Notiziario








Cinghiali e peste suina africana alle porte

Oggi una grave peste degli animali è alle porte e minaccia all’Italia, particolarmente esposta all’infezione per la presenza nel suo territorio di una densa popolazione di cinghiali. É la Peste Suina Africana o PSA, causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus (da ASF, sigla della denominazione della malattia in inglese: African Swine Fever) in continua diffusione nei paesi dell’Europa Orientale.

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Voglia di dazi e di dogane

Si possono cogliere nell’aria le tendenze che si diffondono e influenzano i comportamenti della politica. Fra queste, sia in ambito economico generale, sia in quello più contenuto dell’agricoltura sia, infine, fra la gente alle prese con un’economia che ristagna, sembra farsi strada la propensione verso politiche di tipo protezionistico. Ve ne è traccia nelle richieste che comparti produttivi e categorie avanzano con crescente insistenza e nel tentativo di formare un movimento politico per il recupero di sovranità.

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Il vino ha un tavolo con tre Ministeri, l’ICE e tutto il sistema. L’ortofrutta niente. Ma forse c’è un perché …

Per carità, essendo il primo comparto del nostro export agroalimentare, si merita ampiamente questo trattamento di attenzione. Anzi è doveroso. Ma la seconda voce del nostro export, l’ortofrutta, anche alla luce dei buoni risultati del 2016, non meriterebbe analoghe premure? 

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Nuovi animali da compagnia

Ai cani di piccola taglia e ai gatti di ogni tipo si sono aggiunti (in ordine alfabetico) camaleonti, cavie o porcellini d’india, cincillà, conigli, criceti, furetti, gerbilli di diversa specie, iguane, lucertole, pappagalli delle più diverse origini e varietà, polli di razze nane, ratti, rettili, serpenti, tartarughe, topi e topolini senza dimenticare, in taluni paesi, i maiali nani vietnamiti, pet pigs o pot-bellied pigs

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Un mondo senza banane?

Il frutto più venduto a mondo? Nessun dubbio, la banana! Gli americani ne mangiano un chilo ogni mese (più della somma di mele e arance), noi europei un po’ meno (10 kg all’anno, siamo più ghiotti di agrumi e mele). Ricca di sali minerali (soprattutto potassio) e di vitamine, accreditata per una infinità di proprietà nutraceutiche (dal potere antiossidante alla ricchezza in fibre, dal miglioramento della concentrazione alla protezione da ictus, e così via), la banana risponde in pieno alle aspettative del consumatore, essendo di dimensioni perfette, facile da trasportare, sbucciare e mangiare, anche per strada. C’è però un (grosso) problema: la pianta (Musa x paradisiaca, ibrido tra M. acuminata e M. balbisiana) è suscettibile alle infezioni di un microfungo che vive nel terreno, penetra attraverso le radici e invade il sistema vascolare, portando inesorabilmente a morte la vittima. Ed è proprio il rapporto con questo patogeno (Fusarium oxysporum f.sp. cubense, Foc, agente della cosiddetta “Panana disease”) che ha segnato profondamente la storia della banana. Segnalata per la prima volta in Australia nel 1874, la malattia ha rapidamente messo in ginocchio la bananicoltura di tutto il mondo, sino a costringere all’abbandono la produttiva e ben apprezzata cultivar Gros Michel (“Big Mike”), una volta incontrastata regina del mercato. Infatti, la particolare capacità del patogeno di sopravvivere per decenni nei terreni infetti (tale è la longevità delle clamidospore), unita alla materiale impossibilità di applicare trattamenti chimici o fisici (per non citare le difficoltà di intervenire negli appezzamenti infetti con la sommersione prolungata), ne rese impossibile la coltivazione. Il miglioramento genetico (siamo negli anni ’50 del secolo scorso) mise a disposizione un’altra cultivar, la Cavendish, resistente a Foc, seppur decisamente inferiore alla Gros Michel per caratteristiche organolettiche, più propensa all’imbrunimento e meno idonea al trasporto; questo aspetto costrinse alla riorganizzazione dei trasporti a lunga distanza, con la rinuncia alle navi bananiere e ai tradizionali vagoni ferroviari e con l’adozione di nuove tecniche di imballaggio e alla frigoconservazione. E fu il momento di gloria della Cavendish, suo malgrado nuova incontrastata dominatrice dei mercati internazionali.

