Troppo spesso i nostri agricoltori si trovano ormai ad essere schiacciati tra il continuo aumento dei costi di produzione (carburanti, concimi, antiparassitari, manodopera, imposizioni fiscali e burocratiche, ecc.) e la concorrenza dei prezzi più bassi di molte commodities sul mercato globale. Le nostre industrie alimentari sono libere di importare questi ultimi prodotti, creando crescenti crisi per i nostri produttori che, in mancanza di reddito, rinunciano a seminare anche in terreni assai fertili.
Chi importa
commodities, per trasformarle in prodotti “Made in Italy”, può ritenere di non avere alcun interesse a tutelare e valorizzare i pregi dei nostri prodotti primari tipici, da sempre legati ai loro territori di origine. Conseguentemente, non ha neppure interesse che vengano rigorosamente applicate norme a tutela di una trasparente tracciabilità delle filiere alimentari, a cominciare dai nostri campi di origine. Qualcuno sembra tentato ad accreditare l’idea che i pregi degli alimenti siano indipendenti dal luogo di origine dei prodotti primari. Ma le nostre millenarie tradizioni sono invece basate su esperienze opposte. D’altra parte, una siffatta tesi non sarebbe sconvolgente soltanto per la nostra agricoltura (basti pensare al vino), ma potrebbe rappresentare un boomerang per la stessa industria alimentare nazionale. I Paesi emergenti che oggi, in virtù soprattutto dei bassi salari, producono a più basso costo le commodities che noi importiamo per miope convenienza immediata, il giorno in cui qualcuno riuscisse a far accettare e divulgare quella tesi non esiterebbero a trasformare loro stessi i propri prodotti primari ed esportarli (anche in Europa), esercitando legittimamente sulle nostre industrie quella stessa concorrenza letale che oggi lasciamo ricadere sugli agricoltori.
Il problema generale e più urgente da risolvere per la nostra attuale agricoltura è rappresentato dalla difficoltà di conseguire un reddito sufficiente a sopravvivere. Lo stesso Ministro Catania ha recentemente riconosciuto che questa è oggi la battaglia prioritaria da vincere. Nessuno può pretendere che gli agricoltori continuino a svolgere i loro vari ed importanti ruoli multifunzionali di interesse pubblico (non soltanto produttivi), senza trarne un reddito proporzionato al proprio impegno. Né si può pretendere, a queste condizioni, un ritorno al lavoro dei campi, neppure di coloro che lo avevano lasciato per migrare nei centri industriali e che oggi si ritrovano disoccupati.
Un’importante iniziativa è stata avviata dalla UE per concordare e realizzare una organizzazione regolamentata dalle filiere agro industriali. Si pensa che il valore aggiunto finale dell’intera filiera possa essere distribuito in modo più equo, per riequilibrare i redditi di tutti gli addetti alle diverse imprese che la compongono, appunto dal campo al consumatore. Cito questa iniziativa, solo come un esempio di ciò che una lungimirante visione del futuro dovrebbe suggerire a tutte le componenti delle filiere.
Naturalmente, si dovrebbero cercare anche altri possibili interventi immediati, a cominciare da una revisione delle imposizioni fiscali insostenibili, quali l’IMU sui terreni coltivati, come se fossero beni patrimoniali da rendita, anziché strumenti indispensabili per conseguire un reddito da lavoro produttivo.
Tutto ciò dipende dall’atteggiamento che il mondo politico riserverà all’agricoltura e dalla nostra capacità di far capire l’importanza strategica del settore, destinata a crescere nel prossimo futuro globale.
Estratto dall’intervento del prof. Franco Scaramuzzi al Convegno su
“Prodotti tipici dei territori campani”, svoltosi a Portici, 12 ottobre 2012