Le elezioni del Parlamento Europeo (PE) sono alle porte, tre mesi ci separano dal giorno in cui i cittadini dell’Unione europea (Ue) voteranno per eleggere i loro rappresentanti. Il sistema delle Istituzioni europee è piuttosto complesso e, forse, anche per questo motivo si creano incomprensioni e diffidenze nell’opinione pubblica. Il caso del PE è esemplare. Creato per dare un fondamento democratico alle Comunità europee all’inizio era in realtà una “assemblea parlamentare” formata da membri designati dai singoli parlamenti nazionali. I suoi poteri si limitavano al voto sul bilancio comune ed allo scioglimento della Commissione europea, il vero motore del processo di unione. Forse per questo motivo, forse per essere nominato da organi eletti per governare i singoli paesi otteneva una scarsa attenzione popolare. Perciò nel 1979 la sua nomina venne affidata a elezioni dirette ed i suoi poteri ampliati in particolare per quanto riguarda quello legislativo, esercitato congiuntamente con la Commissione e il Consiglio dei Ministri. Anche così il seguito era modesto e l’elezione diretta in genere ha avuto un basso tasso di partecipazione, attorno al 50% degli elettori, con un minimo del 42% nel 2014 e un recupero al 50% nel 2019. Le previsioni per il 2024 sono attorno allo stesso gradimento.
Pur accresciuta, l’importanza del voto è poco compresa e viene utilizzata in genere nei diversi Paesi come una sorta di macro-sondaggio sulla situazione politica interna di ognuno. Confuso nel calderone incluso nella generica definizione di “Bruxelles” con cui ci si riferisce a tutto ciò che viene deciso nella Ue. Da ciò nasce probabilmente il distacco dell’opinione pubblica e l’atteggiamento che conduce alla lamentela molto diffusa in Italia del tipo “Bruxelles ci perseguita” “L’Europa ha deciso” e via discorrendo. La stessa elezione dei deputati europei viene considerata di minore importanza dai candidati rispetto a quella nei Parlamenti nazionali. I partiti nazionali nel PE sono uniti in gruppi (partiti europei) secondo la maggiore prossimità ideologica. Gli eletti hanno dunque una doppia appartenenza: al Paese ed al partito d’origine ed al PE in quello europeo in cui si collocano. Filoitaliana quando parlano in Italia e filoeuropea quando lo fanno a Bruxelles o a Strasburgo (il PE ha due sedi).
Le recentissime vicende della crisi agricola e del malessere dalle manifestazioni “dei trattori” sono un esempio del modo di intendere la missione e le modalità d’azione degli Organismi europei e di come potrebbero migliorare il rapporto fra i cittadini, nel caso gli agricoltori, e l’Ue.
Il collante delle proteste nei vari Paesi era una miscela di cause interne ad ogni Paese e di questioni di rilevanza europea come la crisi prodotta dalla volatilità del rapporto prezzi/costi e i sempre più pesanti vincoli imposti dalle transizioni ambientale ed energetica. Entrambi gli aspetti sono fortemente condizionati dalle decisioni che passano anche dal PE e che devono essere condivise dai tre Organi (PE, Commissione, Consiglio dei Ministri), ognuno dei quali ha dunque un potere di veto. Ciò è anche motivo non ultimo della lentezza decisionale e dell’apparente prevalenza del ruolo della burocrazia europea sulla politica, altra causa di scollamento fra popoli e Istituzioni Ue.
La conclusione scaturita dal dialogo fra Commissione, PE e Consiglio dei Ministri e dagli incontri con i rappresentanti della parte più ragionevole dai manifestanti conteneva alcuni aspetti interessanti.
La reazione degli Organismi europei a partire dal PE è stata tempestiva ed ha condotto in un primo momento fra l’altro al blocco delle normative più stringenti sugli antiparassitari in via di approvazione e manifestamente troppo pesanti e intempestive, dopo il “No” del PE anche la Commissione ha deciso di ritirare la proposta e il Consiglio il 27 febbraio la ha poi bocciata.
In un primo tempo si riteneva che la questione fosse risolta e che il futuro della Pac fosse destinato a cambiare e ad avere una linea meno persecutoria e più attenta alla realtà agricola. Ma il mondo agricolo ha dovuto ricredersi ben presto. Nello stesso giorno del Consiglio il PE ha approvato il contenuto del regolamento sulla “rinaturalizzazione” dei suoli, che va in senso decisamente contrario e rappresenta il peggior modo di sostenere un settore chiave come l’agricoltura con provvedimenti che agiscono in campo strutturale seguendo assurde ideologie che rendono sempre più impossibile l’esercizio dell’attività agricole soprattutto in un periodo in cui gli eventi atmosferici straordinari sono sempre più frequenti e gravi.
Tutto ciò induce ad una duplice riflessione: 1) La prima riguarda il ruolo degli Organi legislativi che spesso è esercitato, come nel caso citato, con provvedimenti estemporanei, contrastanti e controproducenti; 2) La seconda relativa all’opportunità di un’attenta azione di scelta delle candidature e dei partiti per le loro posizioni in Italia e nel PE sulla agricoltura. Non servono le manifestazioni clamorose tanto amate dai mezzi di informazione, occorre che, in maniera trasversale, il mondo agricolo possa costituire un’alleanza solida sulla Politica agricola e sui provvedimenti della Pac. Con un’avvertenza: già sono in movimento le obiezioni degli pseudo ambientalisti ad oltranza contro le recenti aperture e a favore di un inasprimento delle norme agricole nella linea “farm to fork”. Dopo le proteste iniziali già si sta muovendo la galassia delle organizzazioni ambientaliste per tornare indietro sulle recenti aperture.
Tutto ciò conduce a una prima conclusione su questo tormentato inizio di campagna elettorale: l’attuale Pac deve essere rivista e corretta tenendo conto degli effetti disastrosi emersi nelle emergenze diverse. Serve una vera e approfondita “Revisione di medio termine”, non una vetrina delle più diverse ideologie di fatto nemiche dell’agricoltura produttiva e responsabile. Negli ultimi anni non dimentichiamo che la produzione agricola è stata in calo. L’emergenza smossa dalle guerre in atto deve costituire un forte richiamo in questo senso.