È diffusa e crescente l’insoddisfazione nei confronti del pensiero economico dominante. Tale insofferenza nasce, da un lato, dalla presa d’atto dell’insostenibilità della crescita dei sistemi capitalistici e, dall’altro, dalla necessità di adottare indicatori che possano risultare più efficaci del PIL nel cogliere il reale grado di benessere conseguito.
L’eterodossia si sviluppa attraverso modalità e presupposti assai diversificati. Tra i più radicali oppositori del mainstream si collocano i sostenitori della decrescita. Con questa parola chiave vengono enfatizzati gli aspetti della sostenibilità ambientale e dell’autosufficienza economica delle comunità socialmente integrate in un’ottica che prevede obiettivi di sviluppo che vanno ben al di là dell’arricchimento di mezzi e risorse tangibili. Con la decrescita si assiste al più eclatante spostamento del baricentro dell’attenzione al di fuori della dimensione materiale del benessere.
In realtà, fin dagli anni settanta del secolo scorso, un varco nel conformismo imperante era già stato aperto. Il paradosso di Easterlin, infatti, denunciò l’assenza di un legame significativo tra condizioni reddituali e benessere soggettivo. Introducendo fattori psico-logici, sociali ed etici nelle scelte decisionali, l’economia della felicità propone prospettive alternative e più ampie rispetto alla dimensione utilitaristica e materiale delle motivazioni dell’agire umano che caratterizza la dottrina ortodossa.
Il principale terreno sul quale il paradigma della razionalità utilitaristica dimostra limitate capacità interpretative è proprio quello etico. Dal Principio di Simpatia di Adam Smith, passando per l’egoismo dell’homo oeconomicus di John Stuart Mill (FOTO), fino a giungere al capitalismo manageriale degli anni ottanta del XX secolo, si assiste ad un crescendo di modelli teorici e comportamentali che escludono qualunque valenza al-truistica e di reciprocità. La teoria degli stakeholders, rinnovando i fondamenti della teoria dell’impresa, impone all’agenda della ricerca economica e della politica il tema della responsabilità sociale. Oggigiorno, la dimensione etica dell’economia si pone al centro del dibattito scientifico. Ciò apre nuove prospettive anche alla ricerca economico-agraria.
La responsabilità sociale delle imprese genera l’adozione di un sistema di regole codifi-cato dalle componenti più forti del sistema agro-alimentare. È compito dell’analisi eco-nomica determinare l’impatto di tale tendenza nei rapporti di potere in seno alle filiere e individuare le opportunità e le minacce che ne derivano per la componente agricola. La multifunzionalità, dal canto suo, altro non è se non la declinazione della responsabilità sociale per le imprese del settore primario. La valutazione delle funzioni dell’agricoltura rappresenta una sfida per la comunità scientifica. In particolare, sono ancora da definire puntualmente i meccanismi attraverso i quali le politiche possono efficacemente ed e-quamente rendere interne le economie esterne realizzate dalle imprese.
L'economia della felicità pone nuovi quesiti sulla sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo, anche in ambito rurale. In particolare, lungo la dimensione sociale sono richiesti ulteriori sforzi di indagine intorno ai beni relazionali. Sono già diversi i contributi empirici tesi a misurare la felicità nelle aree rurali e ad interpretarne le determinanti. Questo filone di studi può essere utile per la valutazione e la programmazione delle politiche del secondo pilastro. Sul piano ambientale, la stima delle risorse necessita di richiamare paradigmi alternativi a quello neoclassico. Allo stesso modo occorre intensificare gli sforzi nella misurazione della sostenibilità, inglobando la dimensione sociale negli indicatori appositamente predisposti.
Numerosi campi della ricerca economico-agraria sono investiti da stimoli di innovazione negli obiettivi, negli strumenti e nei paradigmi di riferimento. Per affrontare queste sfide occorre restituire alla disciplina affidabilità e potenziarne le capacità interpretative. Ciò implica coerenza dei dispositivi da impiegare e durabilità dei risultati da ottenere: tali principi sono da interpretare nel senso di una minore indulgenza sul formalismo, anche matematico, fine a se stesso a favore di schemi di analisi più aderenti alla realtà ed alla natura profonda dell’agire umano.