Stiamo entrando, o senza accorgercene siamo già in una cucina postmoderna se non in una postcucina? Termini questi usati per identificare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e tramonto circa dagli anni 1960 della modernità nelle società industriali del capitalismo maturo, entrate in una fase caratterizzata dalla globalizzazione dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. In collegamento con questi fenomeni cambiano gli stili di vita, la dimensione e la struttura della famiglia dove vive e si svolge la cucina dove si manifesta una continua ricerca del nuovo e un avanguardismo tipici dell’ideologia modernista, una disincantata rilettura della storia e dei costumi alimentari, in questi anche in una interpretazione se non invenzione di prodotti e ricette alimentari, spesso dando luogo, più che a un nuovo stile a una sorta di riuso spregiudicato del repertorio di cucine del passato nelle quali è spesso abolita ogni residua distinzione tra i prodotti alti della gastronomia e quelli della cucina di una cultura di massa. Una alimentazione che non viene più creata in famiglia e in una cucina che si è creata nei secoli, ma che viene dopo questa, quindi una cucina postmoderna se non una postcucina, sempre meno familiare e sempre più industriale e sulla quale sono almeno interessanti considerazioni.
Cucina possiamo intenderla come una modificazione di quanto diviene alimento. Cucina è una prerogativa umana che inizia con gli ominidi del paleolitico, tra due milioni e un milione e settecentomila anni fa, quando attorno al fuoco iniziano a cuocere le carni, e che si sviluppa quando la nostra specie inventando l’agricoltura e l’allevamento diviene stanziale, ma soprattutto è portata a modificare e soprattutto associare tra loro nuovi prodotti vegetali e animali con nuovi sistemi di cottura e la fermentazione. È nella famiglia matriarcale o patriarcale, più o meno allargata che si sviluppa la cucina, dalla produzione degli alimenti, alla loro trasformazione e consumo, in un loro uso con riti, credenze, leggende e tradizioni anche identitarie. Una cucina fin quasi a poco tempo fa giunta a noi, quando nelle famiglie di campagna si basava sulla trasformazione del grano e dell’uva dei propri campi, della produzione del suo orto e frutteto, delle carni di animali della propria corte con trasformazione domestica delle loro produzioni. In modo analogo nelle città gran parte della alimentazione era sostenuta da una cucina familiare che trasformava carni e vegetali in alimenti e molto limitati erano quelli acquistati già lavorati e trasformati come il pane, il vino e alcuni alimenti fermentati o conservati e tra. questi i salumi e taluni pesci.
I cambiamenti nella produzione e trasformazione degli alimenti parte da una ricerca che porta a una sempre più vasta e migliore loro conoscenza tecnologia e scientifica con conseguenze che seguono due differenti linee. La prima linea è l’ideazione e costruzione di nuovi strumenti utilizzabili anche nelle case aiutando e migliorando la cucina familiare e dai fuochi a legna o carbone si passa a quelli a gas, elettrici a microonde, dalle ghiacciaie ai frigoriferi e ai congelatori senza contare una serie di attrezzature elettrificate per arrivare a quelle robotizzate per le quali iniziano programmi di intelligenza artificiale. La seconda linea certamente di maggiore importanza è lo spostamento della trasformazione delle materie alimentari in cibi in strutture industriali che non producono soltanto cibi semplici anche di tipo tradizionale, ma sempre più di tipo innovativo, con distribuzione nella Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che diviene impositiva attraverso la già citata aggressività dei messaggi pubblicitari, invadenza della televisione, flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. Senza considerare il ruolo assunto da una gastronomia spettacolare e dal divismo degli chef. Una condizione molto complessa e che nel suo articolato insieme porta all’esautorazione della cucina intesa come pratica e soprattutto cultura inserita in una famiglia sempre meno tale e dove ci si alimenta in una cucina postmoderna o postcucina costituta prevalentemente da cibi in parte, ma spesso totalmente industriali, al più tra loro assemblati e se non cotti solamente riscaldati.
Postcucina non è un fenomeno isolato, e basta osservare quanto avvenuto per l’abbigliamento. Senza risalire alla omerica Penelope e alle donne romane che al telaio producevano quanto necessario per vestirsi, è sufficiente ricordare le tricoteuses donne del popolo che durante la Rivoluzione francese partecipavano alle manifestazioni rivoluzionarie mentre lavoravano a maglia e le nostre donne che facevano calzette o le nonne che fino a metà Millenovecento e al termine di una passata modernità realizzavano maglioni.