In un recente articolo pubblicato su La Stampa (leggi qui) il "re del Barbaresco", Angelo Gaja, distingue tre tipologie di alcol: l'alcol da fermentazione, l'alcol da distillazione e l'alcol da addizione.
Ne citiamo un estratto: "Esistono infatti tre tipologie di alcol. Alcol di fermentazione, immutato da 10 mila anni, da quando il vino è nato, prodotto dai lieviti che si depositano sugli acini d’uva, agenti della fermentazione alcolica, ed è frutto di un processo che è il più naturale, il più bio in assoluto. L’alcol così prodotto è il costituente principale nonché primordiale del vino e si accompagna ad un 3% di altri componenti, il resto è acqua. Alcol di distillazione, prodotto dall’arricchimento di alcol a mezzo dell’impianto di distillazione. È frutto della volontà del produttore di realizzare una gradazione alcolica più elevata e far così rientrare la bevanda nella categoria dei superalcolici: durante la distillazione viene persa buona parte degli altri componenti del vino. Alcol di addizione, è quello intenzionalmente aggiunto per la produzione di aperitivi e similari attingendo dall’alcol puro di distillazione, privato totalmente dei componenti del vino, in percentuale idonea e in mescolanza ad acqua, materia colorante, aromatizzanti. Ancorché la molecola sia la stessa, sono la natura e la funzione dell’alcol presenti nel vino, superalcolici ed aperitivi a renderli profondamente diversi. ".
Abbiamo interpellato a questo proposito due accademici dei Georgofili: il dott. Francesco Cipriani, per dare un parere autorevole dal punto di vista medico ed epidemiologico, e il prof. Vincenzo Gerbi per un approccio di tipo enologico-scientifico.
Ecco che cosa ci hanno risposto.
In termini nutrizionali e medici non c'è alcuna differenza tra alcol di fermentazione, di distillazione e di addizione, perchéla molecola "alcol" di cui si sta parlando è sempre la stessa: in termini chimici è chiamata "alcol etilico" o "etanolo" e in termini volgari "alcol" al singolare. Da non confondere con la categoria chimica più vasta degli "alcoli" al plurale, che raggruppano molecole con alcuni aspetti strutturali simili, ma con funzioni assai diverse tra loro. Tra gli "alcoli" c'è appunto l'alcol etilico, ma anche l'alcol metilico e il colesterolo, per fare un esempio.
Perciò, alcol di fermentazione, di distillazione e di addizione sono termini che fanno riferimento ai metodi di produzione dell'alcol, non alla sua caratteristica chimica, che è sempre la stessa.
La discussione scientifica da molti anni verte sulla pericolosità del consumo di "alcol etilico", che si trova in forma molecolare identica nel vino, nella birra e nei distillati, anche se in quantità proporzionalmente diverse (mediamente: vino 11%, birra 4% e liquori 40%). Ma sempre alcol etilico è.
Abbiamo molti indizi sulla dannosità della molecola "alcol etilico" per l'organismo quando si superano certi livelli di consumo: nei maschi sopra ai 20 gr /die, nelle femmine 10 gr/die. Espresso in unità di misura più comprensibili: nei maschi sarebbe sopra 2 bicchieri di vino o 2 lattine/boccali medi di birra o 2 bicchierini di liquori al giorno e nelle femmine la metà. In realtà, studi più recenti stanno abbassando la soglia di sicurezza per le donne a meno di 10 gr al giorno. Ciò che invece è meno chiaro è se bere vino o birra o liquori, a parità del contenuto in grammi di alcol etilico, si accompagni agli stessi rischi per la salute. Esistono molti tipi di vino, di birre e liquori ed è verosimile - ed in parte dimostrato - che le centinaia di altre molecole - peraltro non tutte ancora note - che determinano le caratteristiche specifiche di ciascuna bevanda alcolica, possano modificare in meglio o peggio l'impatto del rischio correlato alla molecola alcol etilico di per sè. Per esempio, sembra che a parità di contenuto in alcol, il consumo moderato di vino rosso, bianco e birra sia meno rischioso di quello di liquori e distillati, così come il consumo ai pasti sarebbe meglio di quello fuori dai pasti. Alcuni micronutrienti contenuti in quote e tipologie diverse per ciascuna bevanda alcolica potrebbero controbattere il rischio legato all’alcol etilico. E poi c’è un effetto diverso per le diverse malattie. Per esempio, con alcuni di consumo di alcol si rischia di più lo sviluppo di alcuni tumori, ma paradossalmente c’è una minore incidenza di malattie cardiovascolari con un saldo variabile tra malattie in più e in meno. Questo è il motivo per cui i medici che lavorano con i pazienti con tumori tendono ad essere “proibizionisti” rispetto al consumo di bevande alcoliche, mentre i loro colleghi cardiologi sono più permissivi.
E poi sappiamo ancora poco degli effetti della combinazione del consumo degli alimenti e bevande in occasione dello stesso pasto. Il mix che si genera ad ogni pasto, con il tipo e la sequenza dei cibi consumati, le modalità di cottura, di conservazione, l’uso di condimenti, ecc.., potrebbe modificare significativamente che sappiamo sui rapporti tra dietra e salute.
