Notiziario













Ai Georgofili la Presidenza della UEAA per il prossimo biennio

Si è svolto a Firenze il 22 e 23 novembre 2018, presso l'Accademia dei Georgofili, il Congresso della UEAA (Union of European Academies for Science Applied to Agriculture, Food and Nature).
La UEAA è l'Unione Europea delle Accademia di Agricoltura e ne fanno parte molti Paesi: dalla Croazia all'Inghilterra, dalla Grecia alla Francia, dall'Estonia alla Georgia, dalla Svezia alla Finlandia, dal Portogallo alla Romania, all'Ucraina e altri ancora.

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"Potenzialità della tecnologia genome editing per la difesa delle piante", un incontro a Pisa

L’incontro, che ha la finalità di fare il punto sulle possibili applicazioni della tecnica del genome editing al fine di fornire nuovi strumenti per la gestione delle malattie delle piante, vedrà l’intervento di esperti ricercatori italiani che toccheranno diversi aspetti connessi con la difesa delle piante da avversità biotiche e abiotiche.

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Che nelle nostre città non sorgano solo grattacieli, ma anche “alberi di trenta piani”

Si va rafforzando la persuasione che la scienza sia il possibile schermo di un sistema di potere economico occulto. La diffusione del pregiudizio antiscientifico è a misura di quella del risorgente pregiudizio anti capitalista. La ‘cultura del sospetto’ non è tanto l’ingenuo riflesso di un’opinione pubblica ignara dei progressi della scienza moderna, quanto una manifestazione della più diffusa sindrome politica contemporanea (Carmelo Palma, 2017).
Ho preso questa frase come incipit di questa riflessione perché trovo che si attagli perfettamente alla situazione che interessa gli alberi nel nostro Paese in cui, per esempio, una specie di manifesto elettorale di una lista civica di un comune del Nord Italia, al primo punto del programma si chiede, anzi promette, un
“abbassamento drastico di tutte le piante di alto fusto”.
Non voglio ancora tornare sull’argomento capitozzatura da me già ampiamente e anche noiosamente dibattuto ma, come al solito, annichilisco di fronte a quella che è una situazione paradossale, come questo scellerato intervento, che non solo viene accettato dai cittadini come “normale”, ma che, anzi, viene richiesto a gran voce, implicando l'impossibilità di qualunque reazione da parte di chi cerca di far ragionare, creando la classica situazione kafkiana.
Tutti abbiamo visto il disastro ambientale causato dal ciclone di fine ottobre (e da altri precedenti) che ha colpito il nostro paese e siamo rimasti sconcertati di fronte a tutti gli alberi che sono stati abbattuti. Però cosa è che adesso si chiede a gran voce? Capitozzature e abbattimenti, perché il pericolo non è il cambiamento climatico e gli eventi estremi. Il pericolo sono gli alberi, cioè chiediamo di aggiungere disastro al disastro.
Io stesso ho detto più volte che è necessario un rinnovo delle nostre alberature (mi riferisco soprattutto a quelle poste su strada), ma ciò non vuol dire abbattere indiscriminatamente.
Vuol semplicemente dire che dobbiamo riflettere su ciò che sarà o, meglio, dovrà essere la nostra città e, quindi, ragionare in termini di “gestione versus rinnovamento”, ponendosi, cioè, la domanda: ha senso (economico, ecologico, tecnico...) gestire qualcosa che sappiamo non essere adatto e potenzialmente rischioso, oppure è meglio pensare a un graduale ricambio di quegli alberi che presentano problematiche tali da risultare poco facilmente mantenibili?

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Proteggere le coste per salvare l’economia del mare

