È convinzione diffusa che l’agricoltura sia nata nella mezzaluna fertile circa 8-10 mila anni fa. Forse non è proprio così, dice Anil Gupta, un indiano che insegna negli Stati Uniti. Si tratta di una visione legata alla vasta attività di scavi condotta per secoli nel vicino oriente, ma forse – dice sempre Gupta – basterebbe fare due passi verso est e scavare anche nella valle dell’Indo per scoprire altre agricolture del neolitico.
In realtà tra gli 8 e i 20 mila anni fa (le datazioni arretrano sempre di più man mano che aumentano le attività di esplorazione di siti neolitici nel mondo e migliorano le tecniche di datazione anche profonda) nascono in 7-8 parti diverse del mondo delle agricolture basate sulle specie presenti in quei luoghi. Ricordiamo che la fascia abitata nel periodo che stiamo considerando è quella tropicale compresa tra il 35° parallelo nord e il 35° parallelo sud e gli abitanti del pianeta potrebbero essere tra i 4 e gli 8 milioni, sparsi in tutti i continenti, a seguito di migrazioni legate alle glaciazioni e al reshaping dei continenti. Non c’è solo l’Homo sapiens; anzi, il nostro antenato, dopo l’ultima uscita dall’Africa circa 40 mila anni fa è in buona compagnia con una trentina di specie del genere Homo che hanno già percorso in lungo e in largo l’Europa, l’Asia, le Americhe e il continente australe.
Nel passaggio da cacciatore-raccoglitore ad agricoltore, caratterizzato da vita meno nomade e più sedentaria, l’uomo addomestica le specie che trova nei territori in cui si è insediato. Papua-Nuova Guinea, un’area geografica tra l’Estremo Oriente e il continente australiano, che tuttora abbiamo difficoltà ad esplorare, è un posto che a pochi verrebbe in mente come sede di un’agricoltura neolitica. Eppure, in quella regione l’uomo 20.000 anni fa o forse prima ha iniziato a coltivare banane (Musa sp.), taro (Colocasia esculenta) e forse igname (Dioscorea sp.). Si trattava di banane, che noi difficilmente saremmo in grado di mangiare se non per estrema necessità: piccoli frutti, pieni di semi avvolti, in un tessuto fibroso, ma pur sempre banane.
Dicevo che l’agricoltura nasce indipendentemente in aree diverse del pianeta: lungo la valle dell’Indo, nell’Asia orientale, con due centri rispettivamente nella valle dello Yangtse e lungo le sponde del fiume Giallo più a nord, in Estremo Oriente, in Messico, negli altipiani andini, nel Vicino e Medio Oriente e per finire, in tempi molto più recenti, negli gli Stati Uniti orientali e nell’Africa sub-sahariana.
Ognuna di queste agricolture nasce in stretta connessione con alcune specie vegetali e animali presenti in quelle determinate regioni. Così, parlando di piante, in Papua-Nuova Guinea l’uomo, come abbiamo appena detto, inizia la coltivazione di banane e taro; le popolazioni della Cina meridionale addomesticano il riso, quelle della Cina del nord il miglio e i cavoli; in Medio Oriente l’uomo inizia a coltivare farri, frumenti, alcune leguminose, datteri, fichi e forse il carrubo; nelle Americhe l’agricoltura inizia con l’uso di fagioli e mais da una parte, patate da un’altra e, più tardi, girasole e zucche da un’altra ancora. In Africa l’agricoltura inizia con la coltivazione di riso rosso, sorgo e miglio.
Ho trascurato di proposito la valle dell’Indo, dove forse Alessandro Magno scoprì la coltivazione della canna da zucchero, definendola ‘la pianta che produce miele senza le api’, perché di quella regione si conosce poco.
Ma, vediamo in dettaglio questi centri.
Melanesia (Papua-Nuova Guinea)
Esistono evidenze archeologiche dell’arrivo di popolazioni umane dal sud-est asiatico nella Nuova Guinea almeno tra i 60 e i 40 mila anni fa, durante una glaciazione che abbassò notevolmente il livello dei mari, avvicinando le isole. Si trattava verosimilmente di cacciatori-raccoglitori, che tuttavia avrebbero costituito a un certo punto insediamenti stabili, generalmente su palafitte. Queste piccole comunità sarebbero state orientate alla caccia e alla pesca, ma anche alla raccolta e alla coltivazione di specie vegetali spontanee.
Purtroppo, la penisola di Papua presenta tuttora una accessibilità limitata. È caratterizzata da una foresta pluviale difficilmente penetrabile con un clima tropicale umido sopportabile solamente al di sopra dei 1.000 metri slm; le malattie come tubercolosi, epatiti, tifo e malaria sono diffuse. La popolazione è molto frammentata in gruppi con culture, idiomi e tradizioni profondamente differenti perché isolati a causa della morfologia del territorio ed è poco abituata all’incontro con estranei; esiste tuttora ed è tollerato dall’amministrazione locale il cannibalismo. Insomma, abbiamo a che fare con una serie di fattori che tengono a tutt’oggi lontani anche gli esploratori più motivati.
