Expo 2015 è considerato uno straordinario veicolo di promozione del nostro export alimentare: abbiamo alle spalle un decennio di crescita (70 per cento) ed esistono le condizioni per guardare con fiducia all’obiettivo di 50 miliardi di euro di export nel 2020.
Un recente documento dell’ufficio studi di Sace ci dice che, rispetto ai principali concorrenti europei, la dinamica delle nostre esportazioni è stata particolarmente significativa verso i mercati extra-UE, le aree a maggiore potenziale di sviluppo della domanda. Alcuni di questi Paesi, in particolare USA e Cina, sebbene meno noti per la qualità e la reputazione dei prodotti, sono forti concorrenti in settori di punta del Made in Italy (conserve vegetali e frutta fresca). Una delle possibili condizioni favorevoli per le nostre esportazioni sarà la conclusione del negoziato USA-UE sul commercio transatlantico (il Ttip, accordo di partenariato su commercio e investimenti), di cui l’agricoltura è un importante capitolo. Il tema è l’accesso al mercato, riduzione delle tariffe (che interessa maggiormente i produttori americani) e delle barriere sanitarie e tecniche (che, invece, interessa maggiormente gli europei). Tutto nostro è il dossier relativo alla protezione delle indicazioni geografiche. Sarebbe ottimo un buon negoziato che definisse una strategia comune anche per bilanciare il crescente peso della Cina sui mercati mondiali delle materie prime agricole.
Le indicazioni del documento di Sace confermano, secondo me, che l’Europa, in particolare i Paesi mediterranei, hanno il maggior interesse all’accordo (forse più degli USA che guardano con attenzione ai mercati dell’area del Pacifico e all’analogo trattato in corso con i partner asiatici) e trarrebbero elevati vantaggi da una buona conclusione. La bilancia commerciale settoriale segna, infatti, un attivo UE di 6 miliardi (1/3 dei quali attribuiti all’Italia) con una particolarità: le importazioni dell’Europa sono, negli ultimi dieci anni, sostanzialmente stabili intorno a 9-10 miliardi e si concentrano sulle materie prime agricole; al contrario, nello stesso periodo, le esportazioni crescono del 40 per cento e si concentrano su prodotti trasformati ad alto valore aggiunto (vini, oli, conserve vegetali, paste, formaggi). Potrebbe essere proprio l’agricoltura a ottenere maggiori vantaggi da una positiva conclusione dei negoziati grazie soprattutto alla riduzione delle restrizioni sanitarie alle esportazioni agroalimentari italiane. La somma delle barriere tariffarie e non è stimata intorno al 40 per cento del valore delle merci, imponendo così un pesante onere difficilmente sostenibile per gli esportatori. Semmai tra i rischi dell’accordo vi sono le condizioni di partenza delle agricolture delle due aree, con quella americana che, per dimensioni aziendali e costi di produzione, potrebbe surclassare, in un mercato aperto, la produzione di materie prime europee.
Il Congresso USA dovrebbe, nei prossimi mesi, autorizzare il Governo a chiudere il negoziato, che potrebbe, quindi, avere un’accelerazione contando sulla chiusura entro il prossimo anno. Le aspettative sono molte: il negoziato potrebbe essere un’opportunità a condizione che il risultato sia vantaggioso per tutti. In parallelo con i round negoziali, si approfondirà il dialogo con le rappresentanze delle imprese e le istituzioni: l’ultima parola, infatti, spetterà ai Parlamenti che saranno chiamati a ratificare le intese raggiunte dai negoziatori.
What are the prospects for Italian agricultural and food exports?
Italian exports of food products showed good acceleration in the recent years, with an interesting growth potential. Italy’s performance was particularly good in markets outside Europe. Now is the time to strengthen our competitiveness on all international markets. By focusing on the most important food products, Italian agrifood exports could be increased to up to 50 billion euros by 2020.