Quando il 19 Ottobre u.s. decidemmo di portare all'attenzione della opinione pubblica la difficile e complicata problematica dell'erosione costiera nella nostra regione, non sapevamo che di lì a qualche giorno si sarebbero verificati sul territorio italiano una serie di cataclismi che evidenziarono la ormai difficile prevedibilità di eventi climatici estremi, ma anche una oggettiva fragilità di tanti ambienti italiani, tra i quali le coste. Ci furono presentate tante situazioni italiane -e anche toscane- con numerosi tratti di costa completamente stravolti sia sotto il profilo ambientale, ma anche sotto quello dei numerosi e diversi manufatti strutturali variamente danneggiati se non distrutti.
D'altra parte l'ambiente costiero è valutato dagli esperti come molto dinamico; la linea di costa può subire modifiche a seguito delle azioni del clima, ma anche in dipendenza della natura geologica, dei fattori biologici e, infine, antropici.
Si può pensare alla ineluttabilità di tali eventi e alla scarsa possibilità di contrasto che abbiamo; si usa dire che la forza del mare non può essere contrastata, però sappiamo che, nonostante il problema non sia semplice, si possono intraprendere promettenti strategie difensive (scogliere frangiflutti, difese radenti, pennelli, ripascimenti, dragaggi, ecc.). Che tali interventi siano necessari è dimostrato dai notevoli danni registrati in varie località marine durante il periodo di mal tempo pocanzi citato, danni che potevano essere contenuti se si fosse intervenuti per tempo. Particolare attenzione va data a quegli interventi che interessano un limitato tratto di costa in erosione, perché possono innescare fenomeni erosivi sui tratti adiacenti non protetti. Inoltre l'arretramento delle coste si associa spesso alla demolizione dei sistemi dunali, che costituiscono una valida protezione degli ambienti retrostanti e quindi della vegetazione presente. La manutenzione degli ambienti dunali è pertanto fondamentale.

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Salveremo il Pianeta non mangiando carne?

Alla domanda espressa nel titolo rispondono gli Autori del libro “La sostenibilità delle carni e dei salumi in Italia” (editore Franco Angeli): Elisabetta Bernardi, nutrizionista e biologa specializzata in scienze dell’alimentazione; Ettore Capri, ordinario di Chimica agraria all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Osservatorio europeo per lo sviluppo sostenibile in agricoltura; Giuseppe Pulina, ordinario di Zootecnia speciale all’Università di Sassari, presidente dell’associazione Carni Sostenibili e accademico dei Georgofili.

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Economia e mercato di cacao e cioccolata

Il mercato del cacao è un caso estremo di struttura a clessidra, con da un lato circa 5 milioni di piccoli coltivatori, in paesi in via di sviluppo, e dall’altro miliardi di consumatori finali. In mezzo, pochissimi enormi trader e trasformatori, che fanno sia semilavorati che prodotti finiti, spesso commercializzati sotto più marchi, accompagnati da centinaia / migliaia di piccoli trader, processor, e produttori di grocery. La ICCO – Organizzazione Internazionale del Cacao dovrebbe favorire il dialogo tra le parti.

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Il tarassaco, erba spontanea utile alla salute

Nell’arco dei millenni, la conoscenza e i diversi utilizzi delle piante sono state tappe fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo, nato probabilmente, come quasi tutti i primati, erbivoro.  La natura offriva spontaneamente e l’uomo primitivo raccoglieva istintivamente e nel tempo ha imparato a riconoscere le varie erbe eduli e a distinguerle da quelle tossiche e velenose.
Molti dei principi attivi di numerosi farmaci che noi abitualmente utilizziamo, oggi prodotti dalle industrie per sintesi chimica, derivano dalle conoscenze e dalle esperienze, che il più delle volte risalgono ad epoche remote, sulle erbe e sulle piante medicinali.
Tutte le piante spontanee contengono numerosi composti salutari e terapeutici: vitamine, sali minerali, acidi organici, enzimi, polifenoli.

