Come sono cambiate le nostre abitudini alimentari durante il lockdown? Come cambierà il mercato per imprese e consumatori nel post-Covid? Attorno a queste due domande si stanno esercitando economisti, ricercatori, food strategist, consulenti di marketing, ecc
Alla prima domanda ha provato a rispondere il Crea, Consiglio nazionale per la ricerca in agricoltura, che ha fatto un quadro abbastanza preciso. Abbiamo consumato più frutta e verdura (almeno il 30%), più acqua e olio d’oliva. Alimenti certamente sani, dice il Crea. Però poi si scopre che abbiamo anche mangiato più dolci (ben il 44,5%) e bevuto più vino. Di conseguenza il 44% degli intervistati è aumentato di peso per il maggiore apporto calorico, il che non è propriamente un risultato ‘positivo’. Il Crea si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno e parla di “effetti non totalmente negativi sulla alimentazione e sullo stile di vita” degli italiani ai tempi del lockdown, e cita le “maggiori quantità di frutta, verdura e soprattutto legumi” come il dato più importante, anche se – ammette- “si tratta in realtà di dati che sono in linea con quelli sulla spesa degli italiani nel primo trimestre del 2020”. Interessante la conclusione: “L’approvvigionamento di cibo non sembra essere stato un problema e l’attitudine alla spesa si è rivolta anche verso alimenti nuovi, con un occhio fisso ai costi troppo alti”.
Se l’occhio era “fisso”, non saranno sfuggiti i costi “troppo alti” in particolare nel piccolo dettaglio di prossimità o nei mercati rionali (quando hanno riaperto) . Nei mercati generali, lo abbiamo scritto più volte, i prezzi non sono aumentati più di tanto tranne che per prodotti visti come ‘riserva’ di casa (agrumi, patate) o come primizie (fragole, asparagi). Le catene della Gdo hanno potuto approvvigionarsi regolarmente e hanno – chi più chi meno – calmierato i prezzi. Le imprese produttive e commerciali hanno garantito raccolta, lavorazione/confezionamento, forniture e logistica, accollandosi anche gli ulteriori costi della organizzazione del lavoro, della sanificazione degli ambienti di lavoro ecc . Freshfel ha valutato in 500 milioni di euro/mese l’aggravio di costi per il mondo produttivo dell’ortofrutta , tenendo anche conto delle perdite per lo stop del turismo, la chiusura di alberghi, bar, ristoranti , i trasporti problematici e l’export semi-bloccato.
Chi ha continuato a produrre in questa terribile emergenza ha reso davvero un grande servizio pubblico alla collettività, perché non ha potuto scaricare che in minima parte questo reale aumento dei costi sui prezzi di vendita. Anche le catene della Gdo hanno contribuito certamente a tenere in piedi la baracca col sacrificio dei loro dipendenti, garantendo i servizi e rivoluzionando la loro organizzazione, però – diciamolo – almeno sono state compensate da un aumento eccezionale delle vendite, che ha sistemato tanti bilanci traballanti e fatto scoprire (o rafforzare) il comparto dell’home delivery, prospettiva solida e di grande interesse per il futuro. Chi ha aumentato sensibilmente i prezzi sono stati i dettaglianti dell’ultimo miglio distributivo, per compensare le minori vendite dovute alle misure di sicurezza e distanziamento, e i nuovi servizi offerti (home delivery gratuito).
Chi ci ha guadagnato alla fine? A occhio e croce soltanto le catene della Gdo.
Veniamo alla seconda domanda di cui sopra (come cambierà il mercato?) e qui le nebbie si infittiscono. I nostri collaboratori, il food strategist Claudio Scalise e l’economista prof. Corrado Giacomini, sono intervenuti (e continueranno a farlo) sul nostro sito e sul giornale analizzando problemi e tendenze, dal boom dell’e-commerce alla manodopera che manca, ai trend emergenti come quello della convenienza, sicurezza alimentare, salutismo. Perché parlo di nebbie? Perché, come si è visto, tutti navighiamo un po’ a vista, i consumi cambiano e si modificano di settimana in settimana man mano che usciamo dal lockdown, e i bilanci si faranno solo a consuntivo.
Noi che facciamo i giornalisti e scriviamo quello che vediamo, possiamo solo fare alcune note di cronaca, basate sulla realtà. Primo: al gigantesco sforzo del mondo produttivo sono seguiti applausi e ringraziamenti, ma pochi riconoscimenti concreti, i prezzi sono rimasti bassi (in campagna). La vicenda della manodopera insegna: ognuno si è dovuto arrangiare come può, gli altri Paesi hanno organizzato corridoi verdi e ponti aerei per far arrivare gli operai da Romania e Polonia. All’allarme delle categorie che chiedevano ‘quarantena attiva’ e voucher, si è risposto con la sanatoria dei migranti, che nulla risolve. La campagna estiva si annuncia drammatica, tra gelate e ritorno della cimice, danni su danni. Nel DL Rilancio si poteva affrontare la questione del costo del lavoro, che da sempre penalizza la competitività delle nostre imprese, ma niente, è un tabù, come i voucher.
Usciamo dall’emergenza senza alcun riconoscimento concreto per gli sforzi dei produttori, delle imprese che hanno lavorato in condizioni difficilissime. Ripeto, solo tanti ringraziamenti e pacche sulle spalle.
L’emergenza ha anche proposto la necessità di aumentare la nostra capacità produttiva per migliorare la nostra ‘sovranità alimentare’. I consumatori chiedono e privilegiano il made in Italy perché si fidano di più dei nostri prodotti, e giustamente. La Gdo (anche se non tutta) ci crede. Alcuni Paesi (Repubblica Ceca) pensano ad una legge per imporre ai retailer un plafond minimo di prodotti nazionali. Senza arrivare a tanto, servirebbe però un progetto strategico a livello nazionale che mettesse al centro, ad esempio, le aree del Sud dove di ortofrutta si vive, con una fiscalità di vantaggio. Finita la fase dell’assistenza, servirà una visione per guardare avanti, per non limitarsi a sopravvivere.
Poi, i prezzi. Ne abbiamo già parlato sopra, ma va notato che al dettaglio c’è la tendenza a ‘congelare’ i prezzi alti dell’emergenza, anche quando non c’è più l’emergenza. Chiunque va a fare la spesa in questi giorni se ne accorge. Siamo e saremo sempre per il libero mercato, ci mancherebbe. Ma di questo passo e con la crisi dei redditi famigliari cui andiamo incontro, e con milioni di nuovi poveri in arrivo, la scelta dell’ortofrutta made in Italy può diventare un lusso insostenibile per molti. Tutti vogliono prodotti “buoni, sani e giusti”, ma non tutti potranno permetterseli.
Da: Corriere Ortofrutticolo. 9/6/2020