Le specie foraggere rappresentano secondo la FAO la risorsa principale per la sopravvivenza di circa un miliardo di persone. Nelle regioni alpine italiane, la superficie occupata da praterie e pascoli permanenti ammonta a circa 1.5 milioni di ettari, di cui gran parte localizzati in aree marginali dove svolgono, oltre a quella produttiva, numerose altre funzioni chiavi per la vita dell’uomo (tutela e protezione del suolo, paesaggistica, turistica, ecc.).
Il clima delle Alpi è cambiato in maniera preoccupante nel corso del secolo, con un aumento delle temperature pari a oltre il doppio rispetto alla media mondiale. Inoltre, secondo l’IPCC (Intergovernemental Panel on Climate Change), le risorse pastorali sono ecosistemi particolarmente vulnerabili al cambiamento del clima, e pertanto necessitano di un monitoraggio costante, condotto anche a vasta scala, nell’ottica di una loro gestione conservativa.
Tramite uno studio recentemente condotto da un gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Firenze (Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell'Ambiente), sono stati utilizzati strumenti innovativi (strumenti GIS e modelli di classificazione statistica) per caratterizzare territorialmente le risorse pastorali delle zone montane dell’intero arco alpino italiano e analizzare le possibili variazioni nella loro distribuzione e composizione in relazione ai cambiamenti climatici futuri.
Relativamente all’impatto dei cambiamenti climatici futuri, i risultati evidenziano effetti non rilevanti sulle aree a pascolo (riduzione massima della superficie -17%); maggiori preoccupazione risultano invece nella loro composizione. Infatti, ad eccezione dei pascoli dominati da specie xeriche e dai Nardeti, che mostrano rispettivamente evidenti espansioni o lievi riduzioni, le condizioni climatiche futuro determineranno rilevanti contrazioni dell’areale di tutte le altre formazioni analizzate. Nello specifico, i macro tipi caratteristici delle zone più elevate (Firmeti, Seslerieti, Curvuleti) e quelli più rari (Pascoli ricchi) saranno quelli che presenteranno le riduzioni maggiori. Già a metà del secolo si prevede infatti la loro totale scomparsa.
Sulla base dei risultati ottenuti, il contemporaneo progressivo abbandono della gestione dei pascoli e le variazioni climatiche in atto comporteranno il reale rischio di perdere la peculiare biodiversità degli ecosistemi pastorali alpini.