E’ ovvio che l’uso dei boschi debba avere dei vincoli; ma oggi i vincoli vengono applicati con un eccesso di zelo che è bene spiegato da due dichiarazioni di principio che qui si riportano. Al termine del terzo Congresso di Selvicoltura (sotto l’egida dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali) è stato votato che “il bosco è soggetto del diritto”; è una dichiarazione un poco strana e non risulta che si sia sentito il parere di giuristi o filosofi del diritto. Successivamente, un convegno sui vincoli forestali in Toscana si è concluso con questa dichiarazione: “La moderna normativa forestale considera il valore del bosco non in funzione di questa o quella particolare utilità, ma per sé stesso ed in se stesso indissolubilmente legato come è alle forme di vita del nostro pianeta ed alla qualità della nostra stessa esistenza.”
La conclusione é che bisognerebbe confiscare tutti i boschi attribuendo loro la qualificazione di bene demaniale nel senso stretto della parola. Di proporre la confisca non si ha, forse, il coraggio; ci si limita, allora, a imporre vincoli sempre più restrittivi e si finisce che, invece confiscare la proprietà, si confisca il reddito.
Per i boschi di alto fusto si prescrive il trattamento a taglio a buche cioè il taglio solo per gruppi dispersi di poche piante con un limitato prelievo di massa. Va da sé che questo comporta una forte riduzione dei ricavi.
Per i cedui, il comportamento dei legislatori è addirittura subdolo. Si ammette il taglio con un numero elevato di piante riservate, fino a passare progressivamente dal comune trattamento a ceduo semplice al trattamento a ceduo composto e, magari, al bosco di alto fusto. Non importa se sarà un bosco di piante di forma scadente in quanto cresciute rade fino da giovani e, magari, perché il boscaiolo (a cui è demandata la scelta) ha rilasciato quelle che gli faceva più fatica tagliare e sramare. Inoltre essendo impossibile la destinazione come legname da opera, i tronchi delle matricine finiscono come legna da ardere aumentando i costi per l’esbosco, la spaccatura e la cippatura.
Era antica giurisprudenza che il vincolo forestale potesse regolamentare l’uso del bosco nell’ambito dell’ordinamento colturale in atto; si poteva vietare la conversione verso un ordinamento considerato meno rispondente, ma non si poteva obbligare alla conversione di un ordinamento considerato migliore a meno di non corrispondere un incentivo. Ora, a quanto pare questo non conta più nulla e si arriva ad indurre il proprietario a dovere accettare il cambiamento in modo strisciante.
Non risulta, però, che le associazioni e le federazioni degli agricoltori abbiano mai protestato per l’eccessivo peso dei vincoli. Tale peso è suggerito dalle motivazioni ecologistiche portate dall’opinione pubblica, ma soprattutto è consentito dalla attuale riduzione delle attività montane e rurali e, quindi, dal ritiro dell’interesse dei proprietari per i loro boschi. Se alla proprietà privata dei boschi si attribuisce ancora una funzione di produzione, di amministrazione e di presidio, sarà necessario un minimo d’incoraggiamento tornando a riconoscere il diritto al godimento del reddito e la libertà di scegliere l’ordinamento colturale preferito.