Anche il latte può diventare nuovo o, meglio, un Novel Food.Quest’alimento più antico del mondo, secondo la legislazione alimentare comunitaria e con il Regolamento (CE) 258/97, se è sottoposto a un processo di produzione non generalmente utilizzato che comporta nella sua composizione o nella sua struttura cambiamenti significativi del
valore nutritivo, del loro metabolismo o della percentuale di sostanze indesiderabili deve essere esaminato e eventualmente approvato comeNovel Food. É quanto successo quando la Commissione Europea, con Decisione 2016/1189 ha autorizzato l’immissione sul mercato alimentare dell’Unione Europea di un latte alimentare trattato con raggi ultravioletti (raggi UV).
I raggi UV applicati in opportuna dose al latte pastorizzato hanno una duplice funzione. La prima è l’azione battericida che, unita a un trattamento termico di pastorizzazione, prolunga la vita (shelf life) del latte fresco (intero o scremato) da 14 a 21 giorni, con ovvi effetti commerciali. La seconda funzione del trattamento è che i raggi UV, agendo su un precursore presente nel latte, aumentano in quest’alimento la quantità di vitamina D, in modo analogo a quanto avviene nella pelle irradiata dai raggi solari.
Un aumento di vitamina D in un alimento di grande uso come il latte ha diversi aspetti, partendo dal fatto che quest’alimento, nelle normali condizioni di produzione, contiene solo tracce di questa vitamina, per cui sono già in commercio latti speciali nei quali questa vitamina è aggiunta come additiva, a volta anche assieme al calcio.
La vitamina D, contenuta nell’olio di fegato di merluzzo, uova, salmone e pesci grassi, fegato e alcune verdure in foglie, è anche prodotta dalla esposizione della pelle ai raggi solari e è necessaria per prevenire diverse malattie, prima di tutte il rachitismo infantile e giovanile.
In un’alimentazione variata e soprattutto con uno stile di vita sana all’aperto non vi è bisogno d’interventi supplementari di vitamina D, ma si stanno diffondendo condizioni particolari nelle quali la carenza di questa vitamina diviene pericolosa. Tra queste condizioni vi è l’alimentazione unilaterale di fasce povere della popolazione, la scarsa o nulla esposizione al sole per paura di tumori della pelle (melanoma), la necessità di vitamina D negli anziani a rischio di osteoporosi, la presenza di popolazioni con pelle scura in paesi a scarsa illuminazione solare, soprattutto se di fascia povera. Secondo alcuni studi, l’abitudine di donne che vivono completamente coperte e non ricevono un’adeguata quantità di radiazioni solari, espone i neonati a carenza di vitamina D e quindi al rachitismo. Bassi livelli di vitamina D sembrano associarsi anche a fenomeni depressivi: uno studio del 2013 pubblicato sul British Journal of Psychiatry su più di 30.000 individui trova una forte
correlazione tra carenza di vitamina D e un più alto tasso di depressione. Altri studi suggeriscono l'efficacia della vitamina D nella cura di sintomi depressivi, sempre in virtù di un calo di esposizione alla luce solare, come accade tipicamente nei periodi autunnali e invernali e una dose di 300.000 UI è riuscita a migliorare lo stato di depressione in modo statisticamente significativo.
Leggi