Fra i commenti di fine 2024/inizio 2025 leggo: “la nuova priorità non è vendere ma difendere le produzioni”. Rettificherei: la priorità è vendere (essendo competitivi) e insieme difendere le produzioni. Perché ovvio: se non c’è prodotto, non c’è mercato. O meglio: c’è il prodotto estero. A più basso prezzo e meno controllato. Che magari finisce nei discount, gli unici a registrare un considerevole aumento dei consumi. Il perché è evidente…
Il 2025 si apre con alcuni interventi da segnalare. Il neopresidente di Fedagri Confcooperative, Raffaele Drei, snocciola (al Sole24Ore) alcuni dati che dire inquietanti è poco. In 10 anni la produzione italiana di frutta fresca è calata di un terzo: dimezzate le pere, quasi dimezzati i kiwi, pesche/nettarine hanno perso quasi il 40%, più che dimezzate le patate, raccolto sempre più magro per il pomodoro da industria. Le ragioni sono quelle che tutti sappiamo: cambiamento climatico, gelate, siccità, fitopatie, alluvioni, perdita di suolo produttivo soprattutto nelle aree collinari e montane, le più ‘povere’. A queste ragioni – più che concrete – si aggiungono i temi di politica agraria, in primis l’Europa. Che fino al 2023 è andata in direzione ‘ostinata e contraria’ rispetto alle esigenze delle imprese agricole, alla loro capacità di fare reddito ed essere competitive. Le follie della Commissione Ursula-1 sono imputabili al vicepresidente Timmermans ma questo conta poco: Green deal e Farm to Fork erano esercizi ideologici sulla pelle delle imprese agricole, private delle molecole necessarie a difendere piante e frutta, lasciate in balìa del mercato (prezzi bassi ed alta volatilità), e di un import selvaggio da paesi terzi con pochi controlli e grazie ad accordi libero-scambisti per l’Europa micidiali. Poi la rivolta dei trattori e il ritiro (o la rimodulazione) di alcuni provvedimenti con (finora) pochi risultati concreti. Comunque il taglio delle molecole utili in Europa continua, c’è uno zoccolo duro di sentiment ultra-ambientalista a Bruxelles che non molla. Così la produttività continua ad andare a picco, e ci si mettono anche le differenti legislazioni fitosanitarie tra paesi UE con alcuni agrofarmaci qui autorizzati e là no. Insomma, ci facciamo concorrenza in casa. Poi arriva l’accordo col Mercosur firmato in fretta e furia dalla Von der Leyen che va incontro agli interessi della Germania ma sull’agroalimentare sembra smentire tutti i bei propositi della Commissione Ursula-2 (la Spagna dell’ortofrutta sta facendo le barricate). Nei primi 100 giorni della nuova Commissione si daranno le coordinate della nuova politica agricola e c’è grande attesa. Il neo-commissario Hansen sembra meglio del suo predecessore polacco (una vera nullità). Per accompagnare la transizione ecologica servono più fondi per la PAC ed extra- PAC…ma incombe anche un’altra crisi (devastante) quella dell’automotive che richiederà budget enormi e con la Germania (e anche l’Italia ovviamente) sulla graticola, investita da un ciclone: fabbriche ferme e sindacati sul piede di guerra. Due crisi che incidono nel cuore dell’Europa economica e con ricadute laceranti nel sociale e nel welfare di milioni di famiglie. Forse l’Europa si troverà a un bivio tra salvare la propria industria automobilistica o la propria agricoltura…
In questo quadro inevitabile che con la povertà dei redditi delle famiglie italiane si facciano solo consumi ‘poveri’: nella catena del valore i prezzi all’origine restano bassi perché i costi produttivi aumentano e il margine finisce mangiato da logistica-servizi-retail (cioè i padroni del mercato). La qualità made in Italy costa sempre di più, anche perché c’è poco prodotto nazionale. Il carrello della spesa si riduce in quantità e qualità . Con poco prodotto l’import è inevitabile e solo i discount gongolano alla fine di questa guerra tra poveri. L’ortofrutta gioca la sua partita in questo quadro desolante. Ed è un miracolo che l’export aumenti e si avvii a superare a fine 2024 i 6 miliardi di euro (con un saldo commerciale che si riduce perché anche l’import aumenta, come è inevitabile). Se l’Italia nel 2024 galleggia , come dice il Censis, anche l’agricoltura - nonostante alcuni trionfalismi fuori luogo - non sta meglio. “Calano produzione e valore aggiunto, investimenti, occupati e imprese. Bene solo le attività connesse. Cresce l’industria che vede a rischio il legame con l’agricoltura”. Non lo dico io lo scrive l’ex direttore del Crea, Stefano Vaccari, oggi dirigente al Masaf. Lo conferma l’analisi CIA-Nomisma sulla competitività, da cui emergono: crollo produttivo nell’ultimo decennio in molte filiere, con riduzioni significative nelle regioni del Centro-Sud e cali importanti per diverse colture (grano duro -30%); volatilità dei prezzi agricoli triplicata rispetto agli anni ’90, con impatti negativi su produttori e consumatori; ridimensionamento strutturale, con un calo del 53% delle aziende agricole in vent’anni, a fronte di una tenuta della superficie coltivata (-5%) ma con una “fuga” delle aziende dalle aree montane e collinari; ritmi di crescita più lenti rispetto ai competitor europei, con un incremento del valore aggiunto dell’agricoltura italiana negli ultimi cinque anni (+24%) ben al di sotto della media UE (+41%). Le sfide? Si chiamano innovazione, migliorare i redditi agricoli, riorganizzare le filiere e rafforzare l’export, tenendo conto che le barriere commerciali cresceranno anziché diminuire.
L’ortofrutta? Sta in questo quadro, galleggia, con timidi segnali positivi. Il record storico dell’export fa ben sperare e fa capire che il settore è vivo. Il problema semmai è un altro. Si chiama Europa. Ma di questo avremo un anno per parlarne.
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it