L’Accademia dei Georgofili e il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e Agrotecnici laureati hanno recentemente organizzato una giornata di studio su “Energia in agricoltura”, in cui si è trattato il ruolo che le energie rinnovabili del sistema agricolo-forestale possono svolgere per la riduzione dei combustibili fossili (petrolio, gas e carbone), che attualmente coprono il 78% del fabbisogno energetico nazionale, e per il miglioramento della qualità dell’aria.
Nella relazione introduttiva Danilo Monarca ha sottolineando come il sistema agroalimentare abbia un ruolo importante per vincere, sia la sfida volta a contenere a fine secolo il global warming entro 1,5 °C, sia quella di raggiungere uno degli obiettivi del Green Deal europeo e cioè la neutralità climatica entro il 2050. Si tratta di sfide non facili con il rischio, in mancanza di una inversione di rotta, che si avverino le stime più pessimistiche che prevedono, per fine secolo, non una riduzione ma un incremento di 4,5 C°, con le drastiche conseguenze che ne deriveranno. I paesi che più inquinano l’atmosfera in termini assoluti sono Cina, USA e India. Ha poi descritto lo stato attuale della produzione di energia rinnovabile nel nostro Paese, presentando i possibili scenari per il settore agricolo. In Italia il contributo delle energie rinnovabili è pari al 20% del consumo complessivo di energia. L’energia prodotta dal fotovoltaico ammonta a 25 mila GWh, pressoché simile a quella prodotta da fonte eolica. Dal sistema agricolo-forestale derivano le rinnovabili dei biocombustibili (olio vegetale, biodiesel, bioetanolo) e della biomassa da legno. Si tratta di una preziosa fonte energetica per il sistema agricolo e per l’edilizia residenziale.
Un contributo importante nel processo di decarbonizzazione del sistema agroalimentare nazionale può derivare dalle applicazioni innovative del fotovoltaico nel settore agricolo (Nicola Colonna). L’evoluzione, nell’ultimo decennio, delle tecnologie solari fotovoltaiche ((FV) è stata veramente notevole per diverse ragioni. Maggiore efficienza dei moduli che ormai supera il 20%, pannelli bifacciali, sistemi a inseguimento, tracking sempre più affidabili e notevole diminuzione dei costi degli impianti. Si è così aperta la strada a nuove ed originali possibilità di utilizzo del FV suscitando un crescente interesse non solo per il settore agricolo. Per l’effetto combinato delle novità legislative in materia di rinnovabili dell’UE e nazionali, e delle misure del PNRR, a partire dal 2021 sono cresciuti i progetti di impianti FV, anche di grande dimensione, specie in Emilia-Romagna, nel Veneto e in Lombardia. Nel nostro Paese le aziende agricole con installazioni FV sono solo 40 mila e la taglia media degli impianti è di 63 kWp. L’autoconsumo è pari al solo 15% dell’energia prodotta.
Ancora poche, ma in crescita, sono le applicazioni agrivoltaiche, cioè sistemi in cui non si sottrae suolo agricolo, in quanto l’attività di coltivazione o di allevamento permane e si integra con quella di produzione di energia, grazie ai nuovi sistemi FV, elevati, verticali e mobili. La creazione di comunità energetiche anche per potenze superiori a 1 MW offre la possibilità di un autoconsumo diffuso in quanto con questa soluzione si copre un raggio di azione più ampio. Le potenziali sinergie positive tra produzione agricola ed energia, sono diverse, dall’ombreggiamento al risparmio idrico, ma come giustamente sottolineato dal relatore, occorre capire quali, tra le diverse varianti di agrivoltaico, offre i migliori risultati nei differenti contesti agricoli, senza ovviamente ignorare l’impatto ambientale.
