A crisi di governo conclamata, la noia, l’indifferenza, la delusione, a volte la rabbia, sentimenti con cui gli italiani guardano ormai alle vicende della politica nazionale, circondano anche l’ennesimo toto-nomi per la poltrona di ministro dell’Agricoltura dopo le dimissioni volontarie della ministra Teresa Bellanova che hanno aperto la strada all’uscita di scena del governo Conte bis.
Il ministero di via XX settembre, glorioso perché su quella poltrona prese posto anche Cavour, è ormai come un grand hotel, il suo motto è “chi va e chi viene”, ma soprattutto “chi va” perché in poco più di settant’anni di storia repubblicana si sono alternati quaranta ministri, uno ogni venti mesi.
Teresa Bellanova non ha fatto eccezione: ha abbassato la media, è durata 16 mesi. Per la sua successione sta circolando una ridda di nomi, alcuni presentabili, altri molto meno.
Certamente nella prima categoria più che presentabile è Simona Caselli, ex assessore dell’Emilia Romagna, oggi presidente Areflh, con ottimi rapporti a Bruxelles, conoscenza dei dossier comunitari, e capacità di lavoro e risoluzione-problemi dimostrate sul campo. Il suo problema è che è fuori dai giochi correntizi del PD e che a Roma il suo partito non la appoggia come dovrebbe. Una volta la competenza era una qualità apprezzata nel vecchio Pci-Pds, adesso sembra quasi un problema. Per quello che conta, noi come Corriere Ortofrutticolo abbiamo aderito alla campagna social #simonacaselliministra e ci saremo sempre. Tra i presentabili ci sono anche Susanna Cenni , parlamentare Pd e vicepresidente Comagri alla Camera e Riccardo Nencini , leader del partito socialista, politico di lungo corso. Intendo per ‘presentabili’ persone normali , con qualche esperienza politico amministrativa alle spalle, non animati da pregiudizi anti-europeisti, non portatori di fantasiose teorie pseudo-scientifiche. Sollevano inquietudine invece i nomi di altri aspiranti alla poltrona di via XX settembre, come il battitore libero Di Battista, o i senatori De Bonis, Ciampolillo e Sandra Leonardo (alias signora Mastella), arruolati in extremis nella pattuglia dei “volonterosi –costruttori-responsabili”. C’è poi da considerare che al ministero ci sta un sottosegretario , Giuseppe l’Abbate dei 5Stelle, che il suo movimento “spinge” dopo aver garantito l’appoggio della Farnesina (quindi Di Maio) alla candidatura di Maurizio Martina alla Fao.
Tutto ciò premesso, e ribadito che le cose possono andare bene (?), benino ma anche malissimo, voglio dire una cosa a quanti sui social si scatenano contro l’ex ministra, contro la classe politica, contro i ministri “incompetenti” che non sanno cos’è l’agricoltura, “che non hanno mai preso una zappa in mano”. Primo: non c’è bisogno di conoscere un settore per fare bene come ministro, basta aver voglia di lavorare, di studiare, di circondarsi di bravi collaboratori, di impegnarsi, di parlare con le persone giuste. E non essere completamente digiuni di esperienze politico-amministrative.
Poi, scusate, se nella sfilza di ministri che si sono succeduti come trottole, gli incapaci, inutili (a volte dannosi) sono la stragrande maggioranza (e siamo d’accordo) , se quella poltrona è diventata sempre più “merce di scambio”, premio di consolazione per chi era rimasto fuori dai ministeri ‘che contano’, perché le organizzazioni rappresentative del mondo agricolo non lo hanno mai denunciato pubblicamente, non hanno mai aperto bocca, correndo invece sempre e comunque a baciare “la pantofola” del ministro o della politica? Quindi se il ministero si è svalutato negli anni come importanza e autorevolezza, se ha perso carisma (e con esso efficienza amministrativa e bravi direttori generali) , il mondo agricolo deve fare mea culpa, non può sempre presentarsi col piattino in mano, accontentarsi delle briciole, di “sovvenzioni e detassazioni”. Deve ritrovare un minimo di schiena diritta.
Infine che dire della gestione Bellanova, iniziata ai primi di settembre 2019? Non c’è dubbio che ha lavorato molto e in condizioni difficili, dovendo affrontare un’emergenza sanitaria straordinaria e senza precedenti. L’ortofrutta è rimasta ai margini della sua azione , il settore è rimasto escluso dalle agevolazioni fiscali e previdenziali , sono mancati gli aiuti economici diretti al settore che ha sempre lavorato e si è caricato di costi extra per le misure sanitarie; sul costo del lavoro non si è fatto quasi niente, la crisi-manodopera è stata affrontata senza tenere conto delle esigenze delle imprese che si sono dovute arrangiare in proprio.
Però si è vista a Berlino a Fruit Logistica (dopo anni e anni di assenza di un ministro) ed è già qualcosa . Ed ha capito che il settore ha bisogno dell’export come dell’aria che si respira. Ma un ministro da solo può far poco. Ha bisogno di una tecno-struttura efficiente al suo fianco e di un governo che si impegni in battaglie politico-diplomatiche per aprire nuovi mercati. E soprattutto ha bisogno di un governo che duri. Cosa che in Italia non succede (quasi) mai. Detto questo, vediamo che succede. Potremo anche ritrovarci qui a rimpiangere la Bellanova.
*direttore Corriere Ortofrutticolo