In un articolo sul Corriere della sera di qualche tempo addietro, il sig. Danilo Taino ha auspicato la caduta del totem costituito dalla PAC, causa, a suo dire, di mali gravissimi. Il giornalista invoca un cambio sostanziale nelle scelte europee in materia di bilancio, anche per accontentare le pretese del Regno Unito, associato sempre recalcitrante, desideroso solo di ridurre l’UE ad una zona di libero scambio, geloso com’è della sua sovranità, come se questa, nel suo significato storico, esistesse ancora.
A molti fanno gola i soldi che l’Unione spende per la PAC; si tratta, infatti, di circa la metà scarsa del bilancio dell’UE, e dunque si potrebbero destinare le somme a scopi più nobili di quelli che si dovrebbero utilizzare per mantenere autonoma, dal punto di vista alimentare, una zona popolata da quasi mezzo miliardo di persone.
Questa gran somma è, invece, molto esigua, poiché corrisponde a circa lo 0,5 % del PIL europeo; assicurarsi il cibo, in un mondo a caccia di terra e nel quale le oscillazioni di prezzo dei prodotti agricoli hanno gravissimi effetti sui bilanci familiari, sembrerebbe una scelta intelligente. Invece s’invocano ricette ultra liberali da applicare a un comparto nel quale vigono metodi produttivi che, per certi profili, sono quasi immodificabili con la tecnologia (il grano, ad esempio, matura a nove mesi circa dalla semina, una vacca impiega altrettanto per partorire un vitello, gli eventi atmosferici influiscono in modo determinante sull’abbondanza o la scarsità della produzione, ecc.).
Semmai si deve lamentare che, contrariamente a quanto sostenuto dal sig. Taino, che trova protezionistico – ma in conformità a quale lettura delle norme? - il sistema varato nel 2003 con l’adozione del decoupling, sia stato smantellato il sistema protezionistico ideato agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso dal commissario Mansholt. La PAC così impostata ha portato la Comunità a divenire una grande potenza agricola e alimentare; oggi, invece, si sono voluti immergere gli agricoltori europei, grazie alla non saggia riforma del 2003, nel mercato mondiale, con la quasi totale scomparsa dei dazi doganali e delle forme di intervento un tempo largamente utilizzate.
Forse si ritiene protezionistico il pagamento disaccoppiato, ma a contraddire questa convinzione stanno le riduzioni di superfici coltivate, le aumentate importazioni di prodotti agricoli e le forti oscillazioni di prezzo, dovute alla volatilità del mercato mondiale, verso il quale non esistono barriere europee e, in definitiva, la scomparsa sostanziale dei dazi doganali.
In ogni caso, a proposito di totem e degli USA, le regole che riguardano il sostegno dei loro produttori agricoli sono ben più protezionistiche di quelle europee, e non sembra che la PAC possa costituire un meccanismo adatto, allo stato attuale, a confinare l’Europa fuori dalla “corsa americana a una relazione privilegiata con l’Asia”.
Accanto a questo tipo di sostenitori della necessità di eliminare il sostegno economico erogato agli agricoltori, esistono altre correnti di pensiero che propugnano il ritorno a un’agricoltura primitiva, lontana dall’uso di concimi chimici, diserbanti e insetticidi.
Non c’è alcun dubbio che l’uso di queste sostanze, accanto ad un forte accrescimento del prodotto unitario per ettaro, abbia anche provocato forme più o meno intense di inquinamento, del tutto deprecabile; oggi, tuttavia, l’uso di questi prodotti è profondamente mutato, in particolare per diserbanti e insetticidi, molto meglio mirati, a dosi molto ridotte, e con caratteristiche di biodegradabilità che permettono di rivedere certi giudizi affermatisi quando sia i prodotti, sia gli utilizzatori, erano scarsamente consci delle problematiche che l’uso sconsiderato di essi poteva provocare.
In verità, la tecnologia, che progressivamente sta raffinando i risultati delle sue innovazioni e, di conseguenza, gli effetti potenzialmente negativi derivanti dal loro utilizzo, non può non fare parte del bagaglio di cui deve dotarsi l’agricoltore; ed è da respingere l’idea che si debba tornare a produrre come nel così detto “buon tempo antico”, quando molti morivano di fame, e il cibo era spesso avariato e, comunque, mal conservato e preferibilmente riservato ai benestanti.
L’idea che deve muoverci nel valutare l’agricoltura deve essere quella che considera questo comparto produttivo indispensabile per la permanenza dell’uomo su questa terra, poiché tutti dobbiamo mangiare, e capace di incrementare i suoi risultati produttivi per mettere a disposizione dei tanti che non ne hanno, cibi sufficienti e sconfiggere, finalmente, la fame che è ancora presente in molte parti del mondo.