In Italia, come conseguenza del ritiro delle attività agricole, la superficie forestale si è estesa passando dal 21% del 1947 all’attuale 31% della superficie nazionale. Si tratta di un ampio rimboschimento naturale che è stato pagato con una riduzione della produzione agricola interna e con il parziale abbandono del presidio umano sul territorio; con tutte le implicazioni, anche strategiche, che ne derivano. Questi elementi di costo, tuttavia, sono compensati dalla speranza in un’intensificazione dei benefici pubblici del bosco.
Tra le esternalità forestali, fa ancora molta presa sul pubblico la protezione contro le frane e, soprattutto, contro le alluvioni. Tuttavia, al quasi raddoppio della superficie forestale in Italia non sembra corrispondere un’attenuazione significativa di tali eventi catastrofici e luttuosi.
L’efficacia del bosco contro le alluvioni non sempre è stata accettata senza critiche. Una prima disputa ebbe luogo in Toscana nel 1773 e ne furono protagonisti i georgofili Giovanni Fabbroni e Marco Lastri. Due accertamenti scientifici sono stati tentati tra il 1930 e il 1940, in Svizzera e negli Stati Uniti. Il risultato fu che le sperimentazioni, entrambe basate sul confronto fra due piccoli bacini idrografici uno boscato e l’altro appositamente disboscato, non condussero a risultati convincenti. Il tema fu ripreso in Italia, dopo le alluvioni del 1966, nel convegno tenuto all’Accademia dei Lincei l’8-10 ottobre del 1967. Ai forestali interessava il potere regimante del bosco valutato su un intero bacino idrografico; ma era ovviamente difficile produrre dati sperimentali sull’effetto di eventi meteorici che si ripetono a distanza di molti decenni. Gli ingegneri, invece, andavano direttamente sulle cause scatenanti delle esondazioni imputate quasi sempre a circostanze di natura urbanistica: ponti costruiti in corrispondenza di un restringimento dell’alveo; case e strade troppo a ridosso del fiume; quartieri residenziali insediati in aree di naturale espansione delle acque di piena ed altro ancora. Sono argomenti su cui si ritorna anche oggi.
Dispute analoghe si sono svolte in relazione alle frane. Il bosco, addirittura, è stato accusato di facilitare il movimento del terreno con il peso degli alberi e con la trattenuta di acqua fino a trasformare la terra in fango. Comunque, le frane cascano ancora, magari portandosi dietro gli alberi; il discorso urbanistico ritorna perché molte frane si verificano lungo le strade oppure negli abitati di mezza costa.
Dall’aumento dei boschi, la qualità del paesaggio, non ha avuto che da avvantaggiarsi se si eccettua la perdita di certi aspetti suggestivi dell’attività umana come, per esempio, le malghe di alta montagna.
Sulla biodiversità non c’è assolutamente nulla da dire. Molti dei boschi di nuova formazione sui campi abbandonati sono misti mentre specie una volta considerate rare o sporadiche, oggi dominano su superfici tanto significative da essere evidenziate nelle statistiche.
La cattura del carbonio è l’indice della produzione di ossigeno quale deriva dalla fotosintesi. L’Inventario Forestale del 2005 riporta un accumulo di poco meno di un miliardo di tonnellate di biomassa legnosa cui corrisponderebbero circa 500 mila tonnellate di carbonio. In teoria, tramite i
crediti di carbonio istituiti dal Protocollo di Kyoto, la cattura del carbonio sarebbe il primo caso di effetto ambientale del bosco che possa venire monetizzato a favore del proprietario. Ma a fronte di quanto previsto dal citato protocollo, in Italia non si è provveduto a riconoscere agli imprenditori agricoli e forestali un corretto ritorno della aliquota di loro competenza e tutto il carbonio assorbito dal settore è considerato proprietà esclusiva dello Stato.
L’ultimo cenno spetta alla produzione legnosa e alla selvicoltura. In cifra molto arrotondata, la massa globale di legno di fusto e rami grossi è di 1,5 miliardi di metri cubi: circa 150 metri cubi per ettaro. L’eventuale prelievo sostenibile sarebbe dell’ordine dei 15 milioni all’anno (1%). Però l’Inventario forestale ci informa che per l’80% della superficie dei nostri boschi il livello della selvicoltura applicato è valutato assente o minimale. Se l’economia del legno sia da considerare o meno un contributo alla pubblica prosperità per il momento è questione accademica. Ora come ora il bosco, in gran parte, è superficie nazionale ritirata dall’uso.