Frase indubbiamente a effetto, quella del titolo, e peraltro datata. Infatti, fa riferimento a una famosa intervista (
http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/cronaca/smog1/verosmog/verosmog.html) rilasciata a un quotidiano una decina di anni fa dal Professor Umberto Veronesi, medico oncologo di fama internazionale ed ex Ministro della Sanità. In sintesi, il luminare richiamava l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che fosse dimostrabile come nella triste classifica dei decessi per tumore i problemi legati all’alimentazione superassero di gran lunga quelli connessi con l’inquinamento dell’aria addirittura di un fattore 10. E, come modello, veniva indicato il caso della polenta, in relazione alla possibile contaminazione da micotossine, noti agenti cancerogeni prodotti da microrganismi saprofiti che si sviluppano su derrate vegetali, specie se mal conservate. L’affermazione scatenò una miriade di commenti e, soprattutto, di critiche nei confronti di un’accusa che andava a minare le basi della nostra cultura alimentare. Il tutto in un clima di complottismo, supportato dal tam-tam dei social media e dei forum telematici, in un contesto di sospetto per presunti conflitti di interesse (la lobby dei costruttori di auto e quella dei petrolieri, finanziatori del centro di ricerca del professore – in combutta con i grandi editori di giornali, fruitori dei loro lauti investimenti pubblicitari – avrebbero tentato di ‘sviare’ l’attenzione del pubblico nei confronti dei danni alla salute dovuti all’inquinamento veicolare). Ad aggravare il quadro, il fatto che – come possibile strategia colturale per eliminare, o ridurre, i rischi nel mais – veniva inevitabilmente citata l’opportunità del ricorso a piante OGM resistenti all’attacco della piralide.
Personalmente mi avvicino con prudenza a statistiche del tipo di quella in oggetto, specie per malattie croniche a eziologia multifattoriale, come è il caso delle neoplasie maligne. Ciò perché fatico a discriminare l’effettivo contributo di una o poche sostanze nel determinismo di tali sindromi se correlate all’esposizione ambientale, nel momento in cui l’organismo è esposto quotidianamente a decine di migliaia di molecole di varia natura e origine, che sono ingerite, inalate o comunque entrano in contatto con il nostro metabolismo. Però, restando in tema, sono rimasto colpito dalle stime OMS che indicano un significativo maggior contributo dell’inquinamento da traffico veicolare rispetto alla drammatica mortalità da incidenti stradali (
http://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0006/74715/E86650.pdf).
Un notevole ritorno di interesse dell’opinione pubblica sul tema “polenta cancerogena” si è avuto nel 2013, quando Roberto Defez, Ricercatore del CNR a Napoli, ha attirato l’attenzione su alcuni studi (
http://ambientebio.it/la-polenta-puo-essere-cancerogena/) dai quali si evidenziava una possibile correlazione tra ingestione di fumonisine (presenti in quantità maggiore nelle farine gialle da agricoltura biologica) con l’insorgenza di alcune malformazioni congenite e del tumore dell’esofago. In realtà la situazione è alquanto complessa, in quanto studi indicano Pordenone, dove la polenta rientra nelle abitudini alimentari locali, come la terza città in Europa per alta ricorrenza di carcinomi all’esofago, ma gli autori segnalano anche come fattori di rischio le grappe, il caffè, e la polenta, ma quando è bollente, attribuendo un ruolo primario alla temperatura. Meritevoli di attenzione, al riguardo, le prese di posizione polemiche (‹‹panico tra i buongustai›› hanno titolato i giornali) nei confronti di questi studi da parte di comunità del nord Italia, orgogliosamente fedeli al mantenimento del ruolo centrale della ‹‹densa pietanza preparata con farina di granoturco bollita in acqua›› nella tradizione alimentare.
Al netto di dietrologie (in parte legate al fatto che si fatica a ritenere che sostanze naturali possano costituire un elemento di rischio, allorquando l’attuale mainstream culturale individua il pericolo prevalentemente nelle attività umane), il problema ha una sua dimensione che non può essere sottovalutata: le micotossine rappresentano una minaccia per la salute del consumatore quando sono presenti nelle matrici destinate all’alimentazione umana o animale in misura superiore ai limiti consentiti. E qui troviamo coinvolte quasi tutte le competenze delle Scienze Agrarie, perché produrre cereali, foraggi, latte e vino ‘sicuri’ sotto il profilo tossicologico richiede il contributo di agronomi, arboricoltori, genetisti, fitoiatri, tecnologi alimentari, zootecnici, e altre figure ancora, a livello sia di ricerca che di servizi di assistenza tecnica.
La problematica in oggetto è diventata uno degli aspetti che più influenzano i mercati cerealicoli. E le prospettive non sembrano incoraggianti, alla luce del fatto che tra i fattori contribuenti alla presenza di livelli importanti di micotossine nel mais alla raccolta troviamo in particolare le temperature eccezionalmente elevate e la prolungata carenza idrica, circostanze ormai divenute frequenti; come non ricordare le micidiali ondate di calore estive degli anni 2003, 2012, 2015! Da segnalare che è a partire da latte fortemente contaminato da aflatossine e conferito in estate 2015 per la produzione di Grana Padano che è esploso uno degli ultimi casi (
http://www.ilgiorno.it/brescia/latte-infetto-1.1978611) che hanno allarmato l’opinione pubblica, portando al sequestro di migliaia di forme nei magazzini di stagionatura e all’iscrizione di decine di persone, tra allevatori e produttori di formaggio, nel registro degli indagati per i reati di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari.
