Con un titolo perentorio “Biologico, un gigante dai piedi d’argilla” (su Terra e Vita n.29/2024), il prof. Angelo Frascarelli, economista agrario ed ex presidente Ismea, fa il punto sul settore a partire dal report ‘Bio in cifre’ proprio di Ismea che analizza il 2023 del settore tra mercato, consumi e prezzi.
I primi segnali sono positivi: dopo quattro anni di stagnazione, il bio in Italia dà timidi segnali di ripresa. Consumi in Gdo +5,2% a quota 3,8 miliardi €, e piccola crescita anche in volume +0,2%. La spesa da un anno all’altro è cresciuta di 191 milioni € ma per il secondo anno consecutivo la quota di mercato del bio sul totale food è scesa, a quota 3,5%.
Continua l’aumento delle superfici coltivate a bio – quindi anche dell’offerta – siamo quasi al 20% della Sau totale dell’Italia (era l’11,2% nel 2014) per circa 2,5 milioni di ettari e non siamo lontani dal 25% che è l’obiettivo del Green deal.
Ma quali sono le coltivazioni più gettonate? I seminativi (42%, oltre 1 milione ha), i prati pascoli e le colture permanenti, gli ortaggi rappresentano poco più del 2% (60.175 ha).
E proprio gli ortaggi sono la categoria che è cresciuta più di tutte dal 2014 ad oggi: + 130% (la rivoluzione veg?) mentre calano i frutteti (-8,7% solo tra il 2022 e il 2023).
A livello di consumi, sono concentrati soprattutto al Nord (oltre il 60%) mentre Sud e Sicilia (l’isola è la prima in Italia per superfici, oltre 413.000 ha) valgono solo il 12% del totale.
Nei canali distributivi la Gdo conferma la leadership con una quota di mercato del 65% (2,5 miliardi €), con le vendite cresciute (sul 2022) del 7,7% e anche nei discount del 7%.
Guardando le categorie le migliori performance si registrano per cereali e derivati, oli e grassi vegetali e uova fresche. Anche il vino bio, calato nel 2022, fa bene nel 2023: +6,9%.
I prezzi. Note dolenti. Calo generale delle quotazioni tranne riso, latte fresco e olio evo. Il che fa dire al prof. Frascarelli che “il livello dei prezzi dei prodotti bio e la bassa redditività rappresentano i maggiori fattori di criticità del settore “. C’è un maggiore sostegno della PAC, c’è il Piano di azione nazionale, ci sono le superfici che aumentano…”ma le risorse pubbliche non bastano, anzi possono creare pericolose illusioni se non sono accompagnate da una crescita del mercato, in particolare dei consumi”.
Già i consumi. A me sembra l’aspetto cruciale. Se tutti i consumi calano, non si vede perché quelli del bio dovrebbero crescere. Se la redditività del convenzionale è insufficiente, non si vede perché fare bio dovrebbe garantire un maggior margine ai produttori. Tanto più che i costi del bio sono molto più alti del convenzionale, oltre a normative e burocrazia spesso asfissianti, per cui è un fiorire di ‘fake-bio’, o simil-bio, come il vino ‘naturale’, ortaggi e frutta a residuo zero, ecc.
Come per il convenzionale, una vera ripresa di prezzi e redditività potrà venire solo dai consumi. Deve essere vantaggioso produrre bio certificato, altrimenti cresceranno solo le superfici (spinte dagli incentivi) e tanta produzione prenderà la via del convenzionale, come già sta accadendo. Ma si può pensare di spingere i consumi senza una vera promozione, che manca sia per il convenzionale che per il bio? Al SANA 2023 fu presentata una campagna per incentivare i consumi bio realizzata da Ismea con fondi ministeriali dal titolo #ioparlobio col comico Elio come testimonial. Complimenti ed elogi da tutti ma non ha lasciato traccia, anche perché la dotazione finanziaria era scarsa.
I valori dell’ortofrutta, sia convenzionale che bio, ce li raccontiamo tra di noi ma non ‘bucano’ la sensibilità della pubblica opinione. E infatti se ne appropriano le industrie del food, i grandi marchi, le catene della GDO per spingere le loro vendite. Manca da sempre una vera promozione di frutta e verdura come alimenti fondamentali per il benessere delle persone, per far vivere meglio la gente e alleggerire i costi della sanità pubblica per tutte le malattie indotte dal junk food.
Il mondo produttivo (col suo carico di problemi di costi, logistica, burocrazia, manodopera che manca) resta quasi sempre ai margini della catena del valore, incapace com’è di emendarsi di storici e consolidati handicap che alimentano frammentazione, competitività e litigiosità. Il risultato è la mancanza di organizzazione. In sostanza fare un buon prodotto, sia convenzionale che bio, non basta. Per fare valore (e dare l’impressione di un sistema che funziona) servono aggregazioni efficienti e offerta concentrata. Molto più di quello che adesso propone il settore. Altrimenti i vizi pubblici prevarranno sempre sulle virtù private.
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it