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La ricerca in agricoltura nel segno della continuità

Diceva Bernardo di Chartres che siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane. Le ricerche che conduciamo ci porteranno, infatti, a vedere più lontano dei nostri Maestri, non perché dotati di un acume superiore, ma poiché il Loro esempio ed il Loro lavoro ci hanno innalzati verso vette che parevano irraggiungibili. La ricerca in ambito agrario, infatti, ha subito un'accelerazione senza pari nell’ultimo secolo, e tra i protagonisti delle più diffuse innovazioni figurano numerosi Accademici dei Georgofili, tra cui spicca la personalità instancabilmente curiosa ed operosa del Prof. Franco Scaramuzzi.
La percezione di essere sollevati e portati in alto dalla Sua statura accademica è stata tangibile anche Lunedì 10 Aprile 2017, nel Salone degli Affreschi dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro, durante la giornata di studi intitolata “LA RICERCA IN AGRICOLTURA NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ”, organizzata dall’Accademia dei Georgofili Sezione Sud-Est per celebrare i 90 anni del suo presidente onorario, Prof. Franco Scaramuzzi.
Ad accogliere la vasta platea di studenti, dottorandi, docenti, personale tecnico amministrativo, ma anche imprenditori dell’agro-alimentare pugliese, il saluto di benvenuto del Prof. Giacomo Scarascia Mugnozza, Direttore del Dipartimento di Scienze Agro Ambientali e Territoriali, a cui ha fatto seguito l’intervento del Pro-Rettore, Prof. Angelo Vacca, che è culminato con la consegna della pergamena al Prof. Franco Scaramuzzi dell’Associazione Alumni dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro.
Emozionante la serie di immagini che hanno accompagnato la relazione del Prof. Vittorio Marzi, Presidente della Sezione Sud-Est, e che hanno ripercorso la vita e la carriera del Prof. Scaramuzzi dal giorno della sua nascita a Ferrara, il 26 Dicembre 1926 ad oggi: l’infanzia durante il fascismo, l’immatricolazione alla Facoltà di Agraria, a Bari, immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la leggerezza goliardica della gioventù, la laurea, la borsa di studio del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, l’inizio della sua attività di ricercatore nell’Istituto di Coltivazioni arboree della Facoltà di Agraria di Firenze, l’incontro con la cara Maria Bianca, il matrimonio, i figli, le esperienze di ricerca all’estero e i quattro mandati da Rettore in anni di grandi cambiamenti sociali che inevitabilmente hanno coinvolto anche l’università.

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Il PIT con valore di Piano paesaggistico della Regione Toscana: tappa e non traguardo nella storia della tutela del paesaggio in Italia

PARTE II: dalla Convenzione europea del paesaggio ad oggi e La percezione del paesaggio ieri e oggi
Una vera svolta è rappresentata dalla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 (approvata in Italia nel 2006), da cui riparte in modo attivo il dibattito culturale sul tema paesaggio. Per la prima volta si cerca di dare una definizione al paesaggio, nel preambolo della Convenzione si definiscono i ruoli del paesaggio, la valenza, non solo e non tanto estetica, “come quadro” ma anche e soprattutto di carattere sociale e si individuano dei principi di tutela. 

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La piaga dello sfruttamento nei campi: indignarsi e ripartire!

Da un amico che vive e insegna in una università americana ricevo un messaggio preoccupato che dice:  “mentre io e te parliamo di “human capital” dei lavoratori agricoli, guarda cosa succede in Puglia”  e mi segnala il link di un articolo comparso con grande evidenza nel New York Times del 12 Aprile scorso, a firma di Gaia Pianigiani, con il titolo “A Woman's Death Sorting Grapes Exposes Italy's Slavery” (La morte di una donna addetta alla coltivazione dell'uva mette in evidenza la piaga dello sfruttamento della mano d'opera in Italia)*.  Il mio amico conclude tristemente: “come si fa a parlare di qualità se i lavoratori sono schiavi?” 
E' il grido di dolore di un italiano che vorrebbe essere fiero della sua patria ed è messo invece nelle condizioni di vergognarsene.

