Seguendo il dibattito sulle fonti di energia siamo spesso distratti da vari "portatori di interesse" che esaltano ora l'una ora l'altra forma di produzione energetica alternativa ai combustibili fossili, rimanendo frequentemente disorientati. Ci appare pertanto degno della massima attenzione il circostanziato articolo di due ricercatori americani, Heather Youngs e Chris Somerville, appartenenti all'Energy Biosciences Institute della Università di California, Berkeley. Somerville è, tra l'altro, uno dei più validi biologi delle piante, molto noto nell'ambito della ricerca fiosiologico-biochimica e biologico-molecolare. Fa parte del Laboratorio di Berkeley, che porta il nome del Nobel per la chimica, Melvin Calvin, lo scopritore del meccanismo biochimico della fotosintesi. Pertanto il suo profilo di ricercatore è eccellente: ha lavorato, conseguendo importanti risultati, sia sulla fotosintesi che sulla fotorespirazione, per poi dedicarsi, per molti anni, alla biochimica dei lipidi ed infine alle problematiche dell'uso delle biomasse ad uso energetico.
L'articolo in questione
"Growing better biofuels crops" è apparso su
The Scientist del 1 Luglio 2012. Di esso colpisce innanzi tutto la dovizia e la precisione dei dati.
Si parte dalla constatazione che su scala globale l' 81% dell'energia consumata è derivata da combustibili fossili, mentre le energie rinnovabili coprono il rimanente 19% di cui il 6% è rappresentato dal nucleare, ma ben il 10% dai biocarburanti, rappresentati da biodiesel -sostanzialmente derivato da lipidi di soia, colza ed altri semi oleaginosi- e soprattutto da etanolo prodotto usando lieviti in grado di fermentare zuccheri estratti da canna da zucchero, da barbabietola o dall'amido di mais, frumento e cassava. Tutta questa energia ricavata dalle piante rappresenta, a livello mondiale, il 78% delle energie rinnovabili; negli USA a fronte di 522 miliardi di litri di benzina, si usano 49 miliardi di litri di etanolo. La stima degli autori è che, con gli opportuni miglioramenti, si possa arrivare a soddisfare il 30% della richiesta mondiale del carburante per trasporti, con i biocarburanti prodotti dalle biomasse.
Con dati precisi viene confutata l'accusa di sottrarre superficie alla produzione di alimenti (più mais per carburanti e meno per alimentazione degli uomini o degli animali); anzi si propone come importante sfida per il futuro l'uso dell'enorme quantità di biomassa che rimane ancora da sfruttare dopo la coltivazione (mais da granella) o la prima lavorazione (canna da zucchero). Sappiamo bene come queste prospettive non siano esenti da notevoli problemi di gestione agronomica delle coltivazioni e di mantenimento dei livelli di fertilità dei campi. In alternativa si segnalano infatti altri materiali vegetali, quali le piante legnose forestali oppure l'uso di piante C4 perennanti tipo
Mischanthus.
L'attenzione dei due ricercatori è comunque diretta alle novità che vengono indicate su tre direttive: a) l'ottenimento, per via genetica, di nuove varietà specifiche per la produzione di biocarburanti, b) massimizzare la produzione di biomassa, c) intervenire sulla composizione della biomassa.
Circa il primo degli obiettivi si tratta di migliorare geneticamente quelle specie particolarmente adattabili ad ambienti difficili, come aree siccitose, paludose, saline, fredde o infestate da parassiti. In questo senso vengono proposte varie specie come l'
Agave, la
Spartina pectinata, l'
Eucalyptus e il
Panicum virgatum.
Preso atto che la superficie da destinare alle coltivazioni è globalmente limitata, il secondo obiettivo è obbligatorio. Il miglioramento genetico deve naturalmente invertire i parametri di riferimento perché non si tratta più di produrre piante con il massimo di granella e poca parte vegetante, ma esattamente avere l'opposta situazione; anzi, impedire la fioritura può essere una via al successo dell'incremento di biomassa.
La terza via è quella che mira all'ottenimento di piante che siano più facilmente convertibili in biocarburanti. La considerazione prioritaria è sui componenti maggioritari della massa vegetale e cioè sulla percentuale molto elevata rappresentata dalle pareti cellulari sostanzialmente costituite da lignina e dai polisaccaridi cellulosa ed emicellulosa. I polisaccaridi possono dare zuccheri suscettibili di fermentare originando biocarburanti, ma la presenza della lignina può essere un impedimento all'attacco enzimatico dei polisaccaridi. Sono allo studio vie diverse per la soluzione di questo problema.
Ancora una volta segnaliamo con forza, insieme agli AA di questo articolo, che i complessi problemi del mondo - sintetizzabili nel binomio cibo ed energia - possono avere una soluzione solo se i ricercatori di diversa estrazione, dalle scienze ambientali, alla biologia vegetale, dalla microbiologia alla genetica fino alla economia, si uniscono in uno sforzo comune.
Foto: una centrale a biomasse (sottobosco.info)