Storie di vita narrate da un agronomo scrittore

di Amedeo Alpi
  • 12 March 2025

Siamo abituati da tempo a leggere gustosi e intelligenti racconti del nostro Accademico prof. Rolando Guerriero, ma questa volta ha sorpreso gli amici con un libro di 500 pagine, scritte con la maestria di sempre, ma dense di insegnamenti per tutti noi. Voglio sottolineare l'appartenenza di Rolando all'Accademia dei Georgofili perché, in più occasioni, ci siamo ricordati come il motto dell'Istituzione sia "Per il bene pubblico" esattamente come dovrebbe operare ogni agronomo. 
Comincio dalla parte più facile. Il caro amico Rolando mi ha scritto, nella dedica sul risvolto di copertina "...una piccola testimonianza delle ragioni per le quali si nasce agronomi... ". Potete solo figurarvi la mia curiosità, stimolata anche da un titolo che sembra estraneo a quella dichiarazione. Il libro si intitola infatti "Tutto passa e si scorda" accompagnato dal sottotitolo "Piccole cronache del tempo di guerra". Questo romanzo, edito da Giovane Holden Edizioni e finito di stampare nel novembre 2024, ha un potere di seduzione che va ben oltre i fatti narrati ancorché essi ne siano l'indispensabile substrato emotivo.
L'ineluttabilità della Grande Storia erompe sin dalle prime pagine; comunque i grandi fatti sono l'indispensabile cornice della vita per tanti cittadini come per il piccolo Rolando (Pippo nel testo) che è, di fatto, l'io narrante dell'intero romanzo.
Così si è trascinati e coinvolti, nello sfondo degli avvenimenti destinati a sconvolgere l'Italia e buona parte dell'Europa e del mondo, in tutta una serie di ricordi che il giovane Pippo ci narra con la lucidità e la perizia di una memoria attenta e sensibile, accompagnate da una rara sensibilità umana.
Si passa così dall'uso del "caffè" d'orzo, così diffuso nell'Italia del tempo e dalla lettura del Corriere dei Piccoli (ancora ricordiamo in tanti il Signor Bonaventura, così come Bibì e Bobò), ai più intriganti vecchi garibaldini della "famiglia allargata" di Pippo, atei e liberi pensatori, malvisti dal prete della Parrocchia di via Santa Marta.
Arriva, per il bambino, di circa 8-9 anni in quel momento, la conoscenza del Giardino Scotto, il noto giardino pisano, già con le voliere emananti uno sgradevole odore di escrementi degli uccelli tenuti in modo certo non esemplare, così come resteranno per lunghi anni. Quando, molti anni dopo, arrivai a Pisa, trovai la stessa situazione degradata, non tanto del giardino, quanto delle voliere. Situazione assai diversa vive Pippo nel vicino viale delle Piagge perché lungo il fiume Arno c'è un'ampia zona limitrofa, tra il viale e il corso del fiume, occupato dalle più diverse specie vegetali. Questo è il luogo dei sogni del bambino e della forte attrazione che le piante hanno su di lui: "Aveva imparato che le amiche piante assumevano nei diversi momenti dell'anno una fenologia mutevole... A primavera si dedicava alla raccolta delle margherite, che aprivano le loro corolle bianche punteggiate di giallo qua e là tra il verde dell'erba... Ai margini del prato compariva la fiamma rossa di qualche papavero, oppure la chioma spettinata di un muscari. In questo Eden, al sopraggiungere del tempo estivo i ragazzi facevano il bagno nelle verdi acque dell'Arno". Si nota, in modo evidente quanto la vegetazione attiri Pippo, ma la sua vocazione agronomica appare ancora non esplicita.
Nel senso detto appare qualcosa di più nella sua vita da "sfollato" nella Corte di Barbaricina, dove incontra -lui cittadino- ben due mezzadri che coltivano cereali e erba medica su un terreno locale limoso-argilloso, mentre in un altro, dislocato in prossimità di Pontasserchio, realizzavano colture ortive perché il terreno era sabbioso e sciolto. Dalla accurata e quasi amorevole prosa si capisce che stava subendo sempre più il fascino della gestione agronomica dei campi, così come degli allevamenti, almeno dei piccoli animali come polli e conigli. Ma, poche pagine più avanti, si riscontra una vera e propria seduzione, esercitata sul bambino, da parte delle tradizioni popolari contadine caratterizzate da alimenti poveri, ma saporiti, come la tipica torta con i bischeri, cioè i triangoli di pasta che decoravano tutto attorno la torta di Pontasserchio, ripiena di riso e cioccolata.
