Quando, il 9 febbraio 2018, ebbi la fortuna di ascoltare Emmanuelle Charpentier raccontare, durante una conferenza all’Accademia dei Lincei a Roma, la storia della CRISPR-Cas9 che lei stessa definì “a game changer in genetic engineering” continuavo a chiedermi quando le avrebbero assegnato il premio Nobel. O meglio, se mai avremmo assistito al conferimento di quel premio - che popola i sogni di tutti i ricercatori - alle due donne che, a distanza di migliaia di chilometri l’una dall’altra, hanno spiegato al mondo come l’evoluzione avesse fornito a un batterio lo strumento per ritoccare, potenzialmente, il genoma di qualsiasi organismo.
Sono trascorsi altri due anni da quella conferenza di Roma, durante i quali abbiamo assistito allo “scandalo scientifico” delle gemelline cinesi e visto la Comunità Europea prendere una posizione molto chiara - ma tutta da rivedere – contro l’impiego di questa tecnica.
Alla fine, la scorsa settimana, l'Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato il premio Nobel per la Chimica a Emmanuelle Charpentier e a Jennifer Doudna per la loro ricerca sull’editing genomico. Questo premio non solo rimarrà nella storia perché condiviso solo tra due donne, ma soprattutto perché assegnato a una ricerca relativamente giovane (era l’anno 2015 quando le riviste Nature e Science definirono la CRISPR come la scoperta dell’anno), a differenza della ormai radicata consuetudine di conferire il prestigioso riconoscimento a ricerche iniziate decenni prima.
Dal 2015 le riviste scientifiche sono state letteralmente invase da articoli in cui questa tecnica è stata adattata al fine di ritoccare il genoma di organismi diversi. Al di là delle potenzialità applicative nell’uomo per la cura di molte malattie con basi genetiche, e delle loro complicate implicazioni etiche, la CRISPR è uno strumento rivoluzionario anche in agricoltura. La tecnologia dell’editing genomico ha rapidamente preso piede in molti laboratori ed è diventata uno dei più importanti strumenti per aumentare la resistenza genetica delle piante ai patogeni. Principalmente applicata contro le infezioni da virus, permette di ottenere non solo piante geneticamente modificate, ma anche mutanti non-transgenici potenzialmente (legislazione permettendo) utilizzabili in campo. Anche l’applicazione di questa tecnica per conferire alle piante resistenza a funghi e batteri patogeni ha dato risultati oltremodo incoraggianti, come nel caso del frumento, riso, pomodoro e vite.
Altrettanto interessanti sono i risultati ottenuti dall’applicazione del genome editing su piante di interesse agrario per ottenere un aumento della resa, mediante la generazione di linee maschili sterili (frumento e pomodoro) oppure attraverso lo sviluppo di germoplasmi resistenti agli erbicidi che favoriscono, anche, la prevenzione della degradazione del suolo. Infine, non si possono dimenticare le numerose piattaforme biotecnologiche basate sulla CRISPR-Cas che forniscono in continuazione una vera e propria “cassetta degli attrezzi” da utilizzare nel campo della biologia e delle biotecnologie vegetali.
Resta da verificare la durabilità di questi risultati in campo agrario, ma la sfida maggiore rimane ancora oggi l’opinione pubblica, spesso ostile a questa tecnologia vuoi per scarse conoscenze o perché mal consigliata.
“I hope I can continue to encourage my students, and especially my female students, to embrace their passion for their work and to know that their work will be appreciated by broader society” [ J. Doudna, 8 ottobre 2020].