Il 19 aprile scorso Tom Howarth, collaboratore della rivista mensile britannica “BBC Science Focus”, ha pubblicato un interessante articolo riguardo all’importanza futura della presenza del latte di cammella nella nostra alimentazione, soprattutto in conseguenza dei cambiamenti climatici e di tutto ciò che ne consegue a livello globale. Il titolo è fiduciosamente lapidario: “Why camel milk could soon become the world’s most essential drink”.
Nell’articolo si fa, fra l’altro, notare che questo è l’anno internazionale dei camelidi, con festeggiamenti e sfilate di cammelli, lama e alpaca, che si sono svolti per le strade di Parigi il 20 aprile, qualche giorno fa.
Secondo dati della FAO, i cammelli contribuiscono già per circa l’8% della produzione totale di latte nell’Africa sub-sahariana. La produzione potrà decuplicarsi per la fine di questo decennio, almeno stando a quanto prevede la Dr. Ahearn dell’università di Oxford.
La cammella è in grado di produrre latte a partire da alimenti poveri, molto meglio di qualsiasi altro animale da latte: l’esperienza del Kenya settentrionale, ci viene riferito, dimostra che le cammelle sono più produttive delle bovine, a parità di condizioni alimentari. Secondo la citata Dr. Ahearn, i fabbisogni di alimenti e acqua necessari per produrre un litro di latte di cammella sono di gran lunga inferiori a quelli per un litro di latte di vacca. Non solo, il latte e i derivati del latte di cammella, oltre a fornire alimenti nutrizionalmente ricchi per le popolazioni delle aree aride e semiaride, contribuiscono a migliorare i redditi dei pastori nomadi.
Leggiamo che nel gennaio di quest’anno in Arabia Saudita è stato fatto partire un nuovo progetto denominato “Sawani” per promuovere la cammelli-coltura nel paese, come strategia di diversificazione economica, traendo vantaggio dalla estensiva millenaria esperienza e dall’enorme potenziale per espandere le capacità operative ed ampliare l’ecosistema.
Il latte di cammella viene già esportato in Europa e nel Regno Unito.
La produzione di 5 litri di latte al giorno viene attualmente considerata buona per una cammella. Ma le quantità prodotte per lattazione sono molto variabili, soprattutto in funzione delle condizioni ambientali: 1000 – 2000 litri in Africa e fino a più di 10.000 litri in Asia meridionale, con lattazioni che vanno dagli 8 ai 18 mesi (origine FAO).
È ormai appurato che il cambiamento climatico sta innalzando le temperature, tanto che alcuni habitat del pianeta stanno divenendo sempre più inospitali per i bovini, mentre i camelidi possono essere in grado di viverci e produrre.
Molteplici sono i benefici di impiegare i camelidi nelle zone aride. Ilse Köhler-Rollefson, nel suo trattato del 2014 “Camel Karma: twenty years among India’s camel nomads”, osserva che la bovini-coltura va bene in Europa finché il clima rimane temperato, ma se l’aria condizionata diviene necessaria negli allevamenti per alleviare il malessere delle vacche e non deprimerne la produzione, allora è meglio ricorrere ai cammelli che non hanno questa necessità.
Uno studio pubblicato nel 2022 sulla rivista “Nature Food” ha previsto che, con il peggiorare delle condizioni climatiche in Africa sub-sahariana e delle conseguenti carenze di alimenti e acqua, sarà necessario sostituire gli allevamenti di bovini con quelli di camelidi e capre, con la conseguente, drastica, diminuzione della produzione di gas serra.
Infine, per finire con l’aspetto salutistico, secondo Ilse Köhler-Rollefson il latte di cammella è molto più ricco in vitamina C e ferro di quello di vacca e può essere consumato tranquillamente anche da chi è intollerante al lattosio. In più, dati sperimentali suggeriscono che controlli la glicemia migliorando la sensibilità all’insulina e l’efficienza del sistema immunitario. La carne risulta delicata, ricca di ferro e povera di colesterolo.
Una cosa è certa: il futuro ci riserverà certamente molte sorprese.