La "carneficina" della Brexit. La chiamano così i pescatori scozzesi e in parte inglesi che nel 2016 votarono a grandissima maggioranza per l'uscita dall'Ue, ma che ora si sentono "traditi" da Boris Johnson e protestano davanti a Downing Street, i palazzi governativi di Whitehall e il Parlamento di Westminster.
I pescatori ce l'hanno con il primo ministro britannico e il suo esecutivo per i problemi e i danni economici che stanno subendo dopo l'uscita definitiva del Regno Unito dall'Ue la notte di Capodanno scorso. Pochi giorni prima, alla vigilia di Natale, Londra aveva raggiunto un complicato accordo con l'Ue sui rapporti futuri, firmando un'intesa di libero scambio, in teoria a zero dazi e tariffe, che aveva scongiurato l'epilogo, potenzialmente disastroso, di un "No Deal", ovvero di un divorzio disordinato da Bruxelles. Tuttavia, un accordo commerciale di libero scambio non ha gli stessi vantaggi e fluidità del mercato unico europeo cui il Regno Unito ha rinunciato con la Brexit, e questo è il problema principale per i pescatori scozzesi e inglesi, perché ora devono completare lunghe e complicate dichiarazioni doganali.
Il risultato è che, come lamentano ora, molto spesso il pesce va a male nel sempre più lungo (in media 8-10 ore in più) e complesso tragitto verso clienti e compratori europei, tanto che una barca britannica l'altro giorno ha deciso di scaricare il pescato direttamente nei Paesi Bassi, invece di tornare in patria e spedirlo. Alcune aziende ittiche in Scozia (ma anche del nord dell'Inghilterra) sinora hanno già avuto perdite per migliaia, se non decine di migliaia, di euro e rischiano di chiudere. Oltre all'intoppo principale delle dichiarazioni doganali, c'è l'ulteriore complicazione del fatto che, causa Brexit, molte aziende e clienti europei hanno preventivamente rimandato e congelato i loro acquisti dal Regno Unito, proprio per timore di code e ritardi, e quindi gli acquirenti sono molti di meno.
Il paradosso è che in Scozia circa il 90% dei pescatori nel 2016 al referendum votò per la Brexit, con la motivazione di poter pescare senza più i limiti del mercato comune europeo, che imponeva un sistema di quote per cui la pesca nelle acque "sovrane" di ogni Paese veniva ripartita tra i vari stati membri dell'area e così i pescatori britannici in realtà potevano mantenere solo una quota pari al 30-40% dei pesci dei loro mari. Una delle promesse della Brexit era proprio quella di riacquistare il controllo totale delle acque ma in realtà non si è avverato nemmeno questo, stando all'accordo Uk-Ue raggiunto in extremis a fine 2020.
Londra pretendeva che i pescatori europei, dopo la Brexit del 1 gennaio, riconsegnassero o pagassero inizialmente l'80% del pescato in acque britanniche. Poi la richiesta, col passare dei mesi e vista la estrema difficoltà nel trovare un'intesa, è scesa addirittura al 35%. Bruxelles non si è smossa dal 20% e comunque per un periodo di transizione di almeno sei anni, contro le iniziali richieste di Londra che prevedevano una revisione ogni 12 mesi dell'accesso dei pescatori europei in acque britanniche. Alla fine, i due Paesi sono venuti incontro a un 25% scarso di quote da restituire agli inglesi da parte dei pescatori europei e una transizione concessa a questi ultimi di 5 anni e mezzo prima che Londra riprenda il pieno controllo delle sue acque. Insomma, un brutto colpo per i pescatori scozzesi e in generale britannici.
La pesca è stato uno stallo enorme e quasi assurdo dei lunghissimi negoziati della Brexit, dato che vale lo 0,1% del Pil britannico e "soli" 650 milioni di mercato annuale. Ma è un argomento estremamente patriottico, per Johnson in quanto soddisfare i tanti pescatori scozzesi sarebbe stato un modo per evitare la furia indipendentista di Edimburgo, ma anche per Macron e altri Paesi come Belgio e Olanda che vogliono proteggere i loro pescatori del Nord che rischiano di perdere accesso alle acque britanniche ricchissime di pesce. Visto come stanno andando le cose, è probabile che l'ondata indipendentista in Scozia, già ai massimi, ora possa acquistare ancora più potenza.
da Repubblica.it, 18/1/2021