Al termine di una campagna elettorale lunghissima e, francamente, non bella né entusiasmante, a tratti scorretta, per noi europei troppo spettacolare e poco “politica”, il verdetto è giunto netto e indiscutibile. Trump, “the Donald”, il discendente di un muratore tedesco immigrato, ha vinto al di là di ogni dubbio: ha conquistato la maggioranza dei voti degli Stati, quella del Senato e quella della Camera. Ha battuto gli incerti avversari anche negli Stati in teoria più ostili come la California, New York e gli Stati della costa orientale. Caso quasi unico, viene rieletto una seconda volta con un mandato interposto, quello di Biden. All’indomani del voto borsa alle stelle e non solo in America. Tutti fattori che fanno credere che, contrariamente a quanto si dice altrove, gli elettori sapessero bene chi si accingevano ad eleggere.
Una vicenda che merita qualche considerazione.
1. Le elezioni viste dall’Italia
Qui il pensiero comune era che Trump e tutte le sue promesse sarebbero usciti perdenti dal confronto con l’ombra di Biden e la presenza improvvisata e poco convincente di Kamala Harris. Che avrebbe vinto una concezione della politica molto “italiana”, con accordi sottobanco, maggioranze fluttuanti, salti della quaglia di eletti che correvano in soccorso della presunta vincitrice. Non è stato così e non poteva esserlo. Gli Us non sono l’Italia o l’Europa. Il voto conta e la prova d’appello sono le elezioni intermedie che spesso rendono “un’anatra zoppa” nel secondo biennio il vincitore. Le vittorie risicate si pagano con la perdita di una delle due Camere, in genere il Senato con i suoi 100 senatori. Ecco perché il mandato di Trump è solido, nonostante una certa fronda interna.
2. Trump e la politica estera
Un secondo argomento riguarda la posizione di Trump nel mondo e, dunque, la politica estera. Il voto è chiaro, lo slogan Make America Great Again è un programma di azione e di governo. Ma the Donald sa che la posizione degli Us si è indebolita, che il mondo disegnato alla fine della Seconda guerra sta tramontando, che nuovi o rinati protagonisti reclamano un cambiamento, lo sa anche la Russia putiniana che già nella sua versione comunista era al timone del mondo con il Consiglio di sicurezza dell’Onu e il potere di veto che ancora oggi è nelle mani dei 5 vincitori della Guerra. Anche là le cose scricchiolano. La Cina cresce con un particolare regime politico e sociale capital-comunista e reclama di contare di più. Se Trump conosce il mondo per la sua esperienza precedente, anche il mondo conosce lui e i suoi comportamenti. Dunque, alle porte non ci saranno guerre di potere con le armi ma contese su altri piani, eventualmente con il contorno mai finito di conflitti locali per chiudere vecchie partite.
3. Le contese sul piano economico
Nel primo mandato Trump tentò la rottura del modello multilaterale di gestione dei mercati mondiali mediante il ritorno a trattative bilaterali o plurilaterali e l’uso spregiudicato dei dazi punito con le ritorsioni che, purtroppo, funzionano se si accetta la loro logica, ma sono tigri di carta nel caso prevalga la volontà di ottenere di più. Su questa strada Russia e Cina non sono soli, l’abbiamo visto in questi anni, il vecchio ordine mondiale si sgretola, emergono nuovi Paesi. Altri perdono peso e credibilità, l’Ue rimane un sogno troppo bello e poco reale, purtroppo. Dunque l’America di Trump si muoverà con duttilità, come già accaduto, per fare il proprio interesse e per mantenere lo status quo, la convenienza di tutti indica che con modesti aggiustamenti si può fare, ma occorre che la crescita economica continui perché altrimenti non si aprirebbero altri spazi per nuovi protagonisti. Ciò implica che Trump abbinerà la minaccia dei dazi con cui tutti perdono, al ritorno, auspicabile, ad un multilateralismo e ad un mondo di regole costruite ed accettate da tutti.
4. Una politica economica per gli Us
Grandi emergenze hanno seguito la pandemia negli ultimi 5 anni: a) il ritorno dell’inflazione galoppante su scala mondiale; b) la contrazione degli scambi frenati dai tassi in crescita e dalle interruzioni delle catene produttive; c) il calo dell’occupazione e l’aumento del debito pubblico di tutti gli Stati; d) guerre di dimensione più che locale come quella russo/ucraina o il nuovo conflitto fra Israele e Stati e milizie arabi armati e sostenuti dall’esterno. La ripresa tanto auspicata c’è, ma procede a tassi più lenti del previsto. La disinflazione avviene con modalità diverse anche fra Us ed Ue. Nei primi la dinamica salariale e i prezzi hanno seguito gli incrementi di produttività mantenendo fermi i costi unitari del lavoro. Da ciò il malcontento del voto operaio e dipendente che diventa consenso a Trump. Nell’Ue la strada è diversa e si tenta di far salire i salari facendo assorbire i maggiori costi del lavoro alle imprese, attingendo ai margini di profitto, e allo Stato, riducendo la tassazione e ridistribuendo il carico fiscale, mentre salgono i costi del settore dei servizi e del lavoro indipendente. Entrambe le modalità non sono prive di conseguenze e quindi anche l’irruenza mostrata da Trump in campagna elettorale dovrà per necessità essere moderata.
A conclusione di queste sintetiche riflessioni ci si rende conto che le politiche economiche sono il vero nodo per la ripresa della crescita in tutto il mondo, a partire dalle Economie Avanzate, Us ed Ue. Trump non potrà condurre battaglie solitarie e donchisciottesche contro i suoi naturali partner commerciali e alleati nello scacchiere geopolitico del mondo perché rimarrebbe privo di Paesi amici ed economicamente integrati. L’ipotesi, anche qui, è che dopo alcune forzature iniziali per alzare il prezzo delle concessioni dovrà assumere posizioni più collaborative, come con la questione del commercio mondiale e dei dazi.
5. Energia, commodity strategiche e prodotti agricoli
Questi anni hanno insegnato che il loro controllo e la disponibilità costringono a non toccare i meccanismi in essere e a favorire, in particolare per quelli agricoli, un incremento delle produzioni. Negli ultimi 5 anni le principali commodity agricole (frumento, riso, mais e soia) hanno continuato a raggiungere nuovi record produttivi contribuendo, con l’aumento dell’offerta, a far iniziare la marcia indietro dell’inflazione prima degli altri settori. Per questo sarà interessante vedere quale sarà l’indirizzo dell’Amministrazione Trump sulla transizione green. Gli Us sono al sicuro sul piano energetico. La salute della terra e il futuro dell’umanità richiedono un rafforzamento dell’agricoltura che si fondi su incrementi di produttività e sostenibilità grazie all’innovazione scientifica e organizzativa.
In conclusione, se si moderassero certi eccessi ambientalisti e green sarebbe il migliore investimento possibile per aumentare il Pil mondiale, stimolare la crescita economica e sociale, moltiplicare gli scambi, favorire salute e benessere. Anche qui Trump sarà costretto a conciliare promesse e concreti comportamenti. La via della ripresa richiede prudenza.