La gastronomia è divenuta un grande affare internazionale come l’alta moda e di questo fanno fede i grandi imperi gastronomici nei quali operano alcuni chef francesi e tra questi Joel Robuchon con le sue 32 stelle o Alain Ducasse con 18 stelle, senza contare i tavoli non stellati. Va qui precisato che le stelle sono attribuite al singolo ristorante e quando uno chef è presente in tutto il mondo in una catena di ristoranti ognuno dei quali offre la sua cucina e conquista le stelle, si arriva ai numeri sopracitati. Il fenomeno di una catena di esercizi è definito succursalismo: una impresa di succursali o catene di negozi da cui dipendono, sotto il triplice profilo giuridico, funzionale e organizzativo, più unità locali operative che attuano la vendita al dettaglio o la somministrazione al pubblico. Il succursalismo non riguarda soltanto la ristorazione di massa, ad esempio Mc Donald, o l’alta moda, ma ora anche la gastronomia dove stiamo assistendo alla nascita di una nuova generazione di ristoranti seriali, come talvolta sono chiamati: uomini d'affari con una mentalità imprenditoriale, una profonda conoscenza della comunicazione e che vedono le potenzialità economiche dell’alta gastronomia acquistano ristoranti dove posizionano chef di fama. Il succursalismo gastronomico che si sta diffondendo soprattutto per opera dei francesi sembra essere trascurato dagli italiani, mentre dovrebbe meritare una speciale attenzione anche per i riflessi che ha sulle produzioni alimentari e in particolare quelle tipiche.
Il succursalismo è una quasi inevitabile conseguenza di un’alta gastronomia nella quale lo chef si rivolge a un pubblico di élite e al quale offre una cucina d’alta gamma a prezzi elevati. Si calcola che un ristorante con quaranta posti e due servizi giornalieri abbia bisogno di una brigata di cucina molto numerosa, fino a ottanta e più componenti che preparano una cucina ideata dallo chef e frutto di costosi studi e lunghe ricerche. Inoltre per mantenere la clientela è necessario cambiare i piatti e i menù almeno due volte se non quattro volte l’anno e da qui gli alti costi della gastronomia di élite. Di fronte alle difficoltà degli chef che gestiscono il proprio, singolo ristorante, a volte arrivati alla bancarotta e al suicidio, in Francia alcuni di loro, assieme anche ad imprenditori interessati al business della gastronomia, hanno intrapreso la strada del succursalismo gastronomico seguendo il modello dell’alta moda che ogni stagione crea nuovi modelli che non sono più venduti solo a Parigi, ma anche in boutique sparse nei luoghi più prestigiosi del mondo. In questo modo nella decina di ristoranti stellati di Joel Robuchon sparsi per il mondo si può gustare la sua gastronomia uguale a quella di Parigi.
Il succursalismo gastronomico pone diversi problemi, ma soprattutto due. Per i gastronomi è che nel succursalismo gli chef non sono liberi di studiare e presentare la cucina di un singolo territorio ma sono obbligati a una cucina che vada bene in ogni continente. Inoltre gli chef non sono quasi mai presenti nei singoli ristoranti, anche in quello di partenza, e girano molto alla testa di quella che può essere definita la sua scuderia, che gestiscono e influenzano nei ristoranti in base alle loro esigenze. Scompare così lo chef-artigiano, padrone di casa che ha costruito la sua squadra, che sceglie i suoi prodotti e i suoi fornitori e che dà ogni giorno il meglio di sé per la felicità dei suoi clienti in un artigianato nella ristorazione.
Un secondo, importante aspetto del succursalismo gastronomico, che interessa soprattutto le produzioni agro-zootecniche tipiche, è che non può essere del territorio o a chilometro zero. Scelte le più idonee materie prime reperibili in ogni parte del mondo è nel menù e nel piatto che compare l’idea gastronomica di moda, ottenuta con tecniche appropriate e standardizzate applicate dalla brigata di cucina. Come l’hamburger di Mc Donald ha la sua tipicità in tutto il mondo, lo stesso sta facendo l’alta gastronomia del succursalismo francese che non è legata alle produzioni tipiche della Francia, se non a qualche formaggio o vino. Il business non è più il prodotto alimentare ma la sua trasformazione, come nell’alta moda non è il tessuto ma il capo d’abbigliamento.
In Italia si sta ancora, e giustamente, difendendo all’estero dalle imitazioni del prodotto tipico, ma troppo poco si fa per la cucina e soprattutto per la gastronomia italiana che lo valorizza, considerando anche quanto nel mondo sta facendo la Francia con il succursalismo gastronomico ancora quasi sconosciuto in Italia.