Dal Veneto è arrivato l’esempio (Filippo Moretto), della sinergia tra energia e irrigazione attuata nelle Aree Forestali di Infiltrazione (AFI). Le AFI sono nate per tutelare le acque risorgive che, causa la siccità, vanno esaurendosi. In passato l’afflusso delle risorgive era di 15 m 3 al secondo, ora è sceso a 0,6 m3 al secondo, con conseguente abbassamento della falda acquifera. Le AFI sono superfici forestali create con alberi che sono stati messi a dimora allo scopo di consentire di portare l’acqua, prelevata da canali e da rogge, a rimpinguare la falda acquifera. Il passo successivo è stato quello di abbinare alla produzione di legno quella di energia attraverso installazioni agrivoltaiche sopra le piante.
Inoltre, poiché nel Veneto vi è un ampia diffusione di bacini di invaso dell’acqua (ben 99), si è vista la possibilità di realizzare piattaforme per l’installazione di impianti FV innovativi galleggianti, evitando così, come nel caso precedente, l’occupazione di suolo agricolo.
Nell’ambito delle bioenergie, un ruolo importante è svolto dalla valorizzazione energetica delle biomasse legnose di origine forestale destinate alla produzione di energia termica (Annalisa Paniz). Attualmente il gas copre il 53% della spesa energetica per il riscaldamento. Il legno è di gran lunga il combustibile meno inquinante. Per MWh di energia termica prodotta, i kg di CO2 emessa sono pari a 326 kg per il gasolio e a 26 kg per il cippato. Purtroppo il 70% degli impianti a legna installati ha più di 10 anni e produce il 90% del PM10. Le nuove caldaie a legna e a pellet inquinano molto meno, ma solo il 15% degli impianti ha meno di 5 anni. Le emissioni di PM10 per una stufa tradizionale ammontano a 480 g/GJ, per scendere a 30-60 g/GJ di una stufa moderna. Se ne deduce che la valorizzazione energetica della biomassa legnosa per il riscaldamento non può che passare attraverso l’adozione delle nuove tecnologie che sono ampiamente mature.
Nel presentare la sfida delle bioenergie per la transizione ecologica (Massimo Franco), è stata evidenziata la loro grande potenzialità in termini economici, energetici e ambientali, mettendone però anche in rilievo le principali criticità a partire da quelle fiscali, gestionali e tariffarie.
Nella trattazione dell’attualità e delle prospettive del Biogas (Paolo Balsari), si è evidenziato che a partire dal 2008, grazie agli incentivi, vi è stata una forte proliferazione di impianti, specie in Lombardia. In Europa è la Germania, con i suoi 20.000 impianti, a farla da padrone, seguita dall’Italia con circa 2.000 impianti. E’ stata presa in considerazione l’intera filiera di produzione, dalla matrice di alimentazione del digestore (reflui zootecnici e insilati) ai pretrattamenti della matrice (fisici, termici. chimici e biologici) per aumentare l’efficienza del processo, per arrivare alla coogenerazione (energia elettrica e termica) e ai trattamenti e distribuzione del digestato. In Italia prevalgono gli impianti alimentati con insilati che garantiscono una maggiore efficienza. Da questi impianti deriva il 76% dell’energia prodotta dagli impianti di Biogas.
La valorizzazione agronomica del digestato (Alessia Bertolotto), viene ottenuta attraverso il trattamento con microorganismi e con il vermicompostaggio per oltre 12 mesi, in un ciclo produttivo che porta ad ottenere un prodotto di alta qualità.
Il passaggio dal Biogas al Biometano (Elio Dinuccio) è storia relativamente recente, Il Biogas, che ha un contenuto di metano (CH4 ) del 50-75%, con il trattamento di upgrading viene trasformato in Biometano che ha un contenuto in CH4 del 95-99%. Come sottoprodotto del processo si ottiene CO2, fortemente richiesta in ambito alimentare. Le tecnologie di upgrading sono diverse, con perdite che posssono raggiungere anche il 3%. L’utilizzo del Biometano può essere in fase gassosa per la messa in rete, o in fase liquida per l’alimentazione di motori endotermici. In Italia la produzione di Biometano è ancora bassa ma si prospetta in forte crescita.