L’agricoltura, pur in un periodo di difficoltà e di incertezza, è l’esempio più evidente di una storia di successo nel lungo cammino dell’umanità. È riuscita ad aumentare il suo volume di produzione e a nutrire una popolazione crescente e con esigenze alimentari anch’esse in espansione. E vi è riuscita vincendo le avversità e i vincoli tipici del settore e spostando a livelli sempre più avanzati l’equilibrio fra offerta e domanda. Perché ciò avvenisse è stato necessario che la produttività delle risorse aumentasse e che rendesse disponibile il cibo per una popolazione in crescita.
Il balzo maggiore è avvenuto negli ultimi due secoli, un periodo chiave per la crescita della produttività che è stata più rapida degli altri settori, con un incremento di offerta a prezzi decrescenti. Se ci si chiede come ciò sia possibile, la risposta è che sono intervenute riduzioni dei costi unitari di produzione grazie agli incrementi di produttività. La maggiore produttività ha fatto sì che i prezzi agricoli salissero meno di quelli degli altri settori innescando il processo di sviluppo e liberando risorse. Di fronte a questa evoluzione oggi alcuni sollevano almeno tre questioni: come sia possibile il paradosso di incrementi di produzione a prezzi calanti, se il modo di produzione agricolo danneggi le risorse naturali, se la grande spinta propulsiva che l’ha sorretto non sia esaurita con ciò aprendo prospettive apocalittiche.
I dati mostrano che l’apparente paradosso si è realizzato su scala mondiale coinvolgendo prima i paesi sviluppati e poi quelli in via di sviluppo e le economie emergenti. Lo stato delle risorse produttive, incluse quelle naturali, consente di continuare adottando tecniche che non le danneggino essendo limitate e non riproducibili. I ritrovati della ricerca e della sperimentazione indicano che la progressione non è finita, ma può proseguire.
Per incrementare la produttività non esiste una soluzione unica, ma è possibile farlo, anche dove mancano o sono carenti molti dei requisiti presenti nei paesi sviluppati. Essa si fonda sulla logica economica dell’impiego dei fattori di produzione introducendo, accanto all’incremento della produttività fisica, il raccordo con la redditività. Senza che questa si incrementi è evidente che non vi è stimolo all’innovazione. Molta parte della nostra cultura agricola si fonda sull’esasperazione della produzione unitaria. Questa logica ha imposto un’agricoltura fortemente protetta, ma non stimola la crescita della produttività e ne addossa i costi alla società.
Una vera politica di sviluppo dell’agricoltura mira a produrre di più e a costi unitari più bassi. Il punto non è quello che spesso si sente proclamare che il prezzo percepito deve coprire i costi, ma che questi siano inferiori ai prezzi di mercato per assicurare agli agricoltori ed ai loro dipendenti un miglioramento dei redditi. Ciò richiede una continua introduzione di innovazione e di cambiamenti nei processi produttivi, nell’organizzazione e nei prodotti senza cercare rifugio nelle protezioni.
Così come non serve ridurre l’offerta per essere meglio remunerati, ma occorre ricercare nuovi modelli più efficienti di impiego delle risorse per incrementare la produzione e i redditi.
(L’articolo è tratto da una relazione svolta all’Assemblea generale dei Georgofili – Firenze, 17 dicembre 2013)