Le simmetrie della storia e il ruolo dell’agricoltura

di Dario Casati
  • 26 March 2025

Due mesi, poco più di 60 giorni di presenza di Trump alla Casa Bianca, sconvolgono il mondo e fanno emergere con chiarezza crescente le crisi, le divisioni e i conflitti che affliggono il mondo e che hanno continuato a lavorare sottotraccia per decenni. Lo stile personale del Presidente Usa e l’uomo stesso intervengono ad accelerare processi e cambiamenti che erano in corso e che sono stati accelerati dalle quattro grandi crisi dei primi 5 anni del secondo decennio degli anni 2000.
Il Presidente americano agisce con modalità fulminee e molto irruente, la sua non è la diplomazia di un mondo civile e ovattato che deve risolvere problemi incancreniti dal tempo e dalla patina dei decenni. Al contrario è un modo irruento e, per molti aspetti, rozzo sui grandi temi aperti.
Su quello geopolitico, innanzitutto, dove le aree di influenza consolidate dopo la fine della Seconda guerra secondo le linee tracciate a Yalta dai cinque Paesi vincitori non reggono (forse) più e sembrano in evoluzione, sia pure incerta. Gli stessi Usa, potenza di primo piano, anche se con egemonia spesso contestata, sembrano conquistati dalla strategia trumpiana sintetizzata dall’acronimo evocativo MAGA (Make America Great Again).
Su quello economico, in particolare degli scambi commerciali, sotto l’impulso (irresistibile?) delle guerre commerciali simboleggiate da quella dei dazi, il sistema multilaterale degli scambi regolati dal Gatt/Wto vacilla clamorosamente. Il risultato è un clima di costante incertezza e di giravolte le cui direzioni di sviluppo rimangono al momento incerte e in gran parte oscure.
La situazione di partenza nel momento del quadriennio trumpiano così come le prospettive reali di un cambiamento solido mostrano che, almeno sino ad ora, in realtà la Storia ancora una volta sembra volersi ripetere, sia pure con gli inevitabili cambiamenti impliciti nel nuovo contesto.
Il mondo ha vissuto ottant’anni di relativa pace globale, pur punteggiata da numerose guerre che abbiamo sempre ritenuto e classificato come locali, secondo gli esiti della Seconda guerra e seguendo logiche e contenuti degli accordi di Yalta. Le cinque potenze vincitrici: Usa, URSS, Cina, Gran Bretagna e Francia di fatto sono le stesse di allora, con i loro cambiamenti interni e i rapporti costantemente tesi, ma continuati nel tempo. Le cinque potenze si sono mosse e sviluppate secondo logiche del passato inalterate, ma col gravame del loro peso di vincitori del più grande conflitto globale della storia.
Nell’area Occidentale o Atlantica gli Usa, i maggiori vincitori della Guerra di allora, sono riusciti a integrarsi meglio con gli europei con una strategia che univa vincitori e vinti grazie alla logica del Piano Marshall ed agli aiuti economici generosi ed abbondanti. È giusto ricordare, di fronte alle proteste di Trump e di chi crede alla strategia MAGA, che negli stessi Usa della metà degli anni ‘40 il contrasto sulla strategia da seguire con gli europei furono vivaci spaccando gli stessi rapporti fra il Presidente Roosvelt ed Eleanor Roosvelt. Alla fine il Piano Marshall con la sua strategia prevalse, ma non dobbiamo dimenticare che esso era visto dai suoi fautori come prodromico alla costituzione degli “Stati Uniti d’Europa” e con forti intrecci con un’alleanza militare costituita dalla Nato. È bene ricordarlo, nella confusione che regna in Europa in questi giorni, per non perdere di vista le linee guida tracciate allora e che si rivelano, pur nella confusione della piccola politica degli Stati europei attuali le sole possibili. Come è bene ricordare che la generosità degli Usa fu rivolta a vinti e vincitori, con l’Italia in testa negli aiuti.
In Oriente una Cina, malconcia vincitrice della Guerra rimane con caratteristiche diverse, anche se politicamente ancora bloccata da un sistema politico chiuso sostenuto da un’ideologia in più parti mutata, ma rigidamente centralista.
In mezzo la Russia che riscopre le sue eterne politiche imperialiste non più giustificate, dopo, la caduta del muro di Berlino, da un comunismo che viene accantonato sul piano formale ma di fatto, pur mutato, presente sotto pelle nel sistema politico e sociale.
Altri attori emergono specialmente in Oriente, fianco a fianco con la Cina, gli alleati Occidentali e la grande incognita di un’India che al momento è in forte crescita demografica, economica e sociale.
Vi sono gli elementi per un cambiamento degli equilibri geopolitici o, forse, molto più probabilmente, per riequilibri possibili. Ma perché ciò avvenga occorre che la crescita economica riprenda vigorosa, fatto che è minacciato dall’arroccarsi nelle guerre dei dazi. Ricordiamo che la libertà di scambio si accompagna alla crescita economica, altrimenti non si trovano i mezzi per lo sviluppo dell’economia.
I limiti degli accordi di Yalta, con il club dei cinque Vincitori, si fanno evidenti e costituiscono un’eredità negativa anche dopo ottanta anni. La crisi russa che si sfoga con una guerra territoriale volta a ricostituire l’impero russo ne è testimone.
Nuove possibili aree si potranno configurare? È presto per dirlo, ma la mossa imprevista della Cina che, volendo ritornare nel Grande Gioco dopo secoli di assenza, si offre per entrare nel gruppo dei “volenterosi” per chiudere la crisi Ucraina/Russia e portare la pace in Europa è significativa.
Riemergono le simmetrie della Storia che ancora una volta riportano il destino del mondo nelle mani dei cinque vincitori della Seconda guerra, anche se l’incognita cinese non è chiarita.
Ma, per rimanere con i piedi per terra, dobbiamo tenere conto che il Grande Gioco non può dimenticare che cosa accade sul piano economico e, in particolare, a causa della ventata di protezionismo, della guerra dei dazi. Questa blocca tutto, oltre alla crescita economica anche la possibile instaurazione di una pace più solida.
Non è possibile pensare ad un mondo che lotti sulla quantità e disponibilità di materie prime indispensabili, a partire da quelle alimentari, ancor più di quelle energetiche e strategiche.
È proprio sull’agricoltura e sull’alimentazione che si gioca il destino del mondo. È un concetto che merita una riflessione che sfugge a molti, ancor prima di lambiccarci sulle aree di influenza o di perderci nel folclore di certi servizi giornalistici come quelli che in questi giorni impazzano sulla questione della “crisi” mondiale delle uova.