Sul tema del nuovo regolamento Ue che apre ai vitigni ibridi anche per DOC e DOCG abbiamo sentito l'opinione scientifica del Prof. Cesare Intrieri. Adesso, la parola va a un produttore: l’accademico Lamberto Frescobaldi, presidente della Marchesi de’ Frescobaldi, imprenditore vitivinicolo alla trentesima generazione.
Dottor Frescobaldi, la sua azienda comprende 1.350 ettari di vigneto in Toscana più 41 in Friuli, una decina di fattorie e altrettante cantine e undici milioni di bottiglie di vini famosi come Masseto, Luce, Ornellaia, Mormoreto e Benefizio venduti in tutto il mondo. Come ha vissuto l’approvazione del Regolamento 2021/2117 lo scorso dicembre, che ha aperto all’utilizzo degli ibridi nella produzione di vini DOC e DOCG?
La nostra azienda in questi ultimi 30 anni ha cercato di affinare l’interazione vitigno / portinnesto / ambiente. L’obbiettivo è stato quello di esaltare le caratteristiche specifiche di quel vino nell’ambiente dove nasce. Ci siamo più focalizzati sul territorio che non sul viti-gno. Gli ibridi per una fascia di prodotti e per una determinata fascia di clientela potrebbero essere interessanti in quanto questi dovrebbero avere caratteristiche organolettiche nuove e probabilmente ad alcuni gradite. Quindi ancorché non personalmente interessato per la nostra azienda, non chiuderei questa l’opportunità per chi volesse esplorare anche questo nuovo campo.
Pensa che inizierà nelle sue aziende l’utilizzo degli ibridi e perché?
Al momento abbiamo fatto solo piccole prove e non siamo interessati a svilupparla in scala maggiore. I nostri terreni generalmente sono abbastanza costosi e mal si prestano ad essere demandati alle prove.
Quali qualità organolettiche deve avere un buon vino, secondo Lei? I vitigni ibridi permetterebbero un buon risultato?
Molto complesso codificare un buon vino. cercando di semplificare direi che un buon vino è quello che riesce ad avere determinate gradevoli caratteristiche vendemmia dopo vendemmia. In questo caso entra in gioco la vocazionalità del territorio e la sapiente mano dell’uomo. Gli ibridi al momento non hanno dato quella gradevole complessità dei vitigni ad oggi usati.
Il prof. Intrieri, emerito di viticoltura e – come Lei - georgofilo, che abbiamo intervistato sull’argomento, sostiene che una buona alternativa all’impiego di questi vitigni sarebbero le specie migliorate con le TEA, tecnologie di evoluzione assistita che permettono di creare cloni di Vitis vinifera con una maggiore resistenza contro l’oidio e la peronospora. Lei che cosa ne pensa?
Il prof. Intrieri è un vulcano di iniziative, da sempre. Gli dobbiamo tutti tantissimo. Riuscire ad arrivare a qualcosa che avrà maggiore resistenza ad oidio e peronospora è certamente lodevole, anche per l’ambiente in quanto si abbasserà l’impronta carbonica. Il progetto è lungo, ma da perseguire. Ad oggi abbiamo percepito che questi nuovi cloni abbiano caratteristiche incoraggianti, ma c’è da lavorarci.
Ha avuto modo di parlare con altri produttori e di “tastare il polso” su questa tematica? Può farci da “insider”?
Il mondo del vino è fatto di tante differenti persone. Alcuni li ho sentiti assai entusiasti, altri assai negativi. L’innovazione spesso fa paura e per questo tanti tirano indietro, ma senza innovazione non saremmo dove siamo quindi incitiamo e diamo risorse allo studio e non precludiamoci il futuro.