Il Parlamento italiano ha alcuni giorni fa approvato un emendamento che apre alla sperimentazione in campo delle piante ottenute tramite le cosiddette TEA, Tecnologie di Evoluzione Assistita, che in Europa vengono chiamate New Genomic Techniques e che in passato erano chiamate New Breeding Techniques.
Perché dobbiamo essere felici di questa decisione? Cisgenesi e il genome editing tramite CRISPR/Cas, che sono le due tecniche che in Italia abbiamo ricompreso nella definizione di TEA, ci permettono di modificare in maniera mirata singoli geni o addirittura singole basi del DNA all’interno dei geni ottenendo risultati che sono indistinguibili da quelli che potremmo ottenere per incrocio o per mutazione spontanea ma molto più velocemente e in maniera più precisa, ossia senza effetti collaterali indesiderati. E possiamo usare queste tecnologie per rendere le piante più resistenti ai patogeni, per renderle più tolleranti alla siccità, per renderle capaci di meglio sfruttare i fertilizzanti azotati ed anche per renderle capaci di meglio sfruttare l’energia solare attraverso il processo della fotosintesi. Tutte modificazioni che ci possono permettere di migliorare la sostenibilità delle produzioni agricole e diminuire l’impatto ambientale dell’agricoltura.
Noi oggi stiamo sfruttando il capitale di risorse naturali del nostro pianeta in maniera non sostenibile, ossia stiamo consumando più risorse naturali di quante non se ne rigenerino spontaneamente. Ce lo fa capire in maniera formale l’equazione dell’impatto globale che mette a confronto l’impronta ecologica delle attività umane con la capacità rigenerativa della biosfera. Oggi l’impronta è pari a 1,6 volte la capacità rigenerativa della biosfera. Ciò vuol dire che stiamo intaccando profondamente il nostro capitale di risorse naturali e più lo intacchiamo più la diseguaglianza aumenta. Dell’impatto sull’ambiente delle attività umane una grossa parte è legata alla produzione di alimenti, anche se comunemente tendiamo a pensare ad altre attività economiche come principali responsabili del degrado ambientale. Il sistema agroalimentare è responsabile, secondo stime recenti, del 34% delle emissioni totali di gas clima-alteranti. Di questo 34% il 71% è dovuto alla sola produzione primaria, cioè alle attività agricole. A ciò si devono assommare, fra gli altri, gli effetti sulla perdita di biodiversità dovuti principalmente alla messa a coltura di superfici che vengono sottratte al loro ruolo di ospiti di ecosistemi naturali che sono sempre molto più ricchi in biodiversità di quanto non lo possa essere un sistema agricolo e gli effetti sulla fertilità dei suoli che tende a diminuire per effetto di molte delle attuali pratiche agricole.
Come possiamo fare per riportare almeno in parità l’equazione? Visto che diminuire la popolazione non si può e diminuire l’attività economica sarebbe assai impopolare, non ci resta che giocare sull’efficienza con cui sfruttiamo le nostre risorse naturali per produrre beni e servizi, in altre parole ricchezza o nel caso specifico cibo. E a cosa corrisponde l’efficienza? A scelte politiche e soprattutto ad innovazione tecnologica.
Non è quella genetica ovviamente l’unica strada per migliorare l’impronta ecologica della produzione di alimenti, ci sono altre innovazioni tecnologiche come quella dell’agricoltura digitale o di precisione, che attraverso una serie di innovazioni in campo agronomico ci può permettere di meglio sfruttare i fattori produttivi, ossia acqua, fertilizzanti e agrofarmaci e forse in futuro ce ne saranno altre, come ad esempio l’agricoltura cellulare che potrebbe permetterci di produrre proteine animali in maniera più sostenibile.
La comunità scientifica non può che essere felice del provvedimento legislativo appena varato, visto che a partire dal 2003 era in attesa di poter compiere la sperimentazione in campo di piante geneticamente modificate ai sensi del decreto legislativo n. 224/2003 che affidava al MIPAAF il compito di definire protocolli operativi per la sperimentazione sulle singole specie agrarie ed alle Regioni e Province autonome l’individuazione dei siti su cui compiere tali sperimentazioni. Tutti compiti puntualmente disattesi visto che 20 anni dopo di protocolli e siti non vi è traccia e che in questi 20 anni non vi è stata alcuna sperimentazione in campo, nonostante non vi sia mai stato un divieto esplicito a farla, a differenza della coltivazione a fini commerciali. Ma anche 20 anni dopo ed anche per le TEA bisogna pur sempre tornare al suddetto decreto legislativo ed alla precedente direttiva comunitaria 2001/18, a cui il Dlgs dà attuazione, che regolamenta il rilascio in ambiente di organismi geneticamente modificati visto che su questi temi è la legislazione comunitaria a prevalere, che ai sensi della sentenza della Corte di giustizia europea anche i prodotti delle TEA sono equiparati per ora agli OGM e che siamo ancora in attesa della tanto auspicata revisione della 2001/18. Ben venga quindi una normativa italiana che finalmente dia piena attuazione a quella comunitaria. In tale senso è assai positivo che una volta tanto il nostro paese sia all’avanguardia in Europa aprendo una strada più semplice, pur se sempre in piena osservanza della normativa comunitaria, per la sperimentazione in pieno campo delle piante migliorate con le TEA al fine di arrivare rapidamente alla verifica delle loro potenzialità in termini produttivi, qualitativi e soprattutto di sostenibilità ambientale. Ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo ancora bisogno del coraggio della politica che, guardando alla scienza con fiducia e senza posizioni preconcette, deve completare a livello comunitario il lungo e faticoso cammino verso una diversa regolamentazione delle TEA rispetto a quella usata per gli OGM per poter giungere, oltre che alla sperimentazione in campo, anche alla coltivazione e alla commercializzazione. Dopo le due recenti consultazioni pubbliche che sono state svolte dalla Commissione Europea in merito alle TEA, che hanno indicato un largo favore al cambiamento della normativa, dobbiamo auspicarci che il processo non cada vittima di veti e ricatti incrociati, se vogliamo più speditamente realizzare un sistema produttivo agricolo che combini sostenibilità ambientale, economica e sociale.