Il Tarassaco o dandelio, dall’arabo tarahsaqun = cicoria selvatica o dal greco ταράσσω =  scompiglio e αkos =rimedio (quindi "rimedio allo scompiglio), botanicaente appartiene alla famiglia delle asteracee.
E’ una pianta rustica e diffusissima, ricchissima di tanti composti salutari e terpeutici.  La taraxacina, che le conferisce il caratteristico sapore amaro, è il principio maggiormente attivo e quantitativamente maggiore presenti nelle foglie e nella radice.
Nel passato, specie nelle campagne, veniva effettuata in primavera la "tarassocoterapia” a scopo depurativo e disintossicante: per circa 10 gg. l’alimentazione era quasi esclusivamente costituita da foglie, fiori, steli e radici di tarassaco, usati cotti, crudi o per infusione.
Componenti nutrizionali di g 100 di tarassaco contengo 36 calorie e sono costituiti da acqua (87%), carboidrati (g 6,4), Proteine (g 3,1), Lipidi (g 1,1), Fibre (g 3,4), K (g 0,44), Fe mg 3,20), Ca (mg 316), P (mg 65), Vit. (mg 35), Vit. A (µ g 992), Vit. E (mg 3,44), Vit. K (mg 778,4 = 1112 %RDA).  (U.S. Department of Agriculture, Agricultural Research Service. 2011)
Ma nel tarassaco troviamo ancora,  vitamine del gruppo B, folati, beta-carotene, sali minerali antiossidanti (Zn, Se, Cu, Mn), acido linoleico e linolenico, taraxacina, taraxina, taraxeroloso, sostanze tanniche e amare, resinose e mucillaginose, enzimi, acidi organici, fitosteroli, triterpeni, flavonoidi, luteina, zeoxantina, inulina....E' un alimento altamente alcalino che svolge azione benefica per tutto l'organismo e, in particolare, per la cura, usato come  topico o per via generale, di numerose patologie cutanee.

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Fatta l’Europa, bisogna fare gli Europei

La lunga controversia fra il Governo italiano e le Istituzioni europee non è ancora conclusa e quindi non si conoscono vinti e vincitori, dunque conviene attenderne l’esito. Potremmo chiudere così, senza grandi rimpianti, rinviando le osservazioni a quel momento. Per capire meglio le cause del conflitto vorremmo tornare ad una notizia del mese scorso. Dal 1973 esiste un sondaggio permanente organizzato dalle Istituzioni dell’Ue che registra gli umori della popolazione europea sulle principali questioni. Il sondaggio raccoglie opinioni e tendenze nei singoli paesi e li confronta, registrandone l’evoluzione. L’ultimo è stato fatto a sette mesi dalle elezioni per il Parlamento Europeo (PE) che si terranno a maggio. I risultati indicano che gli Italiani sono i meno soddisfatti dell’Ue. Solo il 43% ritiene che l’Italia ne abbia tratto vantaggi mentre il 45% è di parere contrario. Il dato sorprende: eravamo fra i più europeisti e ora siamo in coda, la media europea è rispettivamente del 68% e del 24%.  Ma non stupisce, già da alcuni anni il consenso verso l’Europa calava. I dati contengono almeno due altre sorprese. La prima è che in Italia il gradimento per l’euro è alto, al 65%, superiore alla media Ue di 61% e da aprile è cresciuto del 4%. La seconda riguarda la domanda se l’appartenenza all’Ue sia un bene. La risposta trova il 42% di favorevoli contro 18% di contrari e 37% di incerti. Nel 2014, all’epoca delle precedenti elezioni europee, accadeva il contrario: il giudizio sulla soddisfazione per l’Ue era positivo, mentre quello sull’euro era negativo.
Il malcontento ha radici lontane e motivazioni forse confuse, ma le soluzioni più drastiche talvolta indicate, come l’uscita dall’Ue o dall’euro o da entrambi, vengono considerate un male peggiore. Sembra quasi che gli strali dell’opinione pubblica si scarichino su un soggetto poco conosciuto e lontano, ma, tutto sommato, non eliminabile, identificato genericamente con l’Europa. Allora era l’euro, oggi in maniera poco chiara l’Ue o, spesso, “i burocrati” che la governano.

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La vite nel paesaggio dei Colli Euganei

Nel volume “La vite nel paesaggio dei Colli Euganei”, gli Autori, avvalendosi di un’ampia documentazione fotografica, analizzano e descrivono il ruolo fondamentale che la vite ha svolto e che tuttora svolge sui Colli Euganei.

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Un’antica pratica agronomica efficace contro i Vermi del Pistacchio

Il Pistacchio, Pistacea vera, Anacardiacea originaria del Medio Oriente, secondo Plinio, è stato introdotto in Italia, circa 2.000 anni fa, da Lucio Vitellio, governatore della Siria. In Sicilia, la coltivazione è stata promossa dagli Arabi (VIII–IX secolo d. C.), come testimoniano i termini siciliani, di origine araba: frastuca, per indicare i frutti, e frastunaca, per la pianta. Attualmente, la coltivazione del Pistacchio è praticata nella Valle del Platani, nel nisseno e nella zona etnea, dove è presente l’80% della superficie regionale, localizzata nei comuni di Adrano, Biancavilla e soprattutto di Bronte; nei cui territori, grazie a una combinazione di fattori ambientali che ne hanno favorito lo sviluppo, le produzioni di pregio, si sono affermate, soprattutto nei mercati esteri, nei quali viene esportato l’80% dei pistacchi. Il restante 20% è destinato all’industria alimentare nazionale.