L’entrata in vigore di Regolamenti comunitari (Reg. UE 1881/2006; Reg. UE 1126/2007) e più generalmente il modus operandi del settore della contrattualistica, vincolando i lotti a contenuti definiti di questi contaminanti, ha evidenziato una strutturale debolezza del comparto cerealicolo nazionale. Sia nei cereali vernini (frumento tenero e duro) sia, e più frequentemente, nel mais le nostre produzioni hanno presentato difetti dipendenti da contenuti in micotossine non conformi o, comunque, elevati. Sono ricorrenti (e creano allarme sociale) gli episodi di segnalazioni di superamento dei livelli massimi consentiti in partite intercettate nei punti vendita (es. http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/04/14/news/metalli_pesanti_e_micotossine-137594918/), ma, in alcuni casi, anche nei siti di importazione dall’estero. Si consideri che in sette mesi (da luglio 2015 a febbraio 2016) è stato scaricato al porto di Bari un milione di tonnellate di grano, arrivato da una decina di Paesi in cinque continenti.
Le sostanze attualmente normate sono: aflatossine, deossinivalenolo (DON), fumonisine, ocratossina A, T2-HT2, zearalenone. In relazione a ciò, il MiPAAF, di concerto con le Regioni e le Province Autonome, ha attivato una serie di programmi di ricerca applicata nell’ambito del Piano Cerealicolo Nazionale, con lo scopo di individuare percorsi tecnici in grado di ridurre la probabilità di incorrere in contaminazioni tali da influenzare la commerciabilità dei lotti nazionali di cereali. Alla loro conclusione, recentemente, sono state messe a punto le “Linee guida per il controllo delle micotossine nella granella di mais e frumento tenero e duro” (
http://www.youblisher.com/p/1420435-agricoltura-4-2016-5-2016/), che in alcuni casi sono state adattate puntualmente alle peculiari condizioni pedoclimatiche e alla realtà agricola dei territori regionali (es., per l’Emilia Romagna:
https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/9703).
Tali documenti descrivono le misure per la gestione e il contrasto alla presenza di tali sostanze, evidenziando la motivazione del rischio e le condizioni di criticità, e le strategie e le azioni di interventi da adottare in campo, durante l’essiccazione e lo stoccaggio; sono presentati i percorsi produttivi ottimali per il contenimento delle contaminazioni, esaminando cronologicamente le varie fasi durante il ciclo colturale, mettendo in luce le possibili interazioni tra le diverse misure e la sequenza delle pratiche da porre in atto. Non mancano riferimenti alle moderne tecniche di modellizzazione, con la definizione del livello di rischio probabile a seguito di definite condizioni agronomiche e la guida all’uso di applicativi specifici per dispositivi informatici per la previsione del rischio. Le indicazioni tecniche sono state impostate per permettere ai responsabili dell’attuazione delle politiche agricole e agli operatori delle filiere di disporre di uno strumento utile per molteplici finalità, quali la messa a punto di buone pratiche agricole (GAP) e di manipolazione o conservazione (GMP) (secondo le indicazioni della Raccomandazione 2006/583/CE), tenendo presenti le specifiche esigenze e realtà locali; impostare i disciplinari di produzione dei contratti integrati di filiera; fornire le indicazioni tecniche per la predisposizione dei protocolli di intesa riguardanti le OP e i disciplinari HACCP; guidare eventuali misure/azioni di orientamento nei PSR.
Anche questa è sicurezza alimentare. Il tutto per non rischiare la vita mangiando un piatto di polenta!
FOTO: spighe di mais colonizzate da Aspergillus flavus, il fungo responsabile della produzione di aflatossine.
Photo Credits: International Institute of Tropical Agriculture -
https://agrilinks.org/blog/mycotoxins-invisible-toxins-visible-impacts Is polenta more noxious than smog?
The words of this headline were undoubtedly meant for effect. They refer to a famous past interview (http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/cronaca/smog1/verosmog/verosmog.html) released to a daily newspaper some ten years ago by Prof. Umberto Veronesi, an internationally famous oncologist and former Minister of Health. In short the luminary called the public opinion’s attention to the fact that it is demonstrable that in the sad list of cancer casualties the problems due to the diet are much more than those due to air pollution even by a factor of 10. And the polenta was used as an example in relation to the possibility of its contamination by mycotoxins, well-known cancerogenous agents produced by saprophyte microorganisms that develop on vegetable foodstuffs especially when ill-preserved. This statement provoked a multitude of comments and especially of criticism for an accusation that undermined the foundations of our food culture. Making things worse was the fact that as a possible cultivation strategy to eliminate or reduce the risks for maize has inevitably put forward the opportunity to use GMO plants which were resistant to attacks by the meal-moth. I personally keep a certain distance from such statistics, especially when they concern chronic diseases having a multifactorial etiology, as is the case of malignancies. Because it is difficult to distinguish the real contribution of one or a few substances in determining such diseases if correlated to environmental exposure when the organism is daily exposed to tens of thousands of molecules of various nature and origin that are ingested, inhaled or that anyway get in touch with our metabolism.