Aspettando le piene

di Federico Preti
  • 19 March 2025

In Toscana è piovuto tanto in questi giorni, corsi d’acqua sono esondati di nuovo, i versanti abbandonati sono franati e siamo ancora in allerta.
Il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambiamento climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore. Anche con riferimento all’alluvione del novembre 2023 in Toscana e alla precedente in Emilia Romagna, è stato di recente confermato che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti di versante (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50% (quindi gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore). Se poi si considera il consumo di suolo (20 ettari al giorno, secondo ISPRA, con un condono edilizio ogni 10 anni dal 1980) che ha enormemente aumentato la vulnerabilità e l’esposizione di beni e persone al danno, ecco che abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile (più che idrogeologico, ormai si parla di rischio “idrogeo-illogico” o “idrogeo-antropico”).
Da recenti sudi dell'Università di Firenze e AIPIN (Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica) su bacini idrografici colpiti da alluvioni, in sintesi, si è quantificato che il rischio idrogeologico è più che decuplicato a seguito di trasformazioni del territorio ed effetti del cambio climatico.
Si consideri anche che la spesa per interventi di prevenzione può essere inferiore di 10 volte rispetto a quella per interventi post-catastrofi (3 miliardi all’anno, secondo la Commissione Demarchi istituita dopo l’Alluvione di Firenze del 1963 e poi confermata anche dal programma Italia Sicura, rispetto agli oltre 8 miliardi spesi annualmente per ri ristori e la ricostruzione). Intervenendo “a monte” possiamo avere ulteriori vantaggi in termini di servizi ecosistemici (ad es. trattenere e rallentare l’acqua garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento di falde e sorgenti).
In realtà i fenomeni di dissesto (erosione, frane, esondazioni, etc.) sono naturali, ma creano danni solo se si costruisce e vive in zone a rischio (se possibile, la soluzione migliore sarebbe non-strutturale: divieto di costruire o delocalizzazione).
Da sempre, con le Sistemazioni Idraulico-Forestali e l’Ingegneria Naturalistica, si privilegia l’opzione zero (non-intervento se non necessario, in caso di processi naturali) oppure la rinaturalizzazione/riqualificazione prima degli interventi strutturali che, qualora inevitabili si realizzeranno con opere “vive” rispetto a quelle convenzionali “grigie”, tenuto conto dei limiti tecnici e della deontologia professionale. Il tutto rispettando, naturalmente, il principio Do No Significant Harm (DNSH) per cui gli interventi non arrechino alcun danno significativo all'ambiente. Ormai le strategie e programmi europei e nazionali, anche sostenuti dal Recovery Plan/PNRR, vanno in questa direzione. Ad esempio, con l’emanazione del DPCM 27/09/2021 sono stati definiti criteri e metodi per identificare le priorità di finanziamento degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico in Italia: tra gli interventi proposti, si darà priorità ai cosiddetti interventi “integrati” o “verdi”, nei quali si associa la protezione di ecosistemi e biodiversità alla mitigazione del rischio idrogeologico.
L'Ingegneria Naturalistica ha, pertanto, certamente un ruolo per la mitigazione del rischio idrogeologico e la riqualificazione del paesaggio, con costi più sostenibili e portando occupazione, compensando anche la mancanza di manutenzione del territorio e aumentandone la resilienza agli effetti del cambio climatico e del consumo di suolo (Nature Based Solutions).
E pensare che Don Milani, proprio lui, ben 70 anni fa scriveva in una delle sue lettere: "Ricchezza in Italia s’è sprecata e se ne spreca (…). Ogni anno da ormai si ripete la storia delle alluvioni, dei morti, della famiglie disastrate, dei miliardi ingoiati dall’acqua, ogni anno a scadenza fissa. Non un problema di fondo è stato risolto. Agli investimenti estensivi che, per esempio nel tentativo di bloccare il dissesto idrogeologico, potrebbero incrementare lo sviluppo aumentando l’occupazione, è stato preferito altro”.
Rimbocchiamoci le maniche e torniamo alla manutenzione e al presidio del territorio, investendo risorse in questa che è l’opera pubblica più importante per il nostro Paese.