I Paesi occidentali stanno da tempo soffrendo le conseguenze di una cattiva alimentazione, alla quale sono arrivati con l’aumento del consumo di calorie, proteine di origine animale, grassi saturi e prodotti ultra-trasformati (Ranganathan et al., 2016), contestualmente al cambiamento dello stile di vita con un incremento della sedentarietà. Parallelamente, lo stretto legame tra nutrizione e impatto ambientale si è affacciato prepotentemente sulle politiche internazionali, che chiedono al comparto agroalimentare interventi concreti per ridurre le proprie emissioni di gas serra e mitigare l’utilizzo di risorse non rinnovabili.
È stato stimato, infatti, che le produzioni alimentari sono uno dei principali motori delle emissioni di gas serra (GHG), e dello sfruttamento dell'acqua e del suolo. Esse sono responsabili fino al 30% delle emissioni di gas serra di origine antropica (10-12 Gt CO2-eq/anno) (Smith et al., 2014), di circa il 70% del consumo di acqua dolce (2.663 km3/anno) (UNESCO/WWAP, 2009), e occupano più di un terzo di tutti i terreni potenzialmente coltivabili (Aleksandrowicz et al., 2016). A fianco di questi dati, i problemi ambientali, economici e sociali derivanti dallo spreco alimentare (Stenmarck et al., 2016) rendono sempre più il settore un osservato speciale. A livello globale, dal 30 al 40% del cibo viene perso a causa degli sprechi che si possono verificare in momenti diversi della filiera (Godfray et al., 2010).
In questo contesto, i sistemi alimentari stanno affrontando una grossa sfida, finalizzata ad una produzione e a un consumo consapevole e sostenibile. Nel tempo si sono susseguiti ampi dibattiti su quale direzione dovrebbero prendere tali cambiamenti. All'inizio degli anni 2000, ad esempio, si proponeva l'intensificazione sostenibile dell'agricoltura per aumentare le scorte di cibo per nutrire la popolazione in crescita, senza espandere la superficie agricola (Alexandratos e Bruinsma, 2012; Foley et al., 2011; Godfray et al., 2010; Tilman et al., 2011); oggi invece le strategie considerate riguardano il cambiamento dei consumi, la riduzione dello spreco alimentare e il recupero degli scarti.
Uno dei punti di unione tra le tre strategie è stato individuato negli insetti. Consumati nel passato e ancora oggi parte della tradizione culinaria di alcuni Paesi del mondo, gli insetti sono stati recentemente caldamente promossi per l’alimentazione umana (Orkusz, 2021). Ricchi di proteine ad elevato valore biologico, gli insetti rappresentano una scelta valida sia dal punto di vista nutrizionale che ambientale, dato che il loro allevamento si basa sui principi di economia circolare (gli insetti possono essere allevati su substrati di varia natura) ed è considerato un modello di allevamento sostenibile per i ridotti impatti (dal consumo d’acqua, alle emissioni di CO2) (FAO, 2021).
Sappiamo, tuttavia, quanto i consumatori siano conservatori e attaccati alle loro tradizioni culinarie e perciò introdurre nelle abitudini alimentari questi nuovi prodotti è molto arduo. E se non fossero proposti come alimento, ma come ingrediente? Come reagirebbero i genitori se ai loro figli venisse proposto alla mensa scolastica del pane preparato con farina di insetti? A questa domanda hanno cercato di rispondere i ricercatori dell’Università di Firenze conducendo una valutazione contingente (CV) con una metodologia di elicitazione Double Bounded Dichotomous Choice (DBDC), partendo dall’idea che l’accettazione di un nuovo prodotto potrebbe aumentare se si abituassero gli individui già da bambini, magari introducendolo già a scuola.