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A settant’anni dai Trattati di Roma

 1. Gli stati dell’Europa occidentale, usciti distrutti dalla II guerra mondiale, decisero, pur fra tentennamenti e retromarce, di avviare un processo di integrazione che puntò su quella economica, non essendo stato possibile superare il non spento nazionalismo di molti, ostacolo che non consentì di puntare a una vera integrazione politica.
Appunto l’oscillare fra spinte a favore dell’integrazione e il nazionalismo ha caratterizzato la vita della Comunità economica europea, poi Comunità europea e, infine, Unione europea; alla politica della sedia vuota avviata da De Gaulle nei primi anni di vita della CEE e alla previsione, contenuta nel Trattato di Lisbona del 2010, della possibilità di uscire dall’UE si contrappongono l’Atto Unico europeo, entrato in vigore nel 1987, che diede un forte impulso alla creazione di un mercato unico, e quello di Maastricht, fondamento per la creazione dell’euro, che sembrava essere, ma non lo è stato fino ad ora, un passo decisivo verso una integrazione politica. 
A questa incertezza negli orientamenti “politici” si accompagnò una posizione attorno l’ammissione di nuovi stati membri sempre più lassista, e seguita per meri e presunti fini geopolitici da un lato, di allargamento del mercato dall’altro.
Ma gli ultimi stati ammessi non hanno accettato, sin dall’origine, l’implicita idea d’integrazione politica, vedendo nell’entrata nell’Ue un mezzo per associarsi a stati più ricchi e come, nel caso di quelli dell’Europa orientale, uno strumento per sottrarsi all’influenza russa.
La crisi americana del 2008 contagiò, ben presto, anche l’Unione, ma fu affrontata, sul piano monetario, con minore prontezza ed efficacia rispetto agli USA, e ciò proprio per l’incompletezza politica dell’integrazione e l’assenza di un sistema politico capace di decisioni rapide. La BCE, infatti, restò – in sostanza - il solo “manovratore” nella lotta alla crisi, e, legata com’è a regole strettamente monetaristiche, ha potuto operare solo tardi e grazie alla determinazione del suo governatore e, comunque, con effetti, per forza di cose, meno brillanti.

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Oltre l’agnello pasquale

Nella settimana che ha preceduto la Pasqua le prime pagine dei giornali e le televisioni si sono a lungo ed ampiamente interessate degli agnelli. Grandi personaggi con un sicuro fiuto per la comunicazione sono stati effigiati con agnellini e pecore di forte effetto emotivo. È stata affrontata una grande varietà di temi confondendo fede e gastronomia, civiltà e tradizioni, ma anche l’iniziativa concreta di Coldiretti “SalvaUnPastore” con quella legislativa che vuole impedire la macellazione di numerose specie, fra cui, appunto, gli ovini.
Indietro nel tempo, dopo il cane, i primi animali addomesticati furono circa 8500 anni fa pecore e capre nell’area della mezza luna fertile. Nasce così l’antica consuetudine di queste specie con l’uomo che le ha impiegate nello sviluppo dell’agricoltura e per il contributo dato all’alimentazione. A quel tempo risale la loro rilevanza nelle religioni nate in quell’area come quella ebraica e poi quella cristiana, in cui scompaiono i sacrifici di animali e si forma l’evidenza simbolica. Le nascite primaverili sono collegate al rito celebrativo della Resurrezione. Si rafforza il simbolo dell’Agnus Dei, l’agnello innocente. 
Oggi la battaglia contro il consumo di carni ha scelto la sua fine brutale come indice di grande efficacia. Personalmente non accettiamo la morte dell’abbacchio, inutilmente cruenta, ma allo stesso tempo siamo convinti sostenitori della necessità per l’organismo umano di completare la sua nutrizione con gli alimenti di origine animale. La loro pericolosità viene associata dalla scienza all’eccesso quantitativo ed alle modalità di preparazione delle carni, non al consumo in sé. 
L’azione di chi utilizza in maniera forzata l’immagine dell’agnello induce a molte riflessioni, su almeno due delle quali vorremmo fermarci. La prima riguarda la modalità con cui essa viene condotta che è paradossalmente violenta sia per le frange più oltranziste, spesso fortemente ideologizzate in senso anti società, sia in quelle più moderate ed istituzionali che vogliono l’affermazione della loro posizione con leggi che renderebbero obbligatori comportamenti individuali che sono invece liberi per loro natura. Un’imposizione inaccettabile in una società come la nostra, costruita sui diritti e le libertà fondamentali dell’umanità. La battaglia per la diffusione dell’alimentazione veg è lecita, come lo è il consumo di carni, ma in un contesto non coercitivo. Per non parlare del fatto che gli improvvisati salvatori degli agnelli sembrano ignorare una verità che ci è stata sottolineata da un pastore: senza agnelli la pecora non produce nemmeno latte e quindi non si fanno formaggi, ma soprattutto non si prolunga la catena madri-figli, con tanti saluti alla salvaguardia della specie.

