Qualche tempo fa gli argomenti riscaldamento globale ed emissione di gas serra legati alle attività agricole erano in prima linea sui giornali e nei talk show. Poi, è arrivata la pandemia da Covid e non si è parlato d’altro per mesi, con opinioni e giudizi spesso contrastanti o, peggio, fantasiose. Adesso l’argomento principe è rappresentato dalle notizie della guerra in Ucraina e questo prevale su tutti gli altri. Ma tutto ciò non vuol dire che il pianeta abbia smesso di riscaldarsi e che, ormai, la pandemia sia solo un ricordo. Purtroppo, i vecchi problemi ci sono ancora, anche se ce ne preoccupiamo meno secondo la filosofia del “chiodo schiaccia chiodo”.
A questo proposito, l’estremamente interessante articolo di Beyer et al. (Communications Earth and Environment, 2022, 3:49), citato dal freelance Tony McDougal su All About Feed del 24 marzo scorso, ci riporta al problema del contributo della CO2 e del metano al riscaldamento globale.
Gli autori, appartenenti all’Università di Cambridge, partono dall’osservazione secondo la quale le produzioni agricole hanno preso il posto degli ecosistemi naturali del nostro pianeta. Ciò comporta che l’uomo, attraverso le attività agricole, contribuisce in maniera sensibile e significativa alle emissioni di carbonio, alla perdita di biodiversità e al consumo di acqua dolce.
Lo studio combina i dati delle produzioni globali delle varie colture con quelli ambientali in un programma di ottimizzazione matematica per determinare come ottimizzare la distribuzione geografica delle colture agricole allo scopo di ridurre le emissioni di gas serra, pur mantenendo i livelli alti di produzione attuali. Continuando la traduzione dell’abstract del lavoro citato, gli autori stimano che “cambiando le attuali collocazioni delle colture, nel mentre si permette alle aree così abbandonate di rigenerarsi, si può ridurre il rilascio di carbonio del 71%, migliorare la biodiversità dell’87% e risparmiare l’acqua del 100%.”. La distribuzione globale ottimale prevista adesso, aggiungono gli autori, può andar bene anche nello scenario di emissioni di gas serra della fine del secolo. Un certo miglioramento della situazione si può ottenere anche se ci si accontenta di ricollocare le varie colture entro confini nazionali e passando ad attività meno intensive. In questo caso, le previsioni di miglioramento si riducono al 59% per le emissioni di carbonio ed il miglioramento della biodiversità al 77%.
Sono state prese in considerazione 25 tra le più importanti colture, fra cui il grano, l’orzo e la soia che, da sole, occupano più dei tre quarti delle superfici coltivate nel mondo.
Le conclusioni degli autori sono, però, realisticamente pessimistiche. Uno degli autori, la prof. Andrea Manica, scrive: “il ricollocamento ottimale delle colture non costituisce un target particolarmente stimolante”, prevedendo che la situazione non cambierà in futuro.
Valeva, comunque, la pena di segnalare l’articolo citato. Se non altro per fare qualche riflessione.