Diciamoci la verità: sarebbe già un successo straordinario se solo la metà delle richieste al governo, contenute nel documento proposto pochi giorni fa da Confagricoltura, CIA-Agricoltori italiani, Copagri, Confcooperative, Legacoop Agroalimentare e Agci dell’Emilia-Romagna in un sit-in davanti alla Prefettura di Bologna, se solo la metà di queste richieste – dicevamo – venissero prese in considerazione. Invece temo (sono troppo pessimista?) che ben poche delle rivendicazioni avanzate saranno considerate, in particolare quelle economico-finanziarie.
Rifinanziamento FSN, nuovo fondo mutualistico, polizze contro il rischio climatico e mutui agevolati per le imprese, piano nazionale di riconversione varietale e sgravi fiscali sul costo del lavoro…
Tra vecchi e nuovi stanziamenti e de-contribuzioni siamo attorno al miliardo di euro. Alzi la mano chi crede che sia possibile. Per carità, giustissimo protestare e mettere nero su bianco le richieste; però all’ottimismo della volontà mai come adesso si contrappone il pessimismo della ragione. Intendiamoci: queste richieste dovrebbero finire dritte sul prossimo Tavolo Nazionale Ortofrutta (a proposito, non doveva essere convocato a ottobre?) da cui ci si aspetta che batta (finalmente) un colpo e cominci a dare qualche risposta concreta: questo si può fare, questo no, questo forse…
Il Tavolo – che è di diretta competenza del sottosegretario Battistoni che ha la delega per l’ortofrutta – è nuovamente scomparso dai radar, nessuno ne parla più. Il Ministro è preso da mille impegni (solo tenere dietro a quello che succede nei 5Stelle è un compito sovrumano), il sottosegretario che fa? Dov’è finito? Ci sarebbe bisogno di un confronto attorno a un tavolo, di uscire dalle dichiarazioni di principio vaghe e nebulose e mettere giù un elenco di cose da fare e in che tempi. Quello che si dice un crono-programma. Altrimenti siamo sempre alla solita inconcludente ‘ammuina’, come sulle navi della Marina borbonica di re Ferdinando di Napoli.
Che alcune cose non siano già in marcia, personalmente lo trovo scandaloso. Ad esempio il catasto frutticolo, già deciso e finanziato con 5 milioni di euro: che fine ha fatto? Si è perso nelle cantine del ministero? E se serve (eccome serve), perché nessuno ha protestato?
L’Emilia Romagna – ci permettiamo di segnalarlo al ministro e al sottosegretario – ha acceso la spia dell’allarme rosso. L’ex regione modello per produzione e organizzazione – con la Romagna che era il distretto (e in parte lo è ancora) simbolo di una filiera integrata all’avanguardia – è davvero in affanno tra danni provocati da eventi atmosferici eccezionali, malattie e nuovi patogeni. Manca la produzione, calano le superfici anno dopo anno, la marginalità delle imprese evapora, i costi (materiali, energia, trasporti, logistica) aumentano sotto la spinta di fattori interni ed esterni.
A fronte di questo quadro la GDO chiede di non toccare i prezzi, anzi in alcuni casi di ridurli. I pochi centesimi pagati all’origine contrastano con i prezzi che vediamo sui banchi dei supermercati che per frutta di qualità viaggiano ormai tra i 3-4 euro/kg (se non di più). A Bologna le varie sigle della protesta hanno chiesto al governo di “aprire un confronto con le parti”. Si riferiscono al Tavolo Nazionale? Che lo dicano chiaramente.
Intanto anche l’industria di marca e le aziende della Distribuzione Moderna a loro volta chiedono al governo “di aprire un tavolo di filiera per valutare le possibili conseguenze del rincaro dei prezzi delle materie prime ed energetiche sulla ripresa economica”. E da ultimo il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio, punta il dito contro la GDO: “L’aumento dei prezzi delle materie prime che avevamo denunciato mesi fa è oggi uno dei problemi principali anche per l’industria alimentare. Vale a dire che l’aumento dei prezzi dei prodotti sarà inevitabile, pena la chiusura di tante nostre imprese”.
La situazione è diventata insostenibile, insiste Vacondio: “La compressione dei prezzi sul mercato interno operata dalla grande distribuzione, a insufficiente e tardivo riconoscimento dei maggiori costi di produzione legati a materie prime ed energia, contribuisce a delineare un trend pericolosamente in declino”.
E se l’industria alimentare chiama in causa la GDO, a maggior ragione dovrebbe farlo l’ortofrutta che ha minor potere contrattuale. Qual è la sede dove incontrarsi e discutere? Un tavolo ci sarebbe, l’OI-Organizzazione Interprofessionale, rinnovata nella gestione: qui ci si può incontrare e parlare.
Una resa dei conti con la GDO appare indifferibile. Continuare a insistere con i prezzi ‘bassi e fissi’ significa – a fronte di un aumento esorbitante dei costi – strangolare il mondo produttivo che in moltissimi casi sta già lavorando al di sotto dei costi di produzione e con fortissimi allarmi sul fronte del reperimento di manodopera . Se nessuno vuole disturbare il manovratore (la GDO) andiamo avanti così, in ordine sparso. Poi vediamo che succede. Altro che i sit-in ci vorranno…
*direttore del Corriere Ortofrutticolo