31 gennaio 2020: si compie un altro passo in avanti sulla strada che porterà all’uscita dall’Ue della Gran Bretagna. La notizia appare nei mezzi di informazione quasi all’ultimo, ma soprattutto viene trattata quasi più sul piano emotivo o folcloristico che su quello del suo reale significato. Il Parlamento europeo saluta col vecchio canto degli addii, “Auld Lang Syne”, in italiano “Il valzer delle candele”. Ma non è ancora la vera separazione, l’iter si compirà, a meno di proroghe non escluse, il 31 dicembre con le norme che regoleranno la separazione e richiederanno anni per essere operative.
La vicenda della Brexit merita attenzione per almeno tre ordini di motivi: 1. Il tremendo psicodramma di un Paese che stenta a comprendere la sua natura interna e il suo ruolo nel mondo; 2. Le conseguenze sul futuro dell’Ue che per la prima volta perde un componente (e che componente!) e della G.B., oggi sola dopo 47 anni di vita comunitaria; 3. Le considerazioni sul futuro dell’Italia che spesso sembra guardare ad un’Italexit come alla soluzione dei suoi annosi problemi.
Natura e ruolo della Gran Bretagna
Il primo punto ha sorpreso gli stessi cittadini della G.B. e poi noi europei. Per i primi sorge il quesito sulla reale natura del Regno Unito, forse sottovalutato al momento del referendum del 2016: Stato unico o sommatoria di 4 nazioni diverse, ma unite da qualche centinaio di anni e alle prese con conseguenze drammatiche come la secessione della Scozia e il crollo della pace faticosamente raggiunta fra le due Irlande. L’altro quesito è sul piano esterno: essere ancora una grande potenza imperiale, recuperando lo status di inizio Novecento per giocare una partita in proprio anche con gli Stati Uniti, oppure rendersi amaramente conto che quel ruolo oggi la riduce a una grande potenza, ma solo sul piano locale.
Le conseguenze su un futuro da separati
La separazione, come ogni separazione anche fra le persone, è un danno per entrambe, ma forse minore di quello che si sarebbe creato rimanendo insieme. Si torna dove si è rimasti per quasi mezzo secolo e cioè sulla natura dell’Ue: grande e straordinaria area di libero scambio come pensa la G.B., o faticosa costruzione di un’Unione cha sia anche politica oltre che economica, come i continentali intendono, dopo essersi combattuti sanguinosamente per secoli come solo fra vicini di casa si può fare. La G.B. ha giocato un ruolo importante nel ridurre l’impronta renana franco-tedesca dell’Ue e questa ha insegnato alla G.B. che si poteva anche uscire dall’isolamento per entrare in un mondo più variegato e composito, ma guidato da regole comuni anche su temi chiave della vita dei popoli. L’ostacolo che si può scavalcare solo se si punta alla costruzione politica dell’Europa e che forse ora l’Ue può superare.
L’Italia e la tentazione dell’Italexit
Da noi l’esito della Brexit fu salutato come un modello da copiare per rendere più “libera” l’Italia recuperandone la sovranità. Poi le vicende del dramma della G.B. e il precipitare della situazione interna in un inestricabile groviglio politico hanno indotto a una riflessione più seria proprio sugli stessi punti che hanno creato tanti problemi in G.B. I problemi italiani nascono dall’incapacità politica di gestire un bilancio talmente passivo da essere arrivato ad un punto di “non ritorno”. Dalla difficoltà anche per noi di capire chi siamo nel mondo e quale sia il nostro ruolo. Di prendere atto che la nostra economia dà il meglio quando produce e trasforma per poi esportare, non quando si chiude in se stessa e vorrebbe tornare alle nazionalizzazioni per salvare organismi insanabili che la mano pubblica non riesce e non può sanare per sua natura. Davvero vogliamo credere che uscire dall’Ue, dall’euro e dalle garanzie che esso fornisce ci farebbe crescere, che inflazione e tassi d’interesse resterebbero quelli attuali che ci permettono di convivere con il nostro mostruoso debito pubblico o che, una volta soli, potremmo continuare a importare ed esportare con le regole che l’Ue ottiene e noi da soli non avremmo mai?
La vera Brexit al 31 dicembre (forse)
Gli stessi problemi si pongono anche alla G.B. quando dovrà decidere, nella trattativa dei prossimi mesi, quale sarà il rapporto con i 27. La soluzione più realistica è quella di usufruire delle regole in vigore per i 4 paesi dello “Spazio economico europeo” che di fatto si adeguano alle normative comunitarie però senza poter partecipare alla discussione interna. Tre di essi le accettano in blocco, uno solo, la Svizzera, le recepisce con separati Trattati, ormai ben oltre il centinaio. Poi dovrà trattare caso per caso con gli altri partner mondiali avendo un potere contrattuale minore.
Difficilmente tutti questi nodi, compresi quelli politici interni alla G.B., potranno essere sciolti entro dicembre. Il voto del 12 dicembre in G.B. ha confermato la scelta di un’uscita negoziata e bocciato quella “no deal” senza regole. Un’altra lezione da meditare.
Forse è presto per il valzer degli addii. Se leggessimo le sue parole vi troveremmo il rimpianto per un’antica consuetudine che si interrompe.