L’apicoltura combatte ormai da più di quarant’anni contro il malefico acaro arrivato dall’Oriente. La Varroa conviveva senza fare troppi danni con Apis cerana, ma quando la ben più produttiva Apis mellifera, sull’onda della globalizzazione, è arrivata laggiù, Varroa ci ha messo poco a fare il salto di specie trovando nella nostra ape da miele un ambiente molto più favorevole alla sua riproduzione. Per combatterla se ne sono inventate di tutte. Varroa si riproduce nelle cellette chiuse di larve e pupe delle api dove i possibili acaricidi non riescono a raggiungerla. È quindi necessario bloccare la regina impedendole di deporre in modo che, mancando la covata, Varroa sia esposta ai trattamenti. In tempi recenti si sta ragionando però su concrete iniziative che puntino su una vera resistenza o forse sarebbe meglio dire tolleranza delle api alla Varroa.
Un progetto in tal senso è stato appena approvato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020. Il cuore di questo progetto che coinvolge poche aziende apistiche, ma di provata capacità affiancate da UNIMI e CNR, è la misura di un sofisticato fenotipo che quantifica, di un certo numero di celle parassitate da Varroa, quante sono quelle in cui le api hanno saputo “sentire” la presenza dell’acaro in riproduzione e sono intervenute aprendo la celletta e in qualche modo disturbando quel delicato momento del parassita. La Varroa disturbata non riesce a completare la sua riproduzione e il carico di parassiti della colonia scende o addirittura si azzera. Da prove pilota condotte nei due anni trascorsi appare evidente che vi è una notevole variabilità nel comportamento delle colonie, variabilità che la selezione potrebbe opportunamente sfruttare per diffondere questo favorevole carattere nelle popolazioni di api presenti in Italia.
Ma per meglio capire come la genetica entri in questo virtuoso comportamento delle api è necessario costruire delle colonie con una struttura famigliare molto più semplice di quella naturale. In natura la regina viene fecondata in volo da circa 15 fuchi e la sua progenie è quindi costituita da 15 gruppi di super-sorelle (stessa madre e stesso fuco che, essendo aploide, produce spermatozoi tutti identici). I fuchi che hanno fecondato la regina hanno verosimilmente madri diverse, di sconosciuta origine, e possono provenire anche da grande distanza. Per associare il sofisticato fenotipo che si vuole indagare alla struttura genetica della famiglia è necessario costruire delle colonie con una regina inseminata artificialmente con un solo fuco in modo da avere api molto simili tra loro il cui genotipo sia facilmente tracciabile. È necessario anche avere un allevamento di Varroe da cui prelevare gli acari necessari a creare delle infestazioni artificiali e con quantità standardizzate di parassita. Il progetto prevede, oltre alle classiche analisi di genetica quantitativa, anche il sequenziamento del genoma delle api di queste colonie sperimentali per scovare quali differenze nel DNA giustifichino la diversa risposta fenotipica.
Non si tratta certo di un progetto facile: richiede prima di tutto una grande capacità professionale nella gestione di queste colonie monofuco, nella tempistica delle inseminazioni e delle infestazioni, nella accuratezza del rilievo del fenotipo e in tutte le analisi che ne conseguono. Queste colonie sperimentali sono inoltre estremamente gracili e faticano a superare il loro primo e unico inverno: dalle migliori di loro dovranno essere allevate nuove regine per il successivo ciclo di selezione e il rischio di un loro collasso può far fallire l’intero progetto.
Ma la sfida non finisce qui, perché anche supponendo di identificare le colonie e i geni che garantiscono una resistenza naturale delle api alla Varroa, sarà poi necessario diffondere questi geni nelle popolazioni di api in modo da aumentare progressivamente in queste la frequenza degli alleli favorevoli, sempre che questi vengano alla fine scoperti. Questo potrebbe determinare un passo indietro per altri caratteri di importanza cruciale in apicoltura: potremmo cioè avere api che non richiedono più alcun trattamento per la Varroa, ma che sciamano a ripetizione, si ammalano facilmente, sono aggressive e poco produttive. Insomma l’introgressione di questa favorevole caratteristica nelle altre popolazioni apistiche non sarà una breve passeggiata. Ma come diceva qualcuno, anche una lunga marcia comincia con un piccolo passo.