I gravi scandali delle Regioni impongono un’impennata etica, ma anche una riflessione sui poteri delle Regioni che sono stati ampliati a dismisura dalla riforma costituzionale del 2001. Infatti, lontani dalle mode e dai preconcetti, occorre valutare l’esperienza dell’applicazione più che decennale del nuovo ‘Titolo Quinto’ della Costituzione che ha rivoluzionato i rapporti tra Stato e Regioni. In particolare va riesaminato l’art. 117 della Costituzione che ha ribaltato il principio dell’originario testo della Carta fondamentale della Repubblica dove venivano elencate le competenze delle Regioni, lasciando tutte le altre allo Stato.
Ora, invece, da un decennio, l’art. 117 elenca specificamente le competenze dello Stato, confusamente quelle ‘concorrenti’ fra Stato e Regioni, e lascia tutte le materie non citate alle smisurate competenze delle Regioni, anche se su problemi imprevisti e inimmaginabili. Infatti il lunghissimo art. 117 dispone anche che “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Gli abusi e il malcostume nelle Regioni sono cresciuti in questo contesto di quasi sovranità delle Regioni, soprattutto di quelle a Statuto speciale.
Tutto ciò ha prodotto anche crescita di costi pubblici con duplicazioni di personale fra Stato e Regioni, nonché un forte contenzioso alla Corte Costituzionale per conflitti di competenza fra Regioni e Stato. Prim’ancora degli scandali, il simbolo giuridico dell’eccesso di aspettative caricato da anni sulle Regioni è rappresentato dall’abusiva attribuzione ai Presidenti delle Regioni del titolo di ‘Governatore’.
Un titolo che non spetta loro, poiché nel diritto italiano vi è solamente un Governatore, quello della Banca d’Italia, in virtù dell’indipendenza dell’Istituto di Via Nazionale, rafforzata ulteriormente dai Trattati istitutivi della Banca Centrale Europea.
Da: QN del 23 settembre 2012
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