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La cooperazione è un valore ma deve crescere

“Crescere” è l’imperativo categorico, ma crescere significa aggregarsi. E per aggregarsi non occorre fondersi, ci si può aggregare ‘a rete’, con alleanze commerciali, ecc.

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I Georgofili sottoscrivono un protocollo di intesa con Sidea (Società Italiana di Economia Agraria) e con Siea (Società Italiana di Economia Agro-alimentare)

Venerdì 7 aprile 2017, prima della cerimonia in Palazzo Vecchio per l’ inaugurazione del 264° anno accademico, il Presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi ha firmato due protocolli di intesa: uno con Sidea (Società Italiana di Economia Agraria), rappresentata dal Presidente Francesco Marangon ed uno con Siea (Società Italiana di Economia agro-alimentare), rappresentata dal Presidente Pietro Pulina.
Gli accordi di collaborazione prevedono di promuovere sinergicamente convegni di studio relativi all'economia e politica agraria italiana ed europea, sia in Italia che a Bruxelles; di favorire la collaborazione con enti e istituzioni pubblici e/o privati italiani e/o stranieri, condividendo in particolare i metodi di ricerca e lo studio dei risultati ottenuti nel campo dell’economia agraria e delle materie ad essa connesse; di diffondere i risultati delle ricerche svolte attraverso i propri associati, su riviste scientifiche, anche internazionali, in collaborazione con associazioni di economisti agrari di altri Paesi, e di dare la massima diffusione a tutte le iniziative di reciproco interesse e divulgare informazioni tecnico-scientifiche anche attraverso la comunicazione digitale.
I due protocolli hanno durata triennale e potranno essere rinnovati.

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Inaugurato il 264° Anno Accademico dei Georgofili

Si è svolta venerdì 7 aprile nel Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, la cerimonia per l’inaugurazione del 264° Anno Accademico dei Georgofili.
Dopo il saluto del Sindaco Dario Nardella, il quale ha sottolineato l’importanza della ricerca in agricoltura e il rinnovato interesse al settore primario da parte dei giovani, il Presidente Giampiero Maracchi ha svolto la sua relazione, incentrata sul ruolo dei Georgofili nell’attuale quadro europeo. 
Maracchi ha evidenziato i principali problemi del settore agricolo ed ha prospettato le linee programmatiche dell’Accademia dei Georgofili, sottolineando che esse sono ispirate alla Dichiarazione di Cork del settembre 2016; su ciascun punto della dichiarazione verrà infatti predisposto da parte del Consiglio e del Corpo accademico (950 membri) un dossier. Per realizzare gli obiettivi preposti saranno inoltre organizzate iniziative in collaborazione con varie istituzioni rappresentative del mondo agricolo, con le quali sono stati sottoscritti protocolli di intesa. Il Presidente dei Georgofili ha così sintetizzato le priorità da raggiungere: garantire agli agricoltori un reddito minimo di filiera, conteggiare i servizi aggiuntivi dell’agricoltura e della selvicoltura, promuovere prodotti e materie prime di qualità, incentivare le attività complementari (energie alternative, materie prime no-food), favorire gli investimenti e il credito, promuovere le attività del bosco ed informare consumatori ed agricoltori. Il quadro ampio della situazione in agricoltura con il programma di lavoro dei Georgofili, illustrato dal Presidente Maracchi, ha raccolto l’attenzione e il plauso dell’ampio uditorio del Salone dei Cinquecento.
La prolusione è stata svolta da Phil Hogan, Commissario all’Agricoltura e allo Sviluppo rurale della Commissione Europea, il quale ha esordito dichiarandosi onorato di aprire l’anno accademico di una istituzione tanto prestigiosa e antica che ha indirizzato l’agricoltura fin dalla sua nascita, nel 1753, e continua a farlo ancora oggi.

