Comincia a delinearsi il Pnrr, orrendo acronimo per indicare il Piano nazionale rilancio e resilienza, che non è altro che l’insieme dei progetti con cui l’Italia vuole spendere la pioggia di miliardi del Recovery Plan. Il governo, la ministra Teresa Bellanova in primis, parla di “agroalimentare protagonista del Pnrr e del Patto per l'export”. Tra le priorità indicate dalla ministra (sostenibilità, biodiversità, lotta al dissesto idrogeologico, digitalizzazione, infrastrutture materiali e immateriali, agricoltura 4.0) l’ortofrutta – finora davvero la Cenerentola delle politiche governative – guarda con fiducia ma anche preoccupazione alle “proposte in grado di intercettare gli obiettivi strategici contenuti nei diversi documenti di indirizzo e programmazione elaborati dalla Commissione europea, come il Green deal, Farm to Fork, Biodiversità”. Questi progetti comunitari si devono necessariamente incrociare con quella che la stessa ministra chiama “giusta difesa del reddito”. L’ortofrutta italiana, in campagna, sta perdendo produzioni, superfici e valore per un combinato disposto di fattori meteo-climatici, di mercato, di concorrenza dentro e fuori Ue, di scarsi controlli alle frontiere, di incapacità del settore di fare lobby e pressione sui decisori politici. Tutto questo va di pari passo con la sostanziale mano libera di cui gode la Gdo, le cui politiche (prezzi, promozioni sottocosto, marketing) se ne infischiano (tranne casi rarissimi) delle esigenze di sopravvivenza della produzione, alla faccia di tutte le normative sulle pratiche sleali.
Quindi il tema per l’ortofrutta sta nel nuovo acronimo Pnrs, Piano nazionale rilancio e sopravvivenza, che non può prescindere da una ritrovata competitività delle imprese al Nord come al Sud. Non ci potrà essere sostenibilità senza competitività, Green deal e Farm2Fork dovranno essere declinati lungo questo asse, altrimenti sarà l’inizio della fine. E non illudiamoci che la politica faccia tutto da sola, servirà una forte pressione delle rappresentanze dell’ortofrutta (privati, cooperative, Op, Mercati) che dovranno trovare coesione e spirito di squadra attorno all’unico momento istituzionale che il settore ha a disposizione: il Tavolo nazionale, che va fatto funzionare, che non va lasciato galleggiare, come si è fatto finora.
Quanto al Patto per l’export bisogna davvero che la politica faccia sul serio. Sul Corriere on line abbiamo rivelato che – al contrario di quanto affermano i comunicati ministeriali - nemmeno un chilo di susine italiane è stato esportato finora in Brasile e così sarà finché non verrà approvato un nuovo protocollo (causa un pasticcio legato alla pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta ufficiale brasiliana). Poi sull’apertura di Taiwan alle nostre mele, il protocollo c’è ma il dossier va completato con le visite degli ispettori in Italia. Quindi neppure un chilo di mele è stato ancora esportato verso Taipei. Da un comunicato del sottosegretario L’Abbate dal titolo: “Ortofrutta: innovazioni agevolative e sostegno all’export per il rilancio del comparto” ( 23 settembre) si lascia intendere grande attenzione verso il comparto, uscito invece bastonato dal DL Rilancio con l’esclusione dagli sgravi previdenziali per i primi 6 mesi 2020, escluso dalla misura “decontribuzione Sud” e beffato con la riduzione del credito d’imposta per la sanificazione dal 60 promesso al 9 per cento. Si aggiunge poi la ciliegina sulla torta dell’esclusione delle cooperative dagli sgravi previdenziali per una questione di codici Ateco.
Ma non basta. Sempre nel comunicato ministeriale del 23 settembre si parla “di introdurre innovazioni agevolative” per le organizzazioni di produttori ortofrutticoli e loro associazioni , ma gli interessati – da noi interpellati – dicono di non essere a conoscenza di alcuna agevolazione e di non sapere assolutamente nulla. Sempre dal sottosegretario L’Abbate apprendiamo che per la cimice “c’è una disponibilità attuale di 150 milioni a fronte di richieste di danni per 180 milioni”. Valori chiaramente inadeguati rispetto ai danni, ma noi eravamo rimasti a una disponibilità di 110 milioni (80 + 30), quindi i 150 non ci tornano. Poi per i danni da gelo sulle drupacee, per cui sono stati stanziati 10 milioni nel decreto maggio, “ una soluzione adeguata potrebbe essere fornita dalle Regioni, anche indirizzando, tramite le misure dei Programmi di sviluppo rurale, le scelte degli agricoltori verso varietà con una maggiore resistenza al freddo”, scrive L’Abbate. Prima di avere in produzione nuove varietà ci vogliono anni, tutti lo sanno, intanto i danni sono qui e adesso, e sono catastrofici. I 10 milioni non bastano, si parla di nuovi stanziamenti nel Decreto agosto (dai 10 ai 25 milioni) , intanto la frutticoltura del Nord scivola verso l’anno zero, con tutto quello che ciò comporta per tutta la filiera. Vedere in affanno l’Emilia Romagna della frutta e le sue strutture fa capire la gravità della situazione. Sarebbe come se in Trentino Alto Adige entrassero in crisi i consorzi e la melicoltura.
Concludendo: non sottovalutiamo la gravità dell’emergenza causata dal Covid e le difficoltà del governo di operare in situazioni eccezionali, ma il mondo dell’ortofrutta attende da anni una attenzione dedicata all’altezza del suo peso economico, sociale e ambientale. Fa sorridere vedere questi politici che si intestano i successi dell’export (come fosse merito loro) e poi non perdono occasione per penalizzare le imprese, mettere lacci e lacciuoli, affogarle nella burocrazia e nei controlli, dimenticando il problema di fondo del settore: la competitività delle imprese (costo del lavoro, pressione fiscale, ecc) .
*Direttore del "Corriere Ortofrutticolo"