La transumanza, nel senso etimologico del termine, è lo spostamento stagionale degli armenti lungo percorsi consolidati allo scopo di sfruttare razionalmente la disponibilità di foraggio. Diffusa in tutto il mondo in varie forme e modalità, in Europa ed in particolare in Italia, si presenta da una parte come transumanza mediterranea che vede il percorso dai monti verso le zone costiere e di pianura, e dall’altra come transumanza alpina, con percorsi dai fondivalle ai monti. Si tratta di un sistema di allevamento molto antico la cui origine si perde nelle fasi più remote della storia dell’uomo.
Lo scorso ottobre 2022, si è svolta nella tenuta presidenziale di Castel Porziano il convegno “Ripensare la Transumanza”, con lo scopo di proporre un confronto multidisciplinare sul tema della transumanza, da leggersi come articolato fenomeno connettivo socio culturale, alla luce anche del rinnovato interesse che tale fenomeno suscita sia sotto il profilo squisitamente produttivo sia quale pratica funzionale al presidio dei territori, alla loro valorizzazione, al ripristino delle connessioni ecologiche e alla conservazione delle tradizioni locali.
Ne abbiamo parlato con il georgofilo Alessandro Nardone, professore emerito di zootecnia generale e miglioramento genetico all’Università della Tuscia e oggi Presidente del Consiglio Scientifico della Tenuta presidenziale di Castelporziano.
Qual è oggi il valore della transumanza nel sistema zootecnico italiano e nel nostro patrimonio di cultura e tradizione?
La transumanza non è solo un fenomeno storico dal valore evocativo, ma una componente ancora vitale e attuale nel processo produttivo di realtà significative del sistema zootecnico, in Italia e in diverse aree del mondo. Vitalità e attualità sono testimoniate dall’entità odierna degli animali transumanti in Italia che approssima il 10% del patrimonio zootecnico nazionale, escludendo dal computo i sistemi di allevamento a elevata intensità di monogastrici e di produzione di latte. Valori percentuali molto più elevati caratterizzano talune regioni, quali Valle d’Aosta e Basilicata.
Altri due elementi ne attestano l’attualità: la crescente carenza di alimenti per gli animali e la nuova denominazione del Ministero dell’Agricoltura.
La biomassa assunta dagli animali al pascolo ha un significativo valore, sia economico per la pari quantità di alimenti che non devono essere coltivati, sia ecologico per il risparmio energetico e di emissioni che deriverebbero da una loro produzione e trasporto agli animali; inoltre, se non pascolata, la biomassa può essere potenzialmente fonte di emissioni per fenomeni combustivi naturali.
L’espressione “sovranità alimentare” presente nella nuova denominazione del Ministero dell’Agricoltura induce a ritenere vi sia la forte volontà di valorizzare il legame tra alimentazione umana, agricoltura, ecosistemi e culture, rivalutando biodiversità e mercati locali, come è nell’intendimento corretto della espressione. La transumanza risponde appieno a questi obiettivi, fuori di ogni implicazione di antitesi con le logiche dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio).
Perché secondo Lei è necessario valorizzare questa prassi zootecnica?
Innanzi tutto per il contributo alla produzione e ancor più per la percezione di naturalità dell’allevamento animale verso l’opinione pubblica, spesso mal informata. Difatti la transumanza rappresenta un fattore di sollecitazione al turismo e alla fruizione del tempo libero in ambienti collinari e montani, e avvicina così un crescente numero di cittadini al consumo di prodotti ottenuti dagli animali transumanti; di questi prodotti sarà importante informare il consumatore, che già ne apprezza i pregi organolettici, sul contributo salutistico per l’elevato contenuto di composti benefici per l’organismo umano quali ad esempio i CLA (acido linoleico coniugato), molto più presenti nei prodotti degli animali al pascolo. Peraltro gli animali allo stato brado appagano il consumatore anche nella sua crescente richiesta di benessere per gli animali allevati; di fatto il periodo al pascolo ne migliora le difese immunitarie e lo stato sanitario protraendo la condizione di benessere.
Importante poi sottolineare l’apporto della transumanza alla formazione di presidi umani in aree a rischio di dissesto se lasciate all’abbandono.
Fondamentale è la sollecitazione al recupero, alla descrizione e alla valorizzazione delle opere e dei manufatti sorti, o comunque presenti, lungo i tratturi, perché raccontano la storia della civiltà delle campagne e dei borghi, alcuni sorti su siti “embrionali” proprio in risposta alle necessità di sosta nel trasferimento degli armenti.
La transumanza sta subendo le conseguenze del cambiamento climatico? Come?
L’attualità della transumanza può assumere nuovo rilievo anche per il contributo come “biorilevatore” degli effetti dei cambiamenti climatici sugli animali, sulle piante, sugli ecosistemi.
Nella realtà moderna di crescente diffusione di biosensori e attrezzature UAV, sempre più perfezionati e performanti facilmente gestibili, è immaginabile che unità transumanti si dotino o vengano dotate di strumentazioni che gestiscano le mandrie razionalizzando l’uso dei pascoli ad esempio con recinzioni virtuali, e che rilevino parametri comportamentali e anche fisiologici sugli animali, nonché parametri puntuali dei microclimi dei siti di pascolamento/stazionamento. I dati raccolti possono confluire nelle grandi banche dati come la banca dati LEO del comparto zootecnico e non solo.
Così la transumanza, senza modificare la sua millenaria forma e funzione, trarrebbe beneficio dall’avanzamento della scienza e della tecnica, a favore dell’ambiente, degli ecosistemi, della biodiversità e della produzione, in definitiva della società.