Tutte le raccomandazioni sul consumo di alcol e bevande alcoliche che sono diffuse dagli organismi nazionali e internazionali preposti alla tutela della salute individuale e pubblica si basano sulle evidenze scientifiche disponibili ad oggi dagli studi di laboratorio su animali ed epidemiologici sull'uomo, con i loro limiti, da cui ne conseguono le incertezze.
In conclusione, volendo vedere le cose in modo più "mediterraneo" e scientificamente accettabile, si può dire ad oggi che il rischio per la salute correlato al consumo di alcol etilico sembra neutralizzato se si tratta di vino ai pasti con moderazione, cioè meno di due bicchieri per i maschi e meno della metà per le femmine.
Ma le informazioni scientifiche sono in continua evoluzione e dobbiamo essere pronti e disponibili a modificare le posizioni.
Francesco Cipriani
In un recente articolo Angelo Gaja, produttore di vini prestigiosi conosciuti in tutto il mondo, e stimato libero pensatore dell’enologia italiana e internazionale, ha invitato il mondo della comunicazione a fare distinzione tra vino e bevande alcoliche ottenute per distillazione o miscelazione, in quanto la diversità non è solo legata alla percentuale di alcol, più bassa nei vini e dovuta solo agli zuccheri dell’uva, ma alla filosofia della trasformazione, che nel vino esalta l’origine, la varietà, l’artigianalità, mentre nei distillati una parte dei costituenti originali va perduta, e nei liquori o aperitivi è la ricetta a prevalere e l’alcol impiegato deve essere semplicemente puro, tanto che quasi sempre è sì di origine agricola, ma ottenuto da sostanze amidacee più semplici dell’uva dal punto di vista compositivo.
Certo, e Gaja lo ammette, la molecola dell’alcol (etanolo) è la stessa in tutte le bevande, quella che secondo le recenti indicazioni dell’OMS in nessuna quantità è sicura per la salute, per cui si sollecita la sensibilizzazione da parte delle autorità competenti ad abbandonarne il consumo.
Sarebbe quindi negata anche la posizione di una parte del mondo medico favorevole a un consumo moderato di alcol, in particolare come vino, bevanda alcolica complessa e ricca di altri componenti di origine vegetale giudicati benefici e derivati direttamente dall’uva.
Chi si occupa di vino a livello professionale, o per passione, si trova di fronte a una riflessione sulla eticità delle proprie azioni e decisioni, perché mai vorrebbe lavorare per arrecare danno alla società, bensì per proseguire una tradizione millenaria, legata profondamente alla cultura delle popolazioni che coltivano la vite e consumano vino. Molti comportamenti individuali, come le scelte alimentari o lo stile di vita in generale, prevedono delle decisioni e l’assunzione di rischi a cui più o meno consapevolmente andiamo incontro.
Allora forse la domanda che ci dobbiamo porre è: perché beviamo il vino? Cosa cerchiamo quando lo consumiamo? Lo beviamo per l’effetto inebriante dell’alcol, o per gusto personale, apprezzando le differenze sottili tra un vino e l’altro, scegliendo con cura e attenzione la denominazione, il vitigno, il territorio da cui proviene?
Se guardiamo con attenzione alla composizione del vino, ci rendiamo conto che l’83-84% è acqua, circa il 13-14% in volume è alcol, rimane circa un 3%, come ricordato anche da Gaja, ma di questo ancora almeno la metà è costituita da prodotti di fermentazione (glicerolo) e acidi organici, interessanti, ma presenti in tutti i vini. Quindi la diversità, anche se chiaramente percepibile alla vista, al profumo e al gusto, è affidata a pochi grammi per litro di componenti derivati direttamente dall’uva. Sono i polifenoli e gli aromi, non l’alcol e l’acqua, che ci permettono di percepire, gustare e descrivere le differenze tra un Nebbiolo e un Aglianico, tra una Barbera e un Montepulciano, tra un Franciacorta e un Prosecco, tra un Moscato e una Malvasia. Chi conosce i vini soffre nel sentire parlare del vino come di una qualunque bevanda alcolica, bevuta distrattamente, scelta per sfruttare il suo contenuto in alcol e ottenerne un effetto euforizzante e disinibente. Il vino è invece l’accompagnamento ideale del cibo in uno stile di vita tipico delle popolazioni mediterranee.
I criteri di scelta di chi consuma vino si sono molto evoluti ed è passato il tempo in cui si andava in bottiglieria a comprare vini sfusi, spillati da rubinetti diversi, distinti in rosso e bianco, da 11, 12 o 13 gradi alcolici (% vol.). Definitivamente scomparsa anche l’epoca del vino apportatore di calorie (quelle dell’alcol, 7 Kcal/g), necessarie a integrare il fabbisogno calorico di contadini e operai. Anzi nella nostra società ipercalorica si può tranquillamente affermare che la presenza dell’alcol nel vino è un utile eccipiente, che consente la conservazione e la stabilità di questa complessa bevanda, ma non il più importante componente del vino.
Se l’alcol è un pericoloso cancerogeno, qualunque sia la bevanda che lo contiene e indipendentemente dalla dose assunta, allora il bevitore di vino, saggio e moderato, dovrà considerare l’alcol del vino come un possibile danno collaterale, un pericolo da considerare, senza però indurlo a rinunciare al piacere sensoriale di questa fantastica e millenaria bevanda.
Vincenzo Gerbi