La gestione del verde urbano, è un vero cruccio per le amministrazioni pubbliche, specie quando esso non è supportato da linee guida in grado di disciplinarlo.
Di certo è che in molti stati del nord dell’Europa, degli Stati Uniti e in molti paesi asiatici esistono, da qualche tempo, delle “condizioni tecniche di massima per la cura degli alberi”.
Sono regolamenti collettivi che supportano il collaudo e l’adeguatezza dell’affidamento del management del verde pubblico.
In alcuni capitolati d’appalto, non si precisa con sufficiente chiarezza, cosa si descrive con la frase “cura di un albero” e spesso si sottintende che si debba recidere senza indulgenza o con irrazionalità; recuperare con interventi di riforma situazioni illogiche quando il danno fatto alla pianta è ormai irreversibile è costume assai diffuso.
Il limite tecnico che firma il termine “taglio della chioma”, allora, spesso corrisponde a un’energica “spalcatura” o “capitozzatura”, senza ben spiegare intensità dei tagli o i costi dell’opera.
È perciò, sempre conveniente che nei progetti del verde urbano si rediga un valido “disciplinare delle prestazioni”, secondo il “regolamento degli appalti e dei capitolati”, che dettagli gli interventi di manutenzione con la dovuta diligenza o che preveda il giudizio di agronomi e forestali.
Quest’ultimo proposito, si rafforza oggi, con la legge 10 del 14 gennaio 2013 con la quale gli uffici anagrafici comunali dovranno fornire dettagli circa la piantumazione e registrare come si farebbe per una nascita. La legge obbliga ogni comune a censire e classificare gli alberi piantati, sia in aree di proprietà pubbliche che private e vincola il suo rispettivo sindaco a rendere e rapportare 60 giorni prima della scadenza del suo mandato, il “bilancio arboreo” che convalidi e dimostri impegno, cura e stato delle aree verdi.
Con la tale norma, adesso, abbattere o danneggiare una pianta monumentale o un’alberatura potrebbe diventare una condotta subordinata a spiacevoli ammende e il controllo strumentale e tecnico, dovrebbe diventare un obbligo prima della consegna di un appalto di potatura.
La rettitudine amministrativa garantisce e ottimizza anche la funzione estetica, ludica, paesaggistica e igienico sanitaria e il groviglio normativo in questi settori non è per nulla favorevole. I buoni modelli di etica ambientale per tutti questi motivi potrebbero non essere rispettati e l’indifferenza dei comuni alla riqualificazione degli spazi naturali potrebbe aumentare.
Dai dati di Legambiente nelle città italiane la superficie al verde per ogni abitante è di circa 10 m2, mentre l’ISTAT del 2010, nel complesso dei comuni capoluogo di provincia, gli italiani dispongono di 106,4 m2 per abitante di aree verdi. Secondo gli stessi rilevamenti, le città di L’Aquila (2.793,8 m2 per abitante), Pisa (1.514,4), Ravenna (1.234,8) e Matera (1.193,1) risultano i capoluoghi di provincia più “verdi”.
Le amministrazioni più virtuose si sono riqualificate in tempo pianificando e connettendo le proprie visioni agli smisurati riferimenti legislativi nazionali o regionali ma nonostante ciò gli sforzi compiuti spesso non sono sufficienti.
La varietà dei regolamenti e dei riferimenti legislativi rileva come sia inevitabile, oggi, normalizzare delle linee guida comuni che sostengano e quotino una corretta gestione del verde urbano. Una buona linea guida, quindi, dovrebbe favorire la tutela, il miglioramento e lo sviluppo del benessere vegetale nelle aree comunali; è un obiettivo da statuire a priori oltre che uno stadio di civile sussistenza. Un valido suggerimento sarebbe di istituire attestazioni che certifichino le competenze richieste, previo superamento di un esame, onde evitare il rischio di potature irrazionali in ambito urbano e agricolo; le amministrazioni più attente già si adoperano per ottemperare i nuovi doveri.