L’Italia, ormai “hot spot climatico” al centro del Mediterraneo, potrebbe così offrire modelli di ottimizzazione delle forme di transumanza e brade in molti paesi, in particolare dell’area africana, sempre più deficitaria di prodotti alimentari, innanzitutto di proteine di origine animale.
Neppure va sottovaluto l’apporto di conoscenze per la selezione di animali più resilienti alle condizioni estreme determinate dai cambiamenti climatici nei sistemi estensivi e semiestensivi, individuando i fenotipi e i genotipi più rispondenti agli ambienti, fino a considerarne i possibili effetti epigenetici trasmessi alla discendenza dagli animali transumanti, stante che la ricerca scientifica di recente ha già accertato nei bovini l’effetto epigenetico della stagione di parto.
La pratica della transumanza è diffusa in tutta Italia? Perché istituire una giornata nazionale della transumanza?
Oggi molte regioni italiane, dal Piemonte alla Sicilia (Geraci Siculo), dedicano annualmente alcune giornate alla celebrazione della transumanza, spesso con manifestazioni culturali, ludiche ed enogastronomiche nei pressi di siti simbolo lungo il percorso delle mandrie, che assumono un intenso valore identitario. Tutte queste manifestazioni, che coprono un arco temporale molto ampio, dalla primavera all’autunno inoltrato a seconda della stagione vegetativa dettata dalla latitudine, meriterebbero un giorno di celebrazione nazionale unificante, che rappresenti e valorizzi le numerose iniziative locali (che meriterebbero una raccolta organica con annotazioni di luoghi, date, tipologia degli eventi – tecnici, culturali – statistiche demografiche su animali e partecipanti).
Sarebbe così portata con forza all’attenzione di tutta la società italiana questa pratica millenaria di razionale utilizzo delle risorse della natura e ricca di tradizioni, di saperi, di sapori, di storia e di storie, tanto da far parte dal 2019 del Patrimonio Culturale immateriale dell’UNESCO.
E la situazione nel mondo?
Di fatto la transumanza, sia pure in forme diverse, è praticata in parecchie aree di tutti i continenti abitati, e riguarda più specie allevate: bovini, ovini, caprini, equini, ma anche renne, camelidi, bufali, yak.
Nei paesi mediterranei dell’Europa, Grecia, Spagna, Portogallo, Francia la transumanza ha caratteristiche non dissimili da quella praticata in Italia, così anche in Turchia e in Austria.
Spostandoci verso l’estremo Nord abbiamo la transumanza delle renne nei paesi scandinavi, praticata specialmente dai pastori Sami. Una particolarità è la realizzazione in atto in Svezia di ponti e viadotti espressamente per agevolare lo spostamento delle mandrie di renne. Ma la transumanza di renne è importante in Siberia e presente anche nell’Est del Canada.
In vaste aree dell’Asia interna (Mongolia, Cina ecc,) da millenni i pastori nomadi spostano il bestiame sui pascoli in quota nel periodo estivo e nelle zone più basse e meno fredde d’inverno. Mandrie numerose di bovini e ovini percorrono per giorni distanze notevoli in Cina per passare dai pascoli primaverili agli alpeggi. Ricerche archeologiche recenti avrebbero raccolto indizi sufficienti per ipotizzare una possibile coincidenza, in tempi remoti, tra percorsi di transumanza e tratti dell’antica via della seta. Nei paesi dell’Asia centrale dell’area himalayana con l’espansione dell’allevamento dello Yak si va diffondendo la transumanza verso gli alpeggi di alta quota di mandrie di questo bovidae.
In Sud America la transumanza interessa più particolarmente le popolazioni andine (di Argentina, Bolivia, Ecuador, Perù) che praticano la pastorizia in altitudine con greggi di Alpaca e Lama, ma anche di capre. In tempi recenti in quest’area la prassi della transumanza sta incontrando difficoltà causate dal rispetto delle frontiere che interrompono il percorso dei tratturi.
Nel continente africano sono parecchi i paesi nei quali è praticata la transumanza: Cameroon , Burchina Faso, Benin, Senegal, Uganda, Nigeria e altri paesi. In queste aree molta è la preoccupazione per i rischi epidemiologici che gli spostamenti del bestiame possono comportare.
In definitiva, l’Africa offre un bell’esempio per riflettere come l’uomo, di fatto, con la transumanza attui una “pratica” che gli animali di diverse specie non domesticate adottano spontaneamente, rispondendo all’istinto naturale di cercare cibo e acqua per vivere e riprodurre. E’ il caso della migrazione delle mandrie di gnu e zebre che si spostano nelle pianure dell’attuale Parco nazionale di Serengeti, nella Conservation Area del Negorongoro in Tanzania, e nella confinante Riserva Nazionale di Masai Marain Kenia, compiendo annualmente, in senso orario, una sorta di “lup” lungo circa 800 chilometri, rincorrendo piogge e pascoli, perpetuando così ecosistemi di particolare interesse. Peraltro l’uomo dell’antropocene, mentre cerca, con la realizzazione di parchi e riserve, di salvaguardare queste transumanze “naturali” e gli ecosistemi e la biodiversità connessi, allo stesso tempo li compromette, contribuendo in vari modi ai cambiamenti climatici che a livello globale stanno determinando effetti negativi su tutte le forme di transumanza e più in generale sui sistemi bradi di allevamento in moltissime aree del pianeta.