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A Bari, celebrazione dei 90 anni di Franco Scaramuzzi

Lunedì 10 aprile 2017 alle ore 16.30 nel Salone degli Affreschi dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro (Piazza Umberto I) si svolgerà la celebrazione 90 anni del Prof. Franco Scaramuzzi, Presidente onorario dell’Accademia dei Georgofili.
L’evento si intitola: La ricerca in agricoltura nel segno della continuità

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Quanta acqua per un chilo di carne? Utilizzo e non consumo

Ieri, l’altro ieri o qualche giorno prima, come tanti italiani, ho bevuto l’urina di Giulio Cesare. Questo condottiero, nei suoi sessantatre anni di vita, ha eliminato oltre trenta tonnellate di urina che, escluse quelle della sua breve permanenza nella Gallia settentrionale, sono ricadute nel bacino del Mediterraneo dove il ciclo con rimescolamento delle molecole dell’acqua, secondo alcuni calcoli, si completa ogni duemila anni.

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60 anni di Europa e di Pac

Il 60°anniversario della firma del Trattato di Roma si è trasformato in una tribuna per i sostenitori di posizioni contrapposte e per cercare di animare un dibattito che, nonostante tutto, langue, probabilmente perché privo di attrattive e alternative concrete. Un membro importante come la Gran Bretagna si accinge ad uscire dall’Ue: è il primo caso dalla fondazione e si verifica in un momento in cui l’euroscetticismo, o meglio l’anti europeismo, si diffonde. Le posizioni avverse da noi si confrontano sull’obiettivo politico del recupero di sovranità.  Quand’anche si realizzasse in Italia non si risolverebbero tre problemi chiave come la disoccupazione a livelli record, l’inarrestabile flusso immigratorio, il colossale deficit di bilancio.
L’Europa comunitaria si è sviluppata senza avere sciolto molti nodi e, sopra a tutti, un contrasto di fondo fra due concezioni: quella di essere un’aggregazione di paesi che partendo dall’economia puntasse all’obiettivo dell’unione politica e quella, più limitata, di realizzare una grande area di libero scambio. Ad esse si è aggiunta una terza concezione presente nei paesi dell’Europa centro orientale reduci dal crollo del comunismo che cercano un sostegno economico per la loro ricostruzione. I popoli europei, oggi, stanno insieme, ma non comprendono che le motivazioni non sono condivise.
L’anniversario è l’occasione per riflettere anche sulla Pac, presente nel Trattato di Roma, poi rimasta nelle successive versioni e disegnata nel 1958 dalla Conferenza di Stresa. La Pac conferisce un primato alla Cee: è l’unico caso di un’area di libero scambio che abbia introdotto anche i prodotti agricoli creando per essi addirittura una specifica politica comune.  L’ingresso inglese nel 1973 fu rallentato e condizionato anche da essa, poco compatibile con la politica agraria inglese. Entrambe protezionistiche, ma la Pac abbinava l’intervento strutturale, basato su strategie e finanziamenti comuni, ad un sostegno pagato dai consumatori attraverso prezzi più elevati di quelli del mercato mondiale e la protezione del mercato interno dalle importazioni grazie a un sistema di dazi mobili e incentivi all’esportazioni. La politica inglese era basata sull’ integrazione dei prezzi di mercato percepiti dai produttori (deficiency payments) che scaricava l’onere del sostegno ai contribuenti e lasciava il mercato più esposto alle dinamiche di quello mondiale. Quando l’Ue è stata costretta a modificare la vecchia Pac, scostandosi sempre più dal modello originario, ne ha scelto uno più vicino a quello inglese. Ciò spiega la volatilità degli scorsi anni ed i prezzi bassi dell’ultimo triennio.
La pesantezza della crisi di tutta l’agricoltura europea oggi impone una coraggiosa rilettura di questa versione della Pac e l’attivazione di meccanismi diversi e più efficienti, pur rimanendo nel solco tracciato dalle trattative internazionali.