La Grande Storia continua a fare irruzione nel romanzo con i due catastrofici bombardamenti di Pisa dell'agosto e del settembre 1943, quando il nostro protagonista è ancora convinto di fare, da grande, l'ingegnere, così come ingegneri erano, in molti film famosi, i protagonisti, sempre sicuri di sé, intraprendenti e progettisti di grandi e importanti opere. Ma a questo ideale non corrispondeva la realtà che lo vedeva sempre più coinvolto con i contadini, dai quali imparava, volentieri, a praticare l'agricoltura. Si accorge così di quanto fosse importante togliere le erbacce dai campi di spinaci appena seminati, ma anche di come quel lavoro fosse senza fine, perché arrivati in fondo al campo a togliere le malerbe, occorreva ricominciare da capo, perché erano già rispuntate le nuove. Riuscì persino ad avere la fiducia dei mezzadri per organizzarsi un proprio minuscolo orticello personale dove correva subito appena aveva un momento libero. Accade che ragionando sulla fruttificazione e il tipo di frutto del pesco si troverà a scrivere dopo tanti anni: "Forse il misterioso abisso del miglioramento genetico mi stava inesorabilmente attirando". Mi vengono in mente le albicocche, grandi e buone, come raramente accade di trovare, e che sono state da lui ottenute a Pisa molti anni dopo e anche dopo anni di lavoro di miglioramento genetico assiduo e rigoroso! Da quel momento il suo futuro è segnato: non ci sarà più l'ingegneria dei sogni fanciulleschi, ma lo studio della pratica agricola, da quella più banale e antica alle forme più moderne e avveniristiche. Rolando Guerriero, dopo la maturità conseguita presso il Liceo Scientifico, si iscriverà alla Facoltà di Agraria dell'Università di Pisa dove inizierà la carriera accademica, come allievo di un grande Maestro del tempo, Franco Scaramuzzi che, oltre ad essere stimato, in tutta Italia, come uno straordinario esperto di agricoltura, sapeva anche leggere bene nel cuore delle persone.
Infatti, nelle stesse pagine dove dichiara questa conversione, descrive l'agricoltura dura e pura, senza eufemismi. Così quando si intrattiene sull'uso della concimazione dei campi con "una buona dose di concime organico liquido", detto in pisano "bottino" perché contenuto appunto in una botticella, aggiunge che durante questa operazione l'odore di bottino rimaneva nelle case adiacenti per alcuni giorni, ma, d'altro canto, il bottino o "pozzonero" era molto gradito alle piante di cavolo! Sempre il cavolfiore sorprende Pippo, perché a maturità la palla si allarga e si allunga e produce tanti fiori gialli. Il piccolo capisce che le piante devono trasformarsi nel tempo per raggiungere l'obiettivo fondamentale di assicurare la formazione del seme, anche se esso non poteva, spesso, essere usato per le nuove semine, in quanto imbastardito dal polline variamente preso e depositato dagli insetti pronubi. La vita delle piante era, quindi, tutt'altro che semplice!
Dopo aver scoperto come il nostro autore fosse stato folgorato giovanissimo dalla volontà di dedicarsi a studi agronomici, rimanevano ancora da leggere circa 300 pagine. Tutte interessanti perché sono comunque un passaggio vero e elegante su un periodo fondamentale della nostra storia di italiani, spesso collettivamente poveri. Proprio con un episodio di questo tipo, cioè la povertà dignitosa di tanti italiani in quel tragico periodo di guerra, vorrei chiudere questa nota.
Descrivendo via Santa Marta a Pisa, la sua via, dove abitava con i genitori, ricorda che vi era un negozio di un vinaio, sempre odoroso di vino, con grandi piramidi di fiaschi impagliati. Le famiglie andavano spesso a comperare il vino -ricordiamoci che al tempo era un alimento che contribuiva a dare energia a pasti misurati- e il vinaio spillava il vino dalla botte riempiendo la misura che poi passava nella bottiglia o nel fiasco dell'avventore. Scrive Rolando-Pippo "A quei tempi le bottiglie o un fiasco rappresentavano una ricchezza per la famiglia; una bottiglia era un bene prezioso: veniva tramandata da una generazione all'altra." Quanta verità in questa affermazione!! Ed è di un tempo che sembra di un passato remoto, non più proponibile; eppure è stato vissuto da tanti di noi.
Pippo non poteva che commentare diversamente il passaggio del fronte: arrivano gli americani e da come sorridevano, offrivano regali e cibo, sembrava che il loro compito principale non fosse di fare la guerra ai tedeschi, ma piuttosto di liberare gli italiani dalla fame!
Caro Rolando ci hai parlato di te e del precoce insorgere della tua passione per la coltivazione delle piante e l'agricoltura in generale, ma ci hai condotto, come bambini, alla sorgente del sentimento e della solidarietà umana. Un forte abbraccio e un ringraziamento riconoscente.