Coltivare e allevare per aiutare l’emancipazione delle persone più fragili: è la funzione dell’agricoltura sociale. Questa recupera i valori che l'agricoltura aveva nella società rurale – solidarietà, integrazione, valorizzazione delle relazioni interpersonali – e la mette a disposizione dei servizi alla persona. Attraverso iniziative promosse da aziende agricole e quelle del terzo settore (cooperative sociali, Associazioni di volontariato, altri Enti no-profit) intende favorire il reinserimento terapeutico di soggetti diversamente abili nella comunità e, al contempo, produrre beni.
La forma di aggregazione più comune in cui si applica questa agricoltura è la cosiddetta “fattoria sociale”, ovvero un’azienda che svolge attività agricola e/o zootecnica per vendere i prodotti sul mercato, congiuntamente a mansioni specifiche e servizi innovativi a vantaggio di soggetti deboli (portatori di handicap, tossicodipendenti, detenuti, anziani, etc.), residenti in aree fragili (montagne o centri isolati).
Il fenomeno è presente in Italia e in Europa da molto tempo, però solo negli ultimi 10-15 anni è cresciuto, ha ampliato la platea di soggetti coinvolti (bambini, anziani, persone disabili, detenuti o ex detenuti, disoccupati con disagi socioeconomici, persone affette da dipendenze, immigrati, rifugiati o richiedenti asilo) e le attività educative e socio-terapeutiche proposte (agri-asili, fattorie didattiche, orti sociali periurbani per anziani, attività di riabilitazione e cura per persone con disabilità, agriturismo sociale, tirocini orientati all’occupazione dei giovani).
Secondo alcune stime, in Italia le aziende dedite all’agricoltura sociale sono aumentate di sette volte nel decennio dal 2010 al 2020, arrivando a 3.500, con 38 mila addetti e un fatturato di 300 milioni. Sono distribuite pressoché in tutte le Regioni.
Con la Legge 18 agosto 2015, n. 141, “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, finalmente questa forma di agricoltura ha il suo riconoscimento giuridico che si attendeva da tempo in Italia.
Si è dato, così, un avvio concreto alle procedure di riconoscimento e promozione di tale agricoltura attraverso la definizione delle sue caratteristiche e la istituzione di appositi registri o elenchi degli operatori impegnati. La disciplina nazionale di riferimento non è però ancora completa e le singole Regioni procedono in ordine sparso, emanando proprie norme per il riconoscimento delle realtà agricole impegnate in ambito sociale e disposizioni specifiche per la loro promozione.
L’attività degli operatori coinvolti in iniziative agricole socialmente utili (assistenti sociali, psicologi, educatori, operatori agricoli e zootecnici) riguarda diversi ambiti sotto il profilo terapeutico e riabilitativo ed è indirizzata:
• ad educare al lavoro persone con disabilità o socialmente svantaggiate (ragazzi in età lavorativa, all’interno di progetti di riabilitazione sociale);
• a svolgere terapie assistite con l’aiuto di animali (pet-therapy, ippoterapia, onoterapia);
• a porre in essere iniziative di educazione ambientale e alimentare;
• a recuperare terreni abbandonati, che vengono trasformati in giardini e orti condivisi (ortoterapia).
L’agricoltura sociale rappresenta, altresì, un’opzione al servizio della longevità attiva. Nel 2065 gli over 65 in Italia saranno circa 20 milioni: una società che invecchia pone quindi nuove sfide. La più urgente appare quella di individuare nuovi modelli assistenziali che rispondano alle esigenze espresse dagli anziani. L’impresa rurale si caratterizza per un elevato numero di attività adatte alle capacità psico-fisiche delle persone in età avanzata: un luogo capace di offrire servizi sociali e di comunità in un contesto informale e non medicalizzato.
L’agricoltura sociale, insomma, contiene un futuro con un potenziale che si deve ancora esprimere: da un lato incentiverebbe una politica agricola innovativa, dall’altro attiverebbe ricadute positive in ambito sociale.