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Dalle scoperte scientifiche alle applicazioni tecnologiche: passaggio tutt'altro che scontato

Negli ultimi anni si è discusso molto, anche in questa Accademia, di "genome editing", cioè di un metodo di modifica del DNA, molto efficace e diverso dal più anziano "trasferimento genico". I genetisti ci hanno spiegato in cosa consiste e come sia suscettibile di impiego pratico anche per il miglioramento genetico delle piante coltivate. Ciò che è meno conosciuta è la complessa battaglia che si sta combattendo tra gruppi di scienziati e Istituzioni scientifiche per il riconoscimento del diritto allo sfruttamento del "know how", recentemente documentata dalla rivista americana Science. Esistono varie tecniche di "genome editing" che consentono di modificare i geni; tra di esse la più promettente viene chiamata CRISPR e si basa sull'uso di segmenti di DNA procariotico contenenti sequenze ripetitive. Nel 2012 due ricercatrici, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, pubblicano un articolo su Science nel quale dichiarano lo straordinario potenziale applicativo della tecnica CRISPR/Cas9; Cas9 è una endonucleasi associata a CRISPR che, di fatto, viene guidata nel sito esatto del DNA dove si deve esercitare il taglio. Infatti le due scienziate si erano convinte che con questo strumento si potesse tagliare il DNA in modo mirato, modificando poi i geni e quindi, la loro espressione. L'interesse del mondo scientifico su questa tecnica è stato immediato, come dimostra il numero delle pubblicazioni sul CRISPR che salgono dalle 126 del 2012 alle 2155 del 2016. Nel frattempo, il lavoro delle due scienziate desta l'interesse di molti altri valenti colleghi insieme ai quali condividono l'idea di formare, tutti insieme, una società per mettere la tecnica a disposizione del mercato che appare molto vasto (dalla medicina alla agricoltura, all'ambiente ecc.). Ma l'interessante tentativo unitario non decolla, come spesso accade alle belle idee. La comunità dei ricercatori si divide presto per disaccordi su vari argomenti: preoccupazioni circa la proprietà intellettuale, rapporti con le Università e con gli Enti di ricerca (Università della California, Broad Institute, Università di Harvard, Massachusetts Institute of Technology e Università di Vienna), ambizioni di premio Nobel, presenza in trasmissioni televisive, profitti personali, ecc. In pratica una classica saga accademica con tutti gli ingredienti e soprattutto un forte ego. Ciascun gruppo prende quindi la sua strada e vengono fondate varie Società. Si stima che siano stati raccolti circa due miliardi di dollari di "Venture Capital" di cui varie decine di milioni sono stati spesi per gli avvocati che hanno dovuto gestire la grande battaglia per stabilire chi avesse diritto a brevettare le tecniche scoperte, presso lo U.S. Patent and Trademark Office (USPTO).

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Inaugurazione del 264° Anno Accademico dei Georgofili

Venerdì 7 aprile 2017 alle ore 10.30, nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, si svolgerà la cerimonia di Inaugurazione del 264° Anno Accademico dei Georgofili.

Programma:

- Saluto del Sindaco 
- Relazione del Presidente Giampiero Maracchi
- Prolusione di Phil Hogan, Commissario all'Agricoltura e Sviluppo Rurale della Commissione Europea 

E' stato invitato il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina.

Chi desidera avvalersi del servizio di traduzione simultanea è invitato a presentarsi alle ore 10.00

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