In pratica, è stato predisposto un questionario che è stato sottoposto ad un campione di genitori con figli di età compresa tra i 3 e i 10 anni, utilizzatori del servizio di mensa scolastica, chiedendo se fossero disposti ad accettare l’introduzione di un pane preparato con farina di insetti (preliminarmente specificando che gli insetti sono autorizzati dalla Comunità Europea come alimento, che sono sicuri e nutrizionalmente validi), in cambio di uno sconto (assegnato in maniera casuale tra il 10%, 20%, 30%, 40% e 50%) sulla quota di mensa scolastica. Insieme a queste risposte sono state raccolte informazioni circa la tipologia di prodotti offerti/preferiti a mensa, sulla tendenza del/della figlio/a ad essere più o meno selettivo nei confronti dei cibi che è disposto ad assaggiare (in inglese food fussiness), sulle abitudini alimentari della famiglia, il grado di neofobia dell’intervistato, ovvero la paura o il rifiuto a provare cibi nuovi. Infine, le ultime domande andavano a valutare se il soggetto potesse in qualche modo associare il consumo di insetti a delle conseguenze negative per la salute del bambino, oppure a dei fenomeni di emarginazione del bambino da parte dei suoi compagni di scuola, oppure anche a dei giudizi negativi da parte di parenti, amici e colleghi. Al questionario hanno risposto 210 persone, principalmente donne (86,7%) aventi un’età compresa tra i 31 e i 45 anni. Quasi la metà dei rispondenti ha conseguito un titolo accademico (laurea triennale, laurea magistrale, master universitario), mentre circa il 40% del campione ha invece dichiarato di aver conseguito un diploma di scuola superiore come più alto titolo di studio. Dei 210 soggetti, il 70% ha dichiarato di essere contrario all’introduzione di insetti nella mensa, a prescindere dallo sconto proposto. Generalmente, quando si propone uno sconto, all’aumentare dello sconto aumenta di conseguenza anche l’accettabilità verso il bene o il servizio offerto. Questo però non ha trovato rispondenza nei risultati dei ricercatori in quanto la maggiore accettabilità è stata registrata a fronte di uno sconto del 10% sul prezzo del servizio, mentre la minore accettabilità è stata trovata in corrispondenza del più alto sconto proposto, ovvero il 50%. Sembrerebbe dunque che lo sconto offerto abbia disincentivato i rispendenti ad accettare che al proprio figlio fosse dato del pane con farina di insetti. Tale fenomeno potrebbe essere legato al fatto che le persone, solitamente, quando non conoscono un prodotto, tendono a valutarlo sulla base di caratteristiche estrinseche come, ad esempio, l’origine oppure il prezzo. Di conseguenza, uno sconto elevato potrebbe essere stato associato ad una bassa qualità del prodotto proposto, portando così il soggetto a rifiutarlo (Tan et al., 2016). Questa spiegazione sembra rafforzata dalla scarsa conoscenza degli insetti, come evidenziato dalla risposta sulla loro sicurezza: solo il 36,2% dei rispondenti pensa che far mangiare insetti al bambino non rappresenti un pericolo per la sua salute, mentre il restante 63,8% è diviso in coloro che non sanno se il consumo di insetti possa rappresentare un pericolo per la salute (40,5%) e in coloro che invece pensano che lo sia (23,3%).
Il ruolo chiave delle informazioni è stato comunque messo in evidenza dalle risposte successive. Infatti, dichiarando i possibili vantaggi nutrizionali e ambientali di un pane prodotto con farina di insetti, esplicitando che la percentuale di farina di insetti (20%) era tale da non modificare il sapore del pane rispetto al pane tradizionale ed evidenziando che prodotti a base di insetti, già provati in alcune scuole europee, avevano riscontrato giudizi di gradimento positivi da parte dei bambini, la percentuale di coloro che hanno rifiutato il prodotto offerto è scesa dal 70% al 54,8%, percentuale comunque elevata. Ciò riflette il pensiero delle culture occidentali, cioè che gli insetti tendono a produrre nelle persone una forte reazione psicologica negativa, come ad esempio il disgusto (Dobermann et al., 2017; Sogari e Vantomme, 2014), che li porta ad essere rifiutati a prescindere dai benefici ad essi associati e dal prezzo a cui vengono offerti. A conferma di ciò, il 53,8% dei rispondenti sostiene che includere prodotti a base di insetti nella dieta dei propri bambini li porterebbe ad essere giudicati negativamente, nel loro ruolo di genitori, da parte di amici, parenti, e colleghi.
Da questa prima osservazione sembrerebbe dunque che l’accettabilità degli insetti sia ancora lontana, ma alcune aperture interessanti devono essere segnalate. Ad esempio, si è registrata una piccola apertura verso l’introduzione degli insetti nelle mense tra i genitori giovani, al di sotto dei 35 anni e tra gli individui per niente neofobici. Inoltre, la categoria di alimento preferita dai bambini a mensa è risultata essere quella dei primi piatti (il 63,3% dei rispondenti ha scelto questa categoria). Cosa accadrebbe se la farina di insetti fosse inserita nella preparazione della pasta? E se questa pasta venisse preparata in ambiente domestico invece che dalla mensa di cui i genitori hanno dimostrato di non essere del tutto soddisfatti in termini di qualità e varietà del menù?
Dato che il 99% dei soggetti ha dichiarato quanto per loro sia importante che il cibo sia nutriente, mantenga in salute, contenga molte vitamine e minerali, e sia ricco di proteine e di fibre, sembrerebbe logico continuare a lavorare per informare ed educare le persone in modo da orientarle verso alimenti non del tutto nuovi, ma più sostenibili, come gli insetti.