Il particolare legame che unisce l’uomo alla terra fa sì che questa non possa considerarsi un bene come tutti gli altri e che ogni intervento che si attua sui rapporti che la riguardano susciti un interesse molto elevato. Fra le ragioni alla base di questa situazione si collocano l’irriproducibilità, e quindi la sua assoluta limitatezza, l’esclusività del possesso, la formazione del fenomeno della rendita sulla nuda terra, la produzione di beni insostituibili nell’alimentazione. A ciò si aggiunge il fenomeno alla base delle teorie dei Fisiocrati e cioè che essa produce ricchezza “nuova” dalle risorse naturali. Nel momento in cui, sotto l’incalzare della crisi, il quadro normativo che la riguarda viene modificato, bisogna considerare che la terra nel mondo e in Italia ha sorretto l’aumento della popolazione e dei consumi, legato all’effetto demografico e all’effetto reddito. Dopo la seconda guerra mondiale il tasso di crescita dei rendimenti produttivi ha superato quello dei consumi favorendo un miglioramento dello stato alimentare del mondo grazie agli incrementi di produttività derivanti dallo sviluppo scientifico e tecnologico. Dai primi anni 2000 questo equilibrio sembra essersi guastato e la crisi ha accentuato questa realtà. La riduzione degli stock provocata dal rallentamento della produttività è stata esaltata dalla speculazione finanziaria che ha fatto crescere la volatilità e travolto la recente apertura dei mercati spingendo verso un ritorno al protezionismo e a politiche contraddittorie.
In Italia si assiste ad un aumento del carico fiscale sulla terra, in particolare attraverso l’Imu, come se fosse considerata esclusivamente sotto il profilo patrimoniale, trascurando gli investimenti incorporati in essa nei secoli e la finalizzazione produttiva. Allo stesso tempo la proposta di vincolare all’uso agricolo i terreni in base alla destinazione urbanistica, trascurando l’esatta coincidenza con l’uso produttivo, e di fatto impedendone la mobilità, rappresenta un intervento negativo e che costringe a mantenere a coltura le terre meno produttive oltre i limiti della convenienza economica. L’insieme di queste misure è contraddittorio, oltre che discutibile sotto molti aspetti. Un’analisi economica dell’aumento della tassazione indica che esso agisce incrementando i costi e quindi con un effetto di riduzione dell’offerta e di aumento dei prezzi, il contrario di ciò che servirebbe nell’attuale crisi, provocando altresì un allargamento del deficit della bilancia agricola e alimentare.
Gli effetti negativi sul sistema economico e sulla componente agricola supererebbero dunque il beneficio derivante dal previsto maggior incremento delle entrate per lo Stato.