L’Unesco considera gli abitanti di Papua-Nuova Guinea tra i primi agricoltori al mondo e nel 2008 ha inserito l’area nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Umanità.
La Cina e le valli del Fiume Giallo e dello Yangtse
Benché l’archeologia in Cina sia scienza recente, sviluppata solamente a partire dal XX secolo, i siti neolitici esplorati sono già parecchie migliaia, a testimonianza di insediamenti umani importanti e sparsi su larga scala. Molti dei ritrovamenti risalgono al tardo neolitico, mentre sono pochi gli insediamenti più antichi, che datano tuttavia fino a 45.000 anni fa.
Due sono i principali centri di domesticazione: uno a nord, collocato lungo il corso del Fiume Giallo, in una zona vicina all’antica capitale Xi’an, dove l’agricoltura è iniziata con la coltivazione di setaria, panìco e brassicacee e uno più a sud, lungo la valle dello Yangtse, dove l’agricoltura è iniziata con la coltivazione del riso. I più vecchi fitoliti di riso (semi di riso pietrificato) ritrovati lungo il corso dello Yangtse vengono fatti risalire a circa 13.900 anni fa.
La mezzaluna fertile
La mezzaluna fertile, cioè l’area che comprende gran parte del Medio Oriente, è da sempre considerata un centro di origine dell’agricoltura. La sua importanza è dovuta – come abbiamo avuto già modo di dire - alla quantità di reperti archeologici raccolti. L’addomesticamento di pecore, capre, maiali e, forse, vacche rappresenta probabilmente il primo passo dell’uomo verso la vita sedentaria, seguito dalla domesticazione di alcuni cereali e leguminose. L’area si estende dai siti archeologici dell’antica Jerico in Palestina alle pendici montagnose del sud della Turchia; a sud-est si estende fino alla Mesopotamia (attuale Iraq e in parte Iran), mentre verso nord-est arriva fino ai bordi del Mar Mero e del Mar Caspio.
Le piante rinvenute in questi centri sono cereali come orzo, farri, frumenti; leguminose come piselli, lenticchie e poi fichi, datteri e forse carrubi. Tra gli animali, sono stati trovati resti di maiali, capre, pecore e bovini. Sono stati trovati anche resti di cane, ma si tratta probabilmente di animali addomesticati non a scopi alimentari, ma come aiuto alla caccia.
Mesoamerica
La valle dell’Oaxaca, nel Messico meridionale, è tradizionalmente considerata l’area geografica in cui è iniziata la domesticazione del mais a partire dal suo progenitore, il teosinte. La combinazione di reperti archeologici e dati molecolari porterebbe la sua domesticazione attorno a 9.000 anni fa. Dagli altipiani, che si trovano a oltre i 1.800 m slm, il mais sarebbe stato poi trasferito nei bassopiani e da lì si sarebbe diffuso verso l’America del Sud prevalentemente lungo la costa occidentale. La domesticazione del fagiolo sarebbe invece molto più recente e risalirebbe a circa 4.000 anni fa.
America del sud (Perù e cordigliera andina)
Siti archeologici importanti sono i dintorni del lago Titicaca in Perù e l’arcipelago di Chiloè in Cile. Le piante coltivate in questi luoghi sono la patata, il fagiolo comune e il fagiolo di Lima. La patata sarebbe stata domesticata a partire da piante di Solanum brevicaule attorno a 7.000 anni fa nel Perù meridionale. Da lì, i vari tipi si sarebbero diffusi sia verso nord che verso sud, raggiungendo in quest’ultimo caso le coste occidentali della Patagonia (Cile) e adattandosi al fotoperiodo lungo, un adattamento determinante per il successo della diffusione della patata in Europa.
La domesticazione del fagiolo comune e del fagiolo di Lima avrebbe avuto luogo attorno al 6.000 a.C., ma i dati non sono per ora sicuri e non è sicura soprattutto l’area in cui i due tipi di fagiolo sono stati domesticati, dato che entrambe le specie hanno un’ampia diffusione che va dall’America centrale all’America del sud.
America settentrionale (costa orientale degli Stati Uniti)
Le piante identificate nei siti archeologici della costa orientale degli Stati Uniti sono zucche, girasole e chenopodio. Per lungo tempo la questione se la costa orientale degli Stati Uniti fosse un centro indipendente di domesticazione di piante o un centro di trasferimento di piante domesticate da altre parti è stata oggetto di dibattito tra specialisti. Oggi sembra che specie come il chenopodio, la zucca e il girasole siano state messe in coltura sul posto in un periodo datato al radiocarbonio tra 3.800 e 5.100 anni fa.
