato alla costituzione di centinaia di ibridi interspecifici, non
sempre dotati di resistenza totale a oidio e peronospora e spesso non in
grado di produrre vini di qualità. Alcuni hanno avuto ampia diffusione
nella stessa Francia, ma in seguito la maggior parte di essi è stata
eliminata dalla coltivazione. Alcuni ibridi si diffusero anche in Italia
evennero vinificati, ma i risultati furono inferiori alle aspettative e
a partire dal 1936 una legge nevietò l’impiego enologico.
Nonostante questi insuccessi, i programmi di incrociocon la
Vitis vinifera sono
proseguiti fino ai giorni nostri in numerosi istituti di ricerca
francesi, tedeschi ed ungheresi, inserendo nell’ibridazione nuovi
genotipi (
Vitis rotundifolia e Vitis amurensis), ma anche le
accessioni migliori, prodotte negli anni ’80-‘90 dal Centro tedesco di
Geilweilerhof e battezzate con nomi di fantasia (Pollux, Castor,
Phoenix, Silva, Sirius,Orion) non sono state diffuse in Italia.
Solo
nel 2009 alcuni ibridi bianchi (B.) e neri (N.) di terza generazione
(Bronner B. e Regent N.), prodotti rispettivamente dal Centro di
Friburgo e da quello di Geilweilherhof e inseriti nel registro tedesco
sono stati iscritti in quello italiano su richiesta della Provincia di
Bolzano. Ulteriori immissioni nel nostro registro di ibridi prodotti a
Friburgo (Cabernet carbon N., Cabernet cortis N., Helios B., Johanniter
B., Solaris B. e Prior N.) sono poi avvenute nel 2013 con il sostegno
del FEM di San Michele all’Adige e della Provincia di Trento. Nel 2014,
con l’appoggio di Trento e di Bolzano sono stati inseriti nel registro
italiano altridue ibridi di Friburgo (Muscaris B. e Sauvignier gris).
Infine,
nel 2015, sono stati iscritti al nostro registro altri10 vitigni ibridi
resistenti a oidio e peronospora, prodotti in Italia dall’Università di
Udine edi cui parleremo in seguito. E’opportuno ricordare che a norma
della nostra legislazione nessun ibrido può concorrere alla produzione di
vini DOC e DOCG.
Tutto ciò premesso, si possono fare
dueconsiderazioni: la prima è che se un vitigno è omologato nel registro
di una nazione UE, può essere iscritto direttamente anche in quello
italiano; la seconda è che per la prima volta nel 2013 due ibridi
tedeschi con il nome aggettivato del genitore europeo (Cabernet carbon
N. e Cabernet cortis N.), furono iscritti con lo stesso nome in Italia;
la loro omologazione avvenne praticamente “d’ufficio”, poiché nel 2012
era stato sciolto il “Comitato nazionale per la classificazione delle
varietà di vite”, che nell’ambito del nostro Ministero aveva avuto fino
allora il compito di controllare le richieste di iscrizione.
Si creò
così nel catalogo italiano un precedente non trascurabile,e cioè la
possibilità di omologare nuove varietà da incrocio che avevano come
parte del nome quello di un parentale. Quando infatti nel 2014
l’Università di Udine presentò al Ministero la richiesta di iscrizione
dei 10 vitigni ibridi a cui si è accennato, a 3 di essi i Costitutori
avevano attribuito un nome di fantasia (Fleurtai B., Soreli B. e Julius
N.), ma agli altri 7 avevano dato il nome del genitore “nobile”europeo
integrato da un attributo qualitativo (Petit Cabernet N., Royal Cabernet
N., Petit Merlot N., Royal Merlot N., Early Sauvignon B., Petit
Sauvignon B. e Sauvignon doré B.) . I nuovi ibrididerivavano infatti da
incroci tra le indicate varietà internazionali di
Vitis vinifera e
ibridi complessi ungheresi e tedeschi ed erano stati selezionati
dall’Università di Udine con la collaborazione dell’Istituto di Genomica
Applicata e dei Vivai Cooperativi Rauscedo. A detta degli stessi
Costitutori, la scelta dei nomi europei per alcuni di essi era motivata
da motivi commerciali, in quanto molte indagini avevano evidenziato
“l’importanza del richiamo al nome di un vitigno di valore internazionale ai fini della diffusione della varietà”.
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