Gettare alcol sul fuoco o acqua nel vino

di Alessandra Biondi Bartolini
  • 19 May 2021

Leggendo i titoli dei giornali italiani nei giorni scorsi non può essere sfuggita la notizia della volontà – in alcuni casi riportata quasi come un’imposizione – della Comunità Europea di autorizzare l’aggiunta di acqua e la dealcolazione parziale e totale dei vini. Ma le cose non stanno esattamente così.
Gli articoli che sono rimbalzati sulle pagine delle testate generaliste così come della stampa specializzata spesso però non chiariscono né il contesto né l’oggetto della questione, anzi confondono i diversi piani dei quali si sta discutendo a Bruxelles. Unica fonte che in pochi hanno verificato o approfondito, un comunicato stampa di Coldiretti dai toni allarmistici e ricco di dichiarazioni che riportano parole come “inganno” o “trucco di cantina”; una decisa presa di posizione basata unicamente su un’indiscrezione relativa a un documento di lavoro interno della Presidenza del Consiglio EU contenente una serie di  proposte di modifica a un regolamento ancora in discussione. Un passaggio interlocutorio che sta avvenendo nell’ambito della discussione per la PAC che entrerà in vigore a partire dal 2023.
La notizia quindi è che non c’è (ancora) una notizia: si parla di pratiche già esistenti che richiedevano di essere riviste e della definizione di nuovi prodotti che attualmente navigano in un vuoto legislativo.
La vera notizia in realtà è l’ennesimo caso di cattiva informazione dei media italiani, il tentativo di utilizzare una serie di parole chiave a fini strumentali per suscitare indignazione, l’assenza di senso critico e l’incapacità di analizzare l’imparzialità delle fonti. La tutela del Made in Italy, gli interessi dei produttori e dei consumatori, la possibilità di aprire nuovi mercati o di avere a disposizione strumenti per risolvere dei problemi reali, non sono al centro di questa vicenda fatta solo di retorica. Tanto che a breve giro alcune delle Associazioni di settore, come Federvini e UIV, hanno ridimensionato la questione pronunciandosi in modo prudente, pur sottolineando il loro ruolo di presidio del settore alle decisioni che in sede europea si stanno prendendo.
In questa sede  e nelle righe che seguiranno è proprio dai problemi reali che partiremo perché è soltanto sui fatti che produttori e consumatori saranno in grado di fare le proprie scelte, tenendo conto che il negoziato è ancora in corso, che l’Italia sta partecipando e che per il momento è difficile dare dei pareri su proposte di modifiche delle quali non si conosce né il pregresso né l’esito.
L’alcol da solo non fa la qualità: esattamente come avviene per quelli con gradazioni eccessivamente basse i vini con contenuti alcolici troppo elevati risultano squilibrati, poco accettabili e scarsamente rispondenti alle cornici che ci siamo dati per definire la tipicità delle nostre denominazioni. Oggi il problema è sempre più pressante e non è difficile avere uve con concentrazioni in zuccheri che portano a vini con 16 o 17 gradi alcolici. Ma se ovviamente le misure di adattamento ai cambiamenti climatici dovranno essere individuate in un futuro vicinissimo nella gestione del vigneto e nelle scelte agronomiche e genetiche, che cosa possono fare in cantina  fin da oggi i produttori con uve che ogni anno sono sempre più zuccherine e con vini sempre più alcolici? L’introduzione e l’autorizzazione tra le pratiche enologiche delle tecniche di dealcolazione dei vini è avvenuta proprio con questo scopo, quello di dare ai produttori uno strumento per gestire in modo controllato il problema. Ma non parliamo di un provvedimento recente: la dealcolazione, eseguita con le tecniche e nei modi e limiti consentiti di una riduzione massima del 20% del contenuto alcolico di partenza, descritti dall’OIV per i vini generici, è stata introdotta a livello europeo nel 2009 (con il Reg 606/2009 e poi confermata con il Reg 1308/2013). È un problema tecnologico (perché le fermentazioni non sono facilmente gestibili) ed è un problema di qualità, dal quale non sono esenti né i produttori italiani né quelli dei vini a denominazione di origine. E di questo infatti stanno discutendo nelle sedi europee.
Le tecniche di dealcolazione dei vini permettono poi anche di ottenere prodotti senz’alcol o con basso contenuto alcolico, che in questo momento sfuggono alle definizioni di vino, che deve avere una gradazione minima del 9% V/V. Come chiamare questi prodotti? Si possono definire vino dealcolato o parzialmente dealcolato o per essi è necessario trovare una definizione diversa come quella che proponeva OIV già nel 2012 di “bevande ottenute dalla dealcolazione del vino”? In presenza di un vuoto normativo i diversi paesi hanno applicato ognuno definizioni diverse, per cui occorre ed è importante prendere in mano la questione in modo il più possibile laico. Chi può escludere a priori che il vino italiano sia interessato a mercati (come i Paesi Arabi ad esempio) che cercano proprio questi nuovi prodotti, che potrebbero integrare e non sovrapporsi né cannibalizzare i mercati dei nostri vini e delle nostre denominazioni come si sta paventando?
Forse questo è l’argomento più controverso ma anche su questo occorre fare chiarezza, perché nessuno sta proponendo l’annacquamento del vino o la sua diluizione con acqua o peggio un intervento ai danni del consumatore che acquisterebbe acqua anziché vino.
Le pratiche enologiche attualmente escludono l’aggiunta di acqua eccetto che nei casi (e nei limiti) in cui lo si richieda per specifiche necessità tecniche, come ad esempio nella preparazione di alcuni coadiuvanti enologici. In discussione nei passaggi tra Consiglio e Parlamento Europeo dei quali stiamo parlando, ci sarebbe la possibilità di reintegrare il volume corrispondente all’alcol allontanato con la dealcolazione: il fine è quello di riequilibrare i prodotti dealcolati che a causa della riduzione di volume risultano concentrati in tutti gli altri componenti (acidi, polifenoli, collodi, sali ecc) e garantire loro il risultato organolettico atteso.
In sintesi nella nuova PAC si stanno riprendendo i nodi rimasti irrisolti dal 2008 ad oggi e che richiedono dei chiarimenti, un maggior controllo e nuove regole. Perché a differenza di quanto è stato scritto, non è quando si creano, ma quando mancano le regole e le cornici in grado di inquadrare scenari diversi (e comunque volontari), che si aprono gli spazi per le frodi, le sofisticazioni e le speculazioni.
Quindi siamo sicuri come abbiamo letto in questi giorni di pensare di tutelare il Made in Italy alzando le barricate verso questi nuovi prodotti e lasciando ad altri il loro mercato, oppure non sarebbe il caso di affrontare la questione lavorando sulla loro definizione e studiando bene la risposta del consumatore ai prodotti di questi tipo?
Certo ci vorranno approfondimenti, indagini di mercato e studi sul consumatore, magari un po’ più articolati della solita inchiesta lanciata con un breve Comunicato che informa la stampa italiana (che puntualmente la riprenderà) che “sei italiani su dieci preferiscono il vino con l’alcol”.


da: Millevigne, maggio 2021 (https://www.millevigne.it/)