L’Europa non smetta di perseguire la sicurezza alimentare

di Luigi Costato
  • 19 September 2012
Si potrebbe sostenere che, con tutti i problemi che sono sul tavolo, preoccuparsi di agricoltura e di alimenti sia fuori luogo; non è così, invece, dato che questo grande settore produttivo può, con gli altri, contribuire ad uscire dal terribile guado economico – finanziario in cui si è cacciata l’Europa, che ha prodotto una moneta unica e si incaponisce a non volere fare il necessario passo in avanti per costruire la logica, indispensabile conseguente unione politica.
Dunque, anche del settore primario, nelle sue varie declinazioni, ci si deve preoccupare, specie ora che si attendono novità.
La nuova riforma della PAC, che pure è stata accompagnata da documenti della Commissione che si sono preoccupati di raccogliere le molte istanze provenienti dal “basso” che hanno evidenziato la necessità di non abbandonare la food security, perno indispensabile di ogni politica agricola, non sembra, in realtà, muoversi in questa direzione, dato che il nuovo progetto di regolamento ha posizioni che non si discostano troppo, sotto questo profilo, da quelli del 2003 e 2009, anzi sembra essere ancora più ambientalista e meno interessato alla produzione.
Invece, l’UE, grande potenza economica, anche se con i piedi politici d’argilla, è nella necessità di praticare una politica agricola che favorisca le eccedenze, considerando almeno tre problemi che colpiscono gli Stati membri, anche se apparentemente non tutti in modo egualmente diretto:
    
1)    la necessità di affermarsi come forza stabilizzante di un pianeta che, fra guerre e lotte intestine a molti stati per il potere, è ben lungi dall’essere in pace;

2)    la necessità di evitare di essere occupata da una massa pacifica, ma irrefrenabile, di disperati che con ogni mezzo cercano di raggiungere territori nei quali non si patisca la fame e la sete;

3)    la necessità di promuovere uno sviluppo interno per dare occupazione ai suoi giovani, in particolare.

Tutti e tre gli scopi possono essere raggiunti promuovendo – fra le altre - la produzione agroalimentare e quella di macchinari semplici da esportare, anche in dono, verso i paesi poveri; né si dovrebbe avere paura che la recovery così realizzata, ovviamente tramite una politica finanziaria meno insensatamente restrittiva di quella posta in atto nell’area dell’euro, possa provocare una significativa inflazione, poiché l’aumento delle produzioni causerebbe, oltre che la possibilità di esportare anche in regalo, una maggiore offerta interna di beni aumentando anche i compratori, oggi frenati nella spesa dalla paura.
Parag Khanna (ne “I Tre imperi” – Ed. Fazi n.d.r.) ha affermato che uno dei tre imperi attuali è l’UE, e lo ha, sostanzialmente giudicato il migliore perché non aggressivo e pronto al soccorso di chi abbisogna. Sarebbe opportuno non smentire quest’affermazione, con comportamenti che, oltre ad essere un obbligo morale nei confronti di chi soffre, costituiscono anche un interesse per i nostri concittadini.
Sembra, poi, che questa politica renderebbe più popolare di quanto non sia oggi l’UE, presente alla mente dei cittadini più per le vicende dello spread e delle restrizioni economiche che per tutto ciò, che è moltissimo, che ha consentito di costruire in sessant’anni di pace e di libera circolazione delle persone e delle merci, in un regime di libertà.
In fondo, noi ci scandalizziamo per gli esperimenti sugli animali e pretendiamo leggi che proteggano alcuni di essi (tuttavia siamo carnivori, con tutte le conseguenze del caso); perché non ci scandalizziamo per il miliardo di uomini come noi che rischiano ogni giorno di morire di fame o di sete? E dell’incapacità della politica di far fare un ulteriore, definitivo, passo in avanti dell’UE verso una vera Federazione, magari “leggera” come qualcuno propone, ma comunque definitiva?


da: “Rivista di Diritto Alimentare”  anno VI, n° 2
Foto: www. whataplantknows.blogspot.com