Il Regolamento UE sulla Nature Restoration: una salvifica ultima spiaggia di approdo della politica unionale sulla Natura o l’ennesima sterile chimera?

di Nicoletta Ferrucci
  • 08 January 2025

Assai accidentato, irto di ostacoli di stampo politico e culturale, l’iter che ha accompagnato in un lungo arco temporale la genesi del Regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 giugno 2024 sul ripristino della natura e che modifica il regolamento (UE) 2022/869, il cui testo predisposto dalla Commissione Europea nel giugno 2022, a più riprese riveduto e corretto, è stato definitivamente approvato il 17 giugno 2024, ed è entrato in vigore il 18 agosto u.s..
Il Regolamento si inserisce dichiaratamente nel percorso tracciato dai più recenti sviluppi della politica unionale e internazionale in materia di tutela della natura, improntato ad una visione integrata e sinergica della protezione di quest’ultima e della lotta al climate change, in linea con le evidenze scientifiche sulle interconnessioni genetiche e funzionali che legano l’erosione e la perdita di biodiversità ai cambiamenti climatici, con riflessi sulla protezione della salute e del benessere dei cittadini, nonché sulla sicurezza alimentare.
Al contempo però il Regolamento adotta come baricentro attorno al quale si dipanano le sue disposizioni uno specifico profilo dell’ampia nozione di natura, optando la scelta di orientare il suo intervento non su singole specie vegetali o animali, ma sui contesti naturalistici che ospitano le diverse sfaccettature della biodiversità: sono dunque gli ecosistemi i destinatari delle misure introdotte dal Regolamento, nelle loro molteplici forme tutte riconducibili all’ampia accezione fornita dal suo articolo 3, come complessi dinamici di comunità di piante, animali, funghi e microrganismi e del loro ambiente non vivente che interagiscono formando un'unità funzionale.
Rispetto ai suoi precedenti il Regolamento segna indubbiamente un punto di svolta sotto due ulteriori profili, che traducono la coraggiosa quanto imprescindibile presa d’atto dei limiti insiti nella pregressa politica unionale in materia di tutela della natura, incapace di realizzare gli ambiziosi obiettivi salvifici che si era proposta. Il primo è legato all’univoca determinazione a focalizzare l’attenzione e far convergere le nuove misure attorno all’unico obiettivo del “ripristino” degli ecosistemi, come strumento da forgiare per arginare il declino quantitativo e qualitativo della biodiversità, abbandonando il mantra della sua generica mera protezione. Questa scelta forte del Regolamento coglie pienamente e concretizza l’assist lanciato dalla Commissione Europea nella Strategia sulla biodiversità per il 2030, là dove quest’ultima ha evidenziato come mantenere, attraverso misure di protezione, la natura nello stato in cui si trova oggi non sia sufficiente a farla ritornare parte della nostra vita e sia improcrastinabile per invertire la perdita di biodiversità puntare con decisione al ripristino della natura attraverso piani ad hoc, rispetto ai quali l’Unione Europea deve giocare il ruolo di apripista.
L’altro profilo di novità che connota il Regolamento è l’opzione, del tutto inedita quanto illuminata, di abbandonare nel dialogo con gli Stati membri le confortevoli sponde della soft Law, quella sorta di moral suasion contenuta nelle Strategie sulla tutela della Natura, e superare la reiterata reticenza all’adozione di più stringenti prescrizioni che si rivela anche nell’opzione per l’apertura di ampi spazi decisionali ai singoli Stati membri là dove l’Unione ha affidato la protezione della natura allo strumento della direttiva. Oggi questo scenario subisce una radicale trasformazione nella scelta di procedere con l’adozione dello strumento del Regolamento, che traduce in obiettivi vincolanti gli ambiziosi traguardi auspicati dalla Strategia europea per la biodiversità per il 2030, e contempla una trama di disposizioni dettagliate e stringenti alle quali gli Stati membri devono attenersi nell’adozione di misure di ripristino efficaci allo scopo di coprire congiuntamente nell’insieme delle zone e degli ecosistemi che rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento medesimo, almeno il venti per cento delle zone terrestri e almeno il venti per cento delle zone marine entro il 2030, e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.
