Fin da ragazzi avevamo sentito parlare della pregiata “mela casolana”, che si raccoglieva in autunno e a differenza di altre cultivar si conservava integra fino a Pasqua. Oggi il melo casolano, è un albero da frutto a rischio di estinzione. In rete vi sono descrizioni sintetiche, dove emerge che la sua presenza si estende oggi soprattutto nel territorio del Comune di Monticiano in provincia di Siena. Il prodotto è di dimensioni medie con buccia di colore rosso e striature verdi-rosse mentre la polpa di consistenza dura, con il proseguire della maturazione tende a diventare farinosa. Di questa varietà locale non vi sono colture intensive e si trova sparsa o in colture promiscue oppure lungo i margini delle strade spesso come singola pianta isolata. Dal 1932 a Siena con funzione di supporto per il Corpo forestale dello stato è stato istituito il Campino, tre ettari dove si sono svolte attività di ricerca e conservazione di parte del patrimonio autoctono regionale di rinomate e tradizionali piante da frutteti. Per il melo si tratta di 23 varietà antiche di Malus sativa L. In aggiunta in alcuni boschi derivati da incolti sono stati mappati esemplari di melo che negli anni avevano raggiunto dimensioni ragguardevoli. Sopravvissuti a stress biotici e abiotici le piante erano particolarmente interessanti per un’agricoltura innovativa e tradizionale. Nonostante ciò la mela casolana non trova ufficialmente posto tra queste importanti iniziative. Fortunatamente la Regione Toscana ha progettato un programma di recupero, conservazione e valorizzazione delle risorse genetiche e agricole autoctone nell'ambito delle biodiversità agroalimentari, e il melo casolano, sembra abbia finalmente suscitato l’interesse di alcuni addetti anche in considerazione delle proprietà nutraceutiche del frutto. Il termine nutraceutico infatti è scaturito dalla fusione di nutrizione e farmaceutica e l’antica mela casolana può rientrare tra gli alimenti che possiedono le cinque caratteristiche fondamentali della nutraceutica: qualità e purezza dei nutrienti, efficacia nutrizionale, sicurezza e assenza di effetti negativi, percezione oggettiva della qualità e bontà, economicità o convenienza. Il melo ha origini in Asia centrale e la sua evoluzione inizia nel Neolitico quando l’uomo da cacciatore raccoglitore iniziò ad addomesticare anche meli selvatici. La mela nel periodo romano imperiale era utilizzata anche per produrre idromele o sidro, una bevanda leggermente alcolica. La mela casolana è conosciuta sin dal medioevo ed è citata nella quarta novella della terza giornata del Decameron (1349-1351), dal Boccaccio (1313-1375): [… La moglie che Monna Isabetta avea nome, giovane ancora di ventotto in trenta anni, fresca e bella e ritondetta che pareva una mela casolana, per la santità del marito, e forse per la sua vecchiezza, faceva molto spesso troppo più lunghe diete che voluto non avrebbe…]. La mela casolana è il frutto più destagionalizzato che si conosca, infatti, in passato, senza la presenza d’impianti per la conservazione, era commestibile dopo maturazione naturale dalla fine di agosto a marzo dell’anno dopo. In una società dedita all’autoconsumo, dopo il raccolto, i frutti acerbetti erano conservati in un solaio di soffitta sopra un letto di paglia ed erano adoperate anche in cucina per insaporire alcuni primi e secondi o per la preparazione di genuini e semplici dolci (5 mele casolane, 4 cucchiai di zucchero, 4 cucchiai di farina. Le mele tagliate a spicchi sottili erano adagiate su un tegame. Il composto di zucchero e farina era distribuito sopra le mele mentre il tutto era fatto cuocere per circa 30 minuti a 220°). Non sono molti i prodotti agroalimentari nostrani che meritano l’onore della letteratura e la mela casolana è una di queste, dove le civiltà più antiche della nostra storia favorivano la diffusione dei prodotti più buoni, dandogli un forte valore socializzante che tuttora dovrebbe continua ad avere.