Torna di attualità la "pallottola" guidata, fatta dalle piante

di Amedeo Alpi e Sergio Bartolommei
  • 23 January 2013
Essere capaci di guidare una piccola molecola od una molecola proteica  in una specifica cellula è  una speranza per rafforzare la nostra strategia contro le malattie dell'uomo. L'obiettivo è possibile utilizzando immunotossine composte da un anticorpo, capace di legarsi alla cellula da colpire, e da una tossina che impedisce la proliferazione cellulare. Nonostante che questa strategia sia stata elaborata da tempo, spesso le metodologie sono risultate troppo costose per la produzione del "farmaco" su larga scala. Recentemente alcuni organi di stampa italiani hanno dato risalto ad una innovazione tecnologica ottenuta su di una alga verde, Chlamydomonas reinhardtii, ed in particolare nei suoi cloroplasti. La proteina chimerica anticorpo-tossina deve essere nociva per le cellule umane cioè eucariotiche (degli organismi superiori). Pertanto le cellule eucariotiche non possono essere usate per produrre ed accumulare tali immunotossine perché verrebbero danneggiate dalle stesse. Si è allora fatto ricorso frequentemente all'espressione delle immunotossine in batteri (procarioti) sui quali non hanno effetto; il metodo ha comunque presentato molti limiti in quanto i batteri non possiedono l'adeguato corredo molecolare per la corretta produzione della specifica proteina. Anche l'uso di cellule "superiori", come le CHO di topo che non hanno i limiti delle cellule batteriche, non si è dimostrato risolutivo per via degli eccessivi costi da sostenere. L'intervento nel cloroplasto dell'alga appare invece come un sistema privo dei limiti anzidetti e che consente un costo assai ridotto. Pertanto, per raggiungere lo scopo di colpire una cellula malata, i ricercatori del Centro di Biotecnologie delle Alghe dell'Università di California a San Diego hanno inserito nell'alga un gene ricombinante che codifica per un anticorpo, che riconosce una proteina (CD22) esposta sulla superficie delle cellule dei mammiferi, legato ad una tossina chiamata PE40. Quest'ultima è in grado di inibire la sintesi proteica degli eucarioti conducendo all'apoptosi,(morte cellulare). I ricercatori avevano,in una prima fase, ottenuto modesti risultati e la ragione risiedeva nella piccola dimensione della molecola proteica CD22PE40 che le conferiva una durata (emi-vita) troppo breve all'interno delle cellule. Sono quindi intervenuti per ingrandire la molecola (tramite l'aumento dei ponti di solfuro che hanno reso possibile la sua dimerizzazione) e le proteine così trasformate sono state capaci di diminuire, in maniera significativa, la crescita tumorale nei topi di laboratorio. 
Questo importante risultato è un forte incentivo a continuare la ricerca per la produzione di proteine terapeutiche tramite anche la tecnologia del DNA ricombinante. Speriamo che gli oppositori agli OGM traggano, da questi risultati, motivo per una opportuna riflessione. Non è chiaro infatti perché una metodologia giudicata non problematica se applicata alla lotta contro le malattie venga considerata “innaturale” se usata nella ricerca e nella produzione alimentare. La tesi di recente sostenuta che i cibi costituirebbero l'ultimo terreno di battaglia tra il bene e il male e dunque che, in base al cosiddetto principio di precauzione, bene sarebbe continuare a sospettare di quelli transgenici trascura tre considerazioni. In primo luogo che una tecnica non è né buona né cattiva, tali essendo semmai le applicazioni e i risultati che produce. In secondo luogo che gli alimenti transgenici sono sottoposti a una quantità di controlli tale per cui ulteriori sospetti trasformano la precauzione in colpevole negligenza. Infine che se salvare vite è un obbiettivo da tutti condiviso, esso può essere raggiunto sia con alghe fabbrica di farmaci che con piante fabbrica di accresciute qualità degli alimenti.

Il lavoro scientifico che descrive gli esperimenti è apparso su PNAS (Proceedings of National Academy of Sciences, numero 1,  volume 110 del 2 Gennaio 2013) con l'eloquente titolo "Production of unique immunotoxic cancer therapeutics in algal chloroplasts". Il gruppo dei ricercatori è stato guidato da Stephen P. Mayfield, biologo molecolare e direttore del Centro di Biotecnologie delle Alghe.

FOTO di apertura: microalga da www.febico.com


FOTO 2 : un incubatore dove vengono coltivate le alghe