Indubbiamente singolare e innovativa è la stessa metodologia adottata dal legislatore che elegge il “ripristino” della natura ad obiettivo primario e trainante, una sorta di fil rouge che lega l’articolata trama di norme del Regolamento, e viene declinato con sfaccettature diverse in funzione delle peculiarità che connotano i diversi ambiti sui quali il legislatore unionale ha posto l’attenzione. Del ripristino, il Regolamento offre, all’art.3, paragrafo 3, una accezione assai ampia definendolo come “processo volto ad aiutare, attivamente o passivamente, il ripristino di un ecosistema al fine di migliorarne la struttura e le funzioni, con lo scopo di conservare o rafforzare la biodiversità e la resilienza degli ecosistemi, migliorando una superficie di un tipo di habitat fino a portarla a un buono stato, ristabilendo la superficie di riferimento favorevole e migliorando l'habitat di una specie fino a portarlo a una qualità e quantità sufficienti conformemente all'articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3, e all'articolo 5, paragrafi 1, 2 e 3, nonché conseguendo gli obiettivi e adempiendo gli obblighi di cui agli articoli da 8 a 12, e anche raggiungendo livelli soddisfacenti per gli indicatori di cui agli articoli da 8 a 12”. E così il ripristino si rivela al contempo obiettivo e strumento di intervento in ogni concreta situazione di criticità nella quale versa la natura, in una prospettiva di operatività che spazia con occhio attento attraverso le diverse tipologie di ecosistemi in essa presenti: terrestri, di acqua dolce, costieri e marini, urbani, agricoli, e gli habitat favorevoli alla sopravvivenza degli impollinatori, prendendo le mosse da quelli inseriti all’interno della Rete Natura 2000, che per primi devono essere ripristinati, allargando poi la visuale anche agli altri collocati al di fuori della stessa. Ma sempre plasmando le misure di ripristino in funzione delle peculiarità che connotano le diverse tipologie di habitat, rispettando una logica di tempestività, attraverso l’individuazione di steps a cadenze definite, di efficienza, adeguatezza e idoneità, indici questi ultimi, parametrati in funzione dell’obiettivo finale, declinato utilizzando una terminologia consolidata nei precedenti normativi in materia di tutela della natura, di conseguire uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat stessi e delle specie in essi presenti.
Ulteriore elemento differenziale rispetto al trend normativo precedente in materia di tutela della natura, è l’opzione per il forte coinvolgimento attivo e responsabile degli Stati, sia pur guidato lungo i binari predefiniti, chiamati a predisporre lo strumento che nell’ottica del Regolamento rappresenta la chiave di volta dell’azione di ripristino, il piano nazionale di ripristino, da redigere in stretta aderenza alle indicazioni fornite dallo stesso Regolamento e successivamente dagli atti delegati della Commissione, e sotto il costante e stretto controllo di quest’ultima, all’insegna del ricorso a professionalità tecnico scientifiche e nel rispetto di una logica di trasparenza e partecipazione del pubblico e degli stakeholders. Agli Stati è affidata anche l’attività di monitoraggio, sia quella propedeutica e funzionale ad una corretta ed efficace redazione dei piani di ripristino, sia quella relativa alla verifica dello stato e delle tendenze degli ecosistemi nelle zone soggette a misure di ripristino successiva alla implementazione degli stessi piani. Monitoraggio soggetto ad una timeline differenziata in funzione alle diverse tipologie di ecosistemi, e che gli Stati membri devono condurre utilizzando metodologie avanzate che operano sulla base di banche dati elettroniche e di sistemi di informazione geografica.
Ampio il ventaglio degli spazi di intervento che il Regolamento apre al potere della Commissione di adottare atti delegati, da esercitare entro rigorosi range temporali, sotto il costante controllo del Consiglio e del Parlamento e nel rispetto delle rigide condizioni procedurali imposte dall’art. 23: dal completamento del quadro normativo in tutti i suoi settori di intervento, per agevolarne l’uniforme applicazione, alla modificazione delle indicazioni contenute negli allegati, adeguando le indicazioni in essi contenute al progresso tecnico e scientifico, tenendo conto anche dell’esperienza acquisita con l’applicazione delle stesse; fino a specificare e aggiornare i metodi di monitoraggio inerenti alla diversità degli impollinatori e relativa popolazione, agli ecosistemi agricoli ed agli ecosistemi forestali.
Si conferma dunque il tradizionale ruolo giocato dalla Commissione di baricentro del dialogo costante tra il diritto unionale e la scienza, elemento imprescindibile dell’interlocuzione del mondo delle regole con quello della natura. Un ruolo che, alla luce del Regolamento, la Commissione espleta anche fornendo agli Stati membri, da sola o in collaborazione con le pertinenti Agenzie dell’Unione, e in particolare con l’Agenzia Europea dell’Ambiente, un supporto scientifico e tecnico, spesso mirato a garantire uniformità all’applicazione delle misure del Regolamento, per sostenerli nell'adempimento degli obblighi che lo stesso impone loro.
Il Regolamento tesse dunque una fitta trama di momenti di confronto tra la Commissione e gli Stati membri, che si espleta anche nella incisiva e costante azione di monitoraggio e di controllo della prima sull’attività di questi ultimi, nella prospettiva ultima di verificare la concreta efficacia delle misure dallo stesso plasmate rispetto agli obiettivi di ripristino della natura ed eventualmente avanzare proposte di correzioni di tiro.
L’avveniristica scelta operata dal legislatore europeo lancia agli Stati una sfida non facile legata al ruolo loro riservato, da giocare sullo sfondo di uno scenario assai ambizioso dove la complessità del quadro delle misure di ripristino, legata, come già sopra ricordato, alla articolazione delle medesime in funzione della peculiarità che connotano le diverse categorie di ecosistemi, e del differente stato di conservazione degli stessi, non agevolata dalla non felice formulazione delle norme troppo frequentemente strutturata su una serie di rinvii a catena ad altre disposizioni dello stesso testo normativo, si innesta sulla necessità di fondo di cambiare paradigma nel segno di un rinnovato protagonismo attivo, consapevole e professionalmente qualificato.