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Alimenti senza additivi

Nella Unione Europea additivi sono qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente. Gli additivi sono classificati in base alla loro funzione e si possono individuare tre grandi gruppi. A) Additivi che aiutano a preservare la freschezza degli alimenti, conservanti, che rallentano la crescita di microbi, e antiossidanti che prevengono i fenomeni di irrancidimento. B) Additivi che migliorano le caratteristiche sensoriali degli alimenti: coloranti, addensanti, emulsionanti, dolcificanti, esaltatori di sapidità. C) Additivi tecnologici, usati per facilitare la lavorazione degli alimenti, ma che non hanno una specifica funzione nel prodotto finale (definiti anche adiuvanti): agenti antischiuma, antiagglomeranti ecc.
Gli additivi non sono una invenzione della chimica o dell'industria e anche nel passato si utilizzava la salatura delle carni e del pesce, l’aggiunta di succo di limone a frutta e verdura per evitarne l’imbrunimento, l’aceto nella preparazione di conserve vegetali, il salnitro nelle carni insaccate, la solfitazione dei mosti e dei vini. Un additivo tradizionale per conservare le carni è il fumo di legni soprattutto resinosi e nei salami l'aggiunta del vino. A volte è difficile distinguere tra additivo e condimento e per esempio il sale, che nei salumi è un ingrediente, è anche un condimento, un nutrimento particolare e un conservante. Le spezie, nostrane e esotiche, sono additivi per l'apporto di aromi, ma anche per le loro attività antibiotiche (antisettiche). Inoltre l’origine di un additivo non ne modifica le caratteristiche e un nitrato o nitrito prodotto dall’industria non è diverso da quello naturale conte-nuto negli spinaci.
Molti additivi sono costituenti naturali di alimenti, come l’acido citrico, la lecitina, le pectine, i tocoferoli. Gli additivi alimentari sono stati e continuano a essere ampiamente studiati sotto il profilo tossicologico e il loro uso è sotto il controllo di Organizzazioni internazionali e nazionali. Nella Unione Europea un additivo alimentare può essere autorizzato soltanto se, sulla base dei dati scientifici disponibili, il tipo d’impiego proposto non pone problemi di sicurezza per la salute dei consumatori, se il suo impiego può essere ragionevolmente considerato una necessità tecnica che non può essere soddisfatta con altri mezzi, se il suo impiego non induce in errore e comporta vantaggi per il consu-matore. Per alcuni additivi è fissata una Dose Accettabile Giornaliera (DGA) che rappresenta la quantità di additivo che può essere ingerita giornalmente, attraverso la dieta e nell’arco di vita, senza avere effetti indesiderati.

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L’incredibile viaggio delle piante

La maggior parte delle piante con le quali abbiamo comunemente a che fare in casa, in giardino, nell’orto o nei parchi, viali e aiuole delle nostre città, non hanno granché in comune con i loro antenati selvatici. Sono quasi tutte, infatti, piante addomesticate e, come tali, talmente lontane dai loro progenitori come un lupo lo è da un barboncino. Anzi, nel caso delle piante la distanza che separa le piante domestiche dai loro progenitori è spesso maggiore. Prendiamo, per esempio, il mais, una delle colture più comuni esistenti sul Pianeta. Chiunque ha visto un campo o, perlomeno, una pannocchia di mais. Bene, il suo antenato si chiama “teosinte” e, credetemi, non lo riconoscereste: non ha nulla a che fare con la pianta del mais. Quando l’uomo iniziò a coltivarlo, circa diecimila anni fa, la sua spiga era formata da otto, dieci semi, e le sue dimensioni non superavano i quattro, cinque centimetri. Nel mais odierno una spiga matura può essere lunga anche quaranta centimetri e contenere fino a mille semi. Irriconoscibile. Lo stesso vale per il grano, il pomodoro, il riso, la melanzana, il peperone, la rosa, la margherita, il tulipano, la mela, la vite, la banana, la magnolia, il tiglio, il pioppo o qualunque altra pianta abbia intrapreso un cammino comune con l’uomo.
Perché questa è l’addomesticazione: un lungo viaggio comune durante il quale due specie imparano a stare insieme, che si consolida un rapporto mutualistico dal quale sia l’addomesticato che l’addomesticatore traggono benefici. Anzi, a voler essere pedanti, utilizzando una delle definizioni più recenti: “l’addomesticazione è una relazione multigenerazionale o mutualistica in cui un organismo assume un significativo grado di influenza sulla riproduzione la cura di un altro organismo al fine di garantirsi una fornitura certa e continua di una o più risorse di interesse. Attraverso la stessa relazione, l’organismo partner ottiene dei vantaggi rispetto agli individui che rimangono fuori da questo rapporto privilegiato”. Un processo che, contrariamente a quanto si crede, non è nella totale disponibilità dell’uomo ma è piuttosto un pas de deux fra due partner consenzienti.
Non tutte le specie animali o vegetali possono diventare domestiche. L’addomesticazione richiede consuetudine, prossimità con l’uomo, capacità di convivenza e caratteristiche fisiche compatibili. E, infine, una volta che tutto questo sia stabilito, c’è ancora il caso di cui tenere conto. Perché abbiamo addomesticato il lupo e non la volpe o il licaone? Perché il grano e il riso e non un’altra delle centinaia di specie vegetali che producono semi ricchi di amido? Perché la vite e non un’altra bacca? Per caso. Alcuni preferirebbero, forse, parlare di fortuna. Io sarei più cauto: non è affatto un evento fortunato per qualunque organismo vivente entrare in rapporto con l’uomo. Fare affari con noi, infatti, anche se all’inizio può sembrare una buona idea, a conti fatti assomiglia molto ad un patto con il diavolo: ci si perde l’anima.

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Le Scuole di Reciproco Insegnamento a Firenze, due secoli fa

Nell’Adunanza solenne del 1 ottobre 1818 il Segretario delle corrispondenze segnalava fra le opere a stampa ricevute dall’Accademia dei Georgofili “Quattro memorie sull’Istruzione dei Signori Ridolfi, Serristori, Tartini, e Nesti”.
Le quattro opere, tutte sul metodo del Reciproco Insegnamento messo in atto con successo in Inghilterra e in alcune delle sue colonie grazie a Andrew Bell e Joseph Lancaster, uscirono a stampa quello stesso 1818 riunite in unico volume per i tipi di Manfredini a Pistoia (Della necessità d’introdurre nelle scuole primarie toscane il metodo di Bell e Lancaster. Memorie dei signori F. Nesti, L. Serristori, F. Tartini-Salvatici, e C. Ridolfi).

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Cianobatteri per il recupero di suoli degradati e la mitigazione della desertificazione

Le zone aride del nostro Pianeta costituiscono più del 40% della superficie terrestre e sono abitate da circa il 35% della popolazione mondiale. Si prevede che nel 2050 queste regioni possano arrivare a costituire fino al 50% della superficie terrestre.

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Frane, smottamenti, alluvioni: il “bel paese” sta crollando!

E’ vero che i disastri ambientali sono sempre accaduti, ma la loro frequenza negli ultimi decenni, da Sarno (Campania) nel 1998, a Giampilieri (Sicilia) nel 2009, alle attuali alluvioni della Toscana, del Veneto, ecc., è veramente impressionante. Certo, i cambiamenti climatici possono incidere, ma la causa principale è sempre da ricercare nell’attività dell’uomo, ovvero alla non corretta gestione del suolo. Da anni è noto che:
•    i 2/3 dei suoli del territorio nazionale sono a rischio di degradazione;
•    l’erosione del suolo supera mediamente di 30 volte il tasso di sostenibilità (erosione tollerabile);
•    la degradazione del suolo avvenuta negli ultimi 40 anni ha provocato una diminuzione di circa il 30% della capacità di ritenzione idrica dei suoli agricoli italiani, con un relativo accorciamento dei tempi di ritorno degli eventi meteorici in grado di provocare eventi calamitosi.
Questi sono dati significativi e preoccupanti, che devono far riflettere circa la situazione dei suoli e quindi dell’ambiente nel nostro Paese. Nonostante l’accresciuta sensibilità verso i problemi ambientali, maggiore attenzione deve essere ancora rivolta all’impatto delle attività antropiche sul suolo. Il consumo del suolo stesso dovuto alla cementificazione selvaggia, all’abusivismo edilizio, in molti casi veramente scellerato in quanto si costruisce in zone ad alto rischio idrogeologico, ecc., sta aumentando in maniera preoccupate nell’indifferenza non solo dei decisori politici ma anche dei semplici cittadini. Nell’ottica di una agricoltura sostenibile si assiste ancora ad alcune pratiche agricole che meriterebbero di essere evitate o comunque corrette. Il paesaggio agricolo mediterraneo è ancora oggi caratterizzato da versanti modellati dall’uomo mediante una serie di interventi sistematori aventi quale principale finalità la riduzione della lunghezza del versante, la modificazione delle pendenze, l’intercettazione e regolazione dei flussi idrici. Con la modernizzazione dell’agricoltura si è persa la “coscienza sistematoria”, che collegava la difesa del suolo dal campo ai bacini idrografici, ed è proprio qui una delle chiavi di volta che spiegano l’intensificarsi negli ultimi decenni di eventi catastrofici.

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Il massacro, anche mediatico, degli alberi trasformati da vittime a colpevoli

In questi giorni ho visto e sentito persone delle più diverse professioni discettare di alberi, ho letto articoli di giornali allarmistici, pieni di imprecisioni che altro non fanno che ingenerare confusione e disorientamento nelle persone (forse poche in realtà, visto che sembra che tutti sappiano tutto), definizioni assurde (ad esempio “alberi killer”), ecc. Chi ha parlato ha spesso evidenziato di non avere alcuna competenza e, pontificando, ha detto ovviamente delle sciocchezze, facendo passare concetti del tutto errati e, per i nostri alberi, anche pericolosi. Fra l’altro, vengono evocati scenari apocalittici, tutti collegati al cambiamento climatico, in cui si annuncia la fine del mondo. Però non basta annunciare l'apocalisse che verrà, occorre anche provare a dare delle soluzioni. E le strade sono essenzialmente due: ridurre le emissioni di gas a effetto serra e piantare alberi; e, aggiungo, gestirli al meglio per farli non solo sopravvivere, ma anche crescere velocemente.
Ricordiamoci che gli alberi e la vegetazione urbana in generale, sono l'unico sistema che abbiamo di ridurre l'entropia urbana. L’idea della sostenibilità urbana si fonda proprio sulla consapevolezza di poter ridurre l’entropia in eccesso rispetto a quella prodotta dalla trasformazione dell’energia solare e per farlo è necessaria quanta più vegetazione arborea.  E invece cosa chiediamo e cosa viene spesso riportato sui giornali o nei notiziari? Di abbattere o di capitozzare gli alberi.
Vuol dire allora che l’incompetenza è assurta a virtù ed è più ascoltata della competenza. Perché quando non si conosce un argomento, non si ha la dignità e anche l’umiltà di dire, non sono competente? Oppure si è anche incompetenti nel riconoscere la propria incompetenza? Credo che sia sacrosanto, da parte dei tecnici, rivendicare il diritto di poter parlare e di essere ascoltati, anche se non si è d'accordo o non piace quello che viene detto. Ma la discussione non dovrebbe essere sul sentito dire, sul percepito, sul “io lo so perché mio nonno era contadino”, ma su basi scientifiche e tecniche.
Con tutto il polverone mediatico che si è sollevato dopo la recente tempesta che ha colpito il nostro Paese e che purtroppo ha causato molte vittime, si è ingenerato, proprio a causa di un modo superficiale di trattare un argomento complesso, un terrore degli alberi che non ha nessuna base e che ha già portato molti a invocare potature drastiche (capitozzature) e a protestare contro le amministrazioni comunali che non potano gli alberi.
L'alberofobia italica è quindi già ripartita e non sarà facile fermarla.

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