La nuova Politica agricola comune che entrerà in vigore nel 2023, e che accompagnerà di riflesso anche tutti i cittadini europei almeno fino al 2027, ha una grande ambizione ambientale. Destinerà come minimo un quarto degli aiuti diretti ai cosiddetti ‘eco-schemi’ e il 35% dei fondi per lo Sviluppo rurale a misure ad alto valore ambientale. Risultati, questi, che determineranno il contributo fondamentale della Pac e dei nostri agricoltori al raggiungimento degli obiettivi che l’Unione si è posta con il Green Deal e con le due Strategie ‘Biodiversity’ e ‘Farm to Fork’. Target di alto profilo che in linea di principio, anche noi al Parlamento europeo, abbiamo condiviso e sostenuto fin dall’inizio.
Il problema è che a tre mesi dall’avvio di questa grande riforma mancano ancora i testi legislativi che supportino gli agricoltori nel tradurre in pratica la sostanza di quanto indicato dalla Commissione Ue per raggiungere la neutralità climatica nel 2050 e, prima ancora, di ridurre fortemente la chimica nei campi e negli allevamenti e aumentando fino a un minimo del 25% le superfici coltivate con metodo biologico. Tutto questo in un contesto climatico sempre più difficile, con una siccità ormai cronica che impone il ricorso a nuove tecnologie e pratiche agricole da sdoganare a stretto giro sul piano legislativo.
Per ridurre del 50% i fitofarmaci di sintesi per difendere le piante e gli antibiotici per curare gli animali, diminuire almeno del 20% i fertilizzanti – come indicato dall’esecutivo – servono insomma regole forti e chiare: norme che vanno prodotte in tempi molto rapidi facendo leva su tecnologie già esistenti, come le Tecniche di evoluzione assistita, e che il Parlamento e il Consiglio dovranno votare in tempi altrettanto rapidi per dare concreto avvio alla tanto agognata ‘Agricoltura 4.0’.
Nei giorni scorsi, in assemblea plenaria a Strasburgo, siamo intervenuti mandando un messaggio chiaro e forte alla Commissione. Facendo presente che per consentire ai nostri agricoltori di garantire la sicurezza alimentare dei cittadini europei, alla luce delle condizioni meteorologiche avverse e della siccità straordinaria degli ultimi mesi è necessario intervenire con risposte di legge tempestive.
Dopo le conseguenze delle misure di contrasto all’epidemia di Covid e l’impennata dei prezzi delle materie prime conseguenti all’invasione russa in Ucraina, le avversità climatiche e la siccità hanno messo in ginocchio l’intero settore agroalimentare, soprattutto nelle aree mediterranee, come l’Italia.
Alla Commissione abbiamo detto che è arrivato il momento di dare risposte forti, perché i nostri agricoltori continuino a garantire, prima di tutto, la sicurezza alimentare ai cittadini e consumatori. E nonostante abbiamo apprezzato le deroghe ai requisiti della Pac, finalizzate ad aumentare il nostro potenziale produttivo, non capiamo come questa scelta della Commissione possa conciliarsi con misure che abbiamo definito ‘auto-lesioniste’, come la proposta di regolamento sui fitofarmaci presentata a fine agosto.
Una proposta che accompagna una valutazione di impatto campata in aria, secondo noi, e che di fatto non offre alternative concrete all’uso della chimica, procurando invece perdite fino a un quinto delle nostre produzioni.
Per questo l’Unione europea deve mettere a disposizione dei nostri agricoltori tutti gli strumenti necessari per continuare a produrre cibo sufficiente, sostenibile e di qualità, anche di fronte alle estreme difficoltà che affrontano, e non fissare obiettivi irrealizzabili, se non a spese di produttori e consumatori.
La valutazione di impatto che accompagna la nuova proposta di regolamento per l’uso sostenibile dei fitofarmaci denota secondo noi una visione schizofrenica. Perché da un lato, chiede ai nostri agricoltori di produrre più cereali, derogando ai requisiti ambientali della Pac per fare fronte alla crisi alimentare causata dalla guerra in Ucraina; dall’altro, cerca di imporre obiettivi di riduzione dei fitofarmaci del tutto irrealistici. E questo con impatti devastanti sulla capacità produttiva europea e la sicurezza alimentare globale.
Per l’Italia sono stati previsti obiettivi di riduzione di quasi due terzi dell’uso di fitofarmaci, senza tenere conto degli sforzi che gli agricoltori hanno già fatto negli ultimi anni. Con un drastico calo delle quantità di prodotti chimici utilizzati e un aumento significativo della loro qualità, arrivando quasi ad azzerare gli impatti sulla salute dei cittadini.
Per questo in commissione Agricoltura del Parlamento europeo abbiamo fatto presente di essere pronti a ribilanciare la proposta di regolamento della Commissione, che al momento non tiene in considerazione gli impatti sulla produttività e sulla competitività del nostro settore agricolo, oltre che sui costi di produzione, e non offre alternative concrete all’uso di fitofarmaci di sintesi chimica.
Siamo convinti che serva un approccio pragmatico e realista che rimetta al centro i nostri agricoltori, supportandoli e offrendo loro tutte le opportunità che ci offre l’innovazione, dallo smart-farming alle nuove tecniche di miglioramento varietale.