Viviamo un momento di fusioni di ambiti disciplinari, che ci costringe a ripercorrere all'indietro una lunga e tortuosa strada di divisioni delle discipline "madri". Le Università si ricorderanno certamente il periodo, protrattosi per molto, in cui il processo più evidente era stato quello della scomposizione di una disciplina in tutta una serie di sottoaree che, pur dotate di un loro contenuto, potevano avere un senso per specialisti, ma poco ne avevano ai fini formativi. Clamoroso fu l'ampliamento del ventaglio didattico in ogni Facoltà, quando una disciplina, tradizionalmente insegnata da un solo docente, fu talmente suddivisa da generare plurimi corsi d'insegnamento; si disse che quelli che un tempo erano soltanto i capitoli di libri che affrontavano una materia in maniera assolutamente unitaria, erano assurti a rango di disciplina autonoma.
Questo processo ha finito per mostrare alcuni scompensi sul piano formativo; anche l'area della formazione universitaria agraria è stata influenzata da questa "specializzazione" culturale che anziché sottolineare i grandi temi portava, inevitabilmente, a dare rilevanza ai dettagli. Come spesso accade, oggi si sta riflettendo su questi atteggiamenti e si stanno facendo passi indietro, aiutati anche dalla minor disponibilità di risorse finanziarie che ha costretto tutte le Istituzioni -e quindi anche quelle universitarie- a rimodulare le loro attività.
Quindi alcune fusioni disciplinari ormai le vediamo come buona cosa ed anzi più adatte ad una pedagogia che privilegi la formazione al posto della più semplice informazione.
Ma se questo esempio può valere all'interno di un ambito disciplinare o anche di una area culturale, più sorprendente è che si cerchino fondamenti comuni a culture assai diverse quali quelle scientifiche e quelle umanistiche.
L'Accademia dei Georgofili ha realizzato frequentemente iniziative che hanno visto la stretta collaborazione tra esponenti delle "due culture". Proprio questo mi è venuto in mente leggendo la "lettera" che la prof.sa Rachel Crossland della Scuola di Scienze Biologiche dell'Università di Reading, UK, ha pubblicato sull'ultimo numero di
New Phytologist. Mi pare che le "due culture", dopo un tormentato periodo di forte estraneità, vivano un nuovo momento di volontà di dialogo; la Crossland va addirittura oltre ed afferma che soprattutto tra scienze umane e scienze biologiche ci sono i presupposti per un proficuo lavoro comune. La collega inglese parte dal ricordo di Charles Percy Snow, chimico e scrittore inglese, morto nel 1980 - una figura eclettica che ebbe anche un incarico politico nel governo presieduto da Harold Wilson tra il 1964 ed il 1966, presso il Ministero della Tecnologia -, che notava come la vita intellettuale del mondo occidentale fosse connotata da una netta divisione tra "letterati" e "altri scienziati" - questi ultimi guidati dai fisici-, caratterizzati da una assoluta incapacità a comprendersi. Ovviamente molta strada è stata fatta per arrivare ad una reciproca comprensione, ma non tutte le difficoltà sono state rimosse. Per continuare il cammino, la Crossland ha messo le basi per un lavoro comune organizzando presso l'Università di Reading un gruppo interdisciplinare che affronta il rapporto tra le Scienze umane e la Biologia, comprendendo in quest'ultima in particolare anche lo studio delle piante e lo sfruttamento delle medesime ai fini agrari.