Africa subsahariana
Considerando che il genere Homo è uscito dall’Africa, è difficile pensare che in quel continente non siano nate agricolture prima che in altre aree del pianeta. Eppure, i ritrovamenti non testimoniano agricolture antiche. Il più antico insediamento noto dell’Africa sub-Sahariana, quello di Nabta Playa nel sud-ovest dell’attuale Egitto, risalente a 10-8 mila anni fa, offre resti di bestiame e non di piante. Considerazioni simili si possono fare per Tassili n’Ajjer, un plateau nella regione montuosa del sud-est dell’Algeria, dove le numerose incisioni e pitture rupestri documentano prevalentemente scene di caccia e di allevamento di animali.
Nella valle del Nilo insediamenti sedentari e forme di agricoltura, compresa la coltivazione di piante, si sviluppano attorno al 5.000 a.C. e sono stati resi noti al mondo negli ultimi due secoli dalle pitture rinvenute nelle varie tombe della Valle dei Re. In questo caso le pratiche agricole sono molto ben documentate, ma forse non originali e condivise con altri popoli del Vicino oriente.
Più interessanti, anche se più recenti sono i siti archeologici di Ganjigana e Kursakata (Nigeria nord-orientale). Le piante domesticate qui rinvenute sono il riso africano (Oryza glaberrima), il miglio e il sorgo. Il riso africano è una delle due specie di riso coltivato. È presente solamente in Africa ed è molto meno noto dell’altra specie, Oryza sativa, tipica dell’Asia. Si pensa sia stato domesticato circa 2.500 anni fa lungo le coste del Niger, in un’area che si trova ai giorni nostri nel Mali.
La scoperta delle Americhe e l’epopea delle colonizzazioni
Nuovi siti di agricolture neolitiche sono destinati ad arricchire il panorama man mano che aumentano le esplorazioni. È recente il ritrovamento nell'Amazzonia boliviana di tracce di coltivazioni di manioca e zucche risalenti a circa 10 mila anni fa.
Resta fondamentale il fatto che con queste agricolture legate alle specie presenti sul territorio, arriviamo fino al XVI-XVII secolo, con poche novità, legate soprattutto allo scambio di prodotti tra aree limitrofe e climaticamente compatibili e all’addomesticamento di qualche nuova specie.
Ciò che succede a partire dal XVI secolo con l’avvio della colonizzazione del Nuovo Mondo, ha qualcosa di imprevedibile. L’uomo trasferisce specie da un continente all’altro, sradicandole dalle aree geografiche in cui si erano adattate nel corso dell’evoluzione e trasferendole in nuove aree del mondo, usurpando le terre ai nativi. Avvia coltivazioni su estensioni così ampie che lasciano tuttora sbalorditi e piega alle necessità di queste coltivazioni intere popolazioni.
Ecco allora l’introduzione di mais, patata, pomodoro in Europa; la diffusione di colture come cotone, tabacco, canna da zucchero nelle colonie del Nuovo Mondo; la spettacolare diffusione di banane, caffè, tè e cacao in tutti i continenti, la più recente diffusione dell’albero della gomma e della palma da olio nel sud-est asiatico.
Questi fatti, oltre che estendere i suoli occupati dall’agricoltura a 1,5 miliardi di ettari nel mondo, fanno anche la storia della civiltà umana. Ricordiamo le guerre tra le monarchie occidentali per il controllo delle rotte commerciali e per il controllo del mercato di prodotti come il pepe, lo zucchero, il caffè; l’attività delle potenti Compagnie delle Indie (inglese, olandese, francese, belga) per il controllo dei commerci delle spezie; l’estinzione di intere popolazioni di nativi nelle Americhe, nelle isole della Sonda e nel continente australe a causa della diffusione di malattie portate dagli europei e a causa di prepotenze; la tratta di 12,5 milioni di africani ‘raccolti’ e deportati forzatamente verso le Americhe per la coltivazione di cotone, tabacco e canna da zucchero; la diffusione della coltivazione dell’oppio nell’Assam, utilizzato per pagare il tè ai Cinesi, da parte della Compagnia delle Indie inglese che impiega fino a 1 milione di persone.
Sono molte le storie da raccontare. Storie positive, come l’addomesticamento e la diffusione di specie che rappresentano la base dell’alimentazione umana e che hanno permesso lo sviluppo e la prosperità della popolazione mondiale; l’attività dei genetisti nella raccolta e la salvaguardia nella diversità genetica delle specie coltivate con oltre 1400 centri di raccolta di germoplasma di specie coltivate, ma anche storie meno edificanti, come quelle che abbiamo raccontato sopra.
Nel bene e nel male, le piante hanno accompagnato la storia dell’uomo; anzi, l’hanno fatta. Come dice Hobhouse, nel suo affascinante libro “Seeds of Change. Six Plants that Transformed Mankind”, l’uomo è convinto di avere fatto la storia; in realtà, la storia l’hanno fatta le piante e l’uomo è stato solo un dispensatore di semi. Anche a me, da agronomo, piace pensare così la storia.
Approfondimento: Testolin R., (2025) Piante e popoli. Le piante che hanno fatto la storia dell’uomo. Editrice